I fantasiosi referendum pentastellati

– di ANTONIO MAGLIE-

  Appare sempre più palese la tendenza del Movimento 5 stelle a legare i diritti civili ai sondaggi. E questo al di là del merito di ciò che viene sostenuto, della fondatezza o della infondatezza delle tesi. La maternità surrogata è sicuramente una questione delicatissima che andrebbe affrontata con serietà, sobrietà e pacatezza, cioè evitando gli estremismi e gli isterismi. Ma il fatto che Beppe Grillo scopra la questione con un intervento sul “Corriere della Sera” dopo che i sondaggi hanno illustrato il favore degli italiani per le Unioni Civili e la contrarietà nei confronti della stepchild adoption, è a dir poco sospetto. Uno degli enfant prodige del partito, Luigi di Maio, garantisce che Grillo è coerente: sicuramente alla sua linea di comportamento, un po’ meno alle idee che possono variare in base alle necessità. Coerente lo è rispetto al “contrordine compagni” lanciato quando il Senato era entrato nel vivo del dibattito sulle Unioni Civili e ci si avviava al voto, scoprendo una libertà di coscienza che spiazzò il gruppo parlamentare sino a quel momento attestato su altre trincee. Un mutamento di posizione che venne letto come un tentativo di ingraziarsi quella fetta di elettorato di destra (a Roma, ad esempio, sembra essere cospicua: aiuta il fatto che il candidato-sindaco abbia svolto il praticantato legale nello studio di Previti) che nutre grandi simpatie nei confronti dei pentastellati.

Adesso tocca a Di Maio che con una nuova correzione di rotta conferma questa tendenza a considerare la politica non uno strumento per far crescere la società ma semplicemente una cassetta della posta in cui i sondaggisti depongono le opinioni dei cittadini un po’ come si fa con i volantini pubblicitari. Se la politica fosse questa, in Italia probabilmente non ci sarebbe stata né la battaglia sul divorzio, né quella sulla legalizzazione dell’aborto e il Pci avrebbe vinto a mani basse il referendum sulla scala mobile. Ma la democrazia dei sondaggi si trasforma nella democrazia della maggioranza che finisce per avere sempre ragione. In sostanza, la quintessenza della legge del più forte, quella che i politologi chiamano “democradura” al cui fascino non sembra sfuggire Grillo (e di conseguenza anche i suoi delfini).

Ma la democrazia è un concetto più complesso: cittadini che partecipano e partiti che aiutano i cittadini a partecipare; elettori che indicano i propri bisogni e forze politiche che, analizzando il presente e provando a interpretare il futuro, tratteggiano le linee di sviluppo di una storia collettiva mettendo a punto gli strumenti più utili per garantire il soddisfacimento del bene comune. Una democrazia che si basa sui sondaggi e, quindi, sui voleri delle maggioranze finisce inevitabilmente per emarginare le minoranze che vengono così escluse dal godimento del bene comune che si trasforma in un bene sostanzialmente parziale. Ecco perché in un sistema evoluto la nobiltà della politica consiste anche nella funzione in qualche misura educativa delle Istituzioni, nella loro capacità di tenere uniti tutti i bisogni, sebbene definendo una scala di priorità. Ma capendo allo stesso tempo, come diceva Piero Calamandrei parlando della Costituzione, che qualsiasi legge, qualsiasi intervento deve partire più che dal volere delle maggioranze, dalla tutela delle minoranze.

Poi in questo zigzagare dei pentastellati c’è qualcosa di veramente incomprensibile. In un video-forum ospitato dal quotidiano “la Repubblica”, Di Maio ha sostenuto che sulla stepchild adoption bisogna andare al referendum. Se questa è la posizione vera, allora aveva ragione Matteo Renzi a non fidarsi perché il sostegno sbandierato anche a quel pezzo dell’originaria legge Cirinnà nascondeva un “non detto” che sarebbe evidentemente esploso nel segreto dell’urna. Se la linea è quella del referendum, l’adesione al testo iniziale del provvedimento non era poi così incondizionata come si voleva far intendere. Ma, soprattutto, di quale referendum stiamo parlando? Se sono quelli che conduce sul web Beppe Grillo, non contano assolutamente nulla: rispettabilissimi, ma riguardano porzioni poco significative di opinione pubblica. Se parliamo di referendum consultivi, nella costituzione italiana, come dovrebbe essere noto anche a Di Maio, non sono citati. Se parliamo, infine, di quelli per ora previsti, allora per organizzarlo ci vuole una legge (da confermare o da abrogare) che al momento manca. Ma si sa, sui referendum i pentastellati hanno sempre fatto un po’ di populistica confusione, come ad esempio quello sull’euro, sbandierato e inevitabilmente dimenticato. La realtà è che siamo di fronte al purissimo esercizio dialettico e al tentativo, peraltro maldestro, di recuperare nei confronti di pezzi di elettorato delusi dal comportamento pentastellato in Senato e dalle acrobazie cybernetiche e a mezzo stampa di Grillo.

antoniomaglie

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