Unioni Civili: triste, solitario y final

-di ANTONIO MAGLIE-

Scene finali da una tragicommedia. Renzi: “ha vinto l’amore”. Alfano: “E’stato un bel regalo all’Italia avere impedito che due persone dello stesso sesso cui lo impedisce la natura, avessero la possibilità di avere un figlio”. Cala il sipario in maniera più che sconfortante su una legge sulle Unioni Civili, che non è come tutte le persone che ritengono i diritti un tratto caratterizzante delle democrazie borghesi, avrebbero voluto. Il “dopo” aggiunge solo tristezza al prima. Un presidente del Consiglio che canta vittoria dopo aver rinunciato a una battaglia sui principi e aver salvato la “pelle” (la poltrona) grazie al voto di diciotto verdiniani che vengono tenuti nascosti dal governo come si fa con i portatori di una pericolosa malattia: o esistono, e allora vanno esibiti con tutto quello che ne consegue dal punto di vista della mutazione non solo genetica di una forza di centro-sinistra; o non esistono e allora non si può cantar vittoria per il voto del Senato ed essere soddisfatti per come è andata a finire.
Ma il ministro dell’Interno Angelino Alfano, cioè l’uomo di governo che in questi anni è stato oggetto del maggior numero di voti di sfiducia “ad personam”, ha superato sé stesso e anche il limite evocando scenari contro-natura, Sodoma e Gomorra, fulmini e saette. Bisognerebbe avere rispetto delle persone, anche quando non se ne condividono o non se ne comprendono gli stili di vita. E’ questa la libertà, è questa la democrazia. Ma non è, evidentemente, questa la scuola che ha frequentato il Ministro, preoccupato soprattutto di non perdere troppo terreno nell’inseguimento di Gandolfini già tallonato da Gasparri, Giovanardi, Salvini e allegrissima compagnia. Non c’è assolutamente nulla contro-natura nel desiderio di essere genitori perché la natura riguarda la capacità procreativa che è altra cosa: il primo rientra nel campo dei sentimenti, la seconda in quello dell’anatomia (per quanto aggirabile o superabile).
Ha ragione Massimo Cacciari a proposito del dibattito sulla fedeltà: è roba da ubriachi. Perché anche qui siamo sul terreno della morale, delle scelte etiche intime e non su quello del diritto. Si è fedeli per scelta privata e adesione a valori che provengono dalla formazione, dall’istruzione, dall’ambiente. Qualsiasi rapporto che funzioni si basa sulla fedeltà che lo riconosca o meno la legge. Né, d’altro canto, la legge può imporre a chi non è più in grado di reggere questo obbligo perché il rapporto si è esaurito, di farsene comunque carico. Esisteva, in questo Paese, il reato di adulterio e da esso derivava l’obbligo per legge della fedeltà. Ma anche su questo fronte dovremmo guardare avanti e non indietro. E senza distinzioni tra etero e omosessuali. L’averlo negato ai secondi i è solo un gesto di ripicca. Il tenerlo fermo come obbligo di legge per i primi è un orpello ormai inutile. E, comunque, non è il Parlamento italiano il luogo più adatto per dibattere su un tema impegnativo come la fedeltà, un luogo dove i “tradimenti” sono quotidiani, i mutamenti di opinione vengono scanditi al ritmo delle ore e i cambi di casacca seguono l’andamento dei minuti.

antoniomaglie

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