-di Francesca Vian –
Resistenza
A Pietro Nenni possiamo attribuire la paternità della parola Resistenza, nell’accezione di “Movimento di lotta politico-militare sorto in tutti i paesi d’Europa contro i nazisti e i regimi da questi sostenuti durante la seconda guerra mondiale”. Manlio Cortellazzo e Paolo Zolli nel loro vocabolario (prima edizione 1979) scrivono che “Resistenza è calco formale del francese résistance, usato dapprima in Francia, come movimento di opposizione al governo di Vichy e all’occupazione tedesca ed anche come nome dell’organizzazione stessa, attraverso cui il movimento operava”.
I vocabolari attestano l’uso della parola solo al 1949, ma Nenni precorre i tempi. E’ in effetti difficile, mentre si vive un periodo storico, comprenderne i significati; tanto più che tutti, Nenni compreso, sperano che la liberazione sia immediata, e che non serva dunque dare un termine a un’epoca durissima della storia italiana, durata invece quasi nove mesi al centro e addirittura oltre diciannove mesi al Nord.
Con il senso della storia che ha Nenni, così brillantemente messo in luce da Gaetano Arfè, è evidente che egli ha una consapevolezza che va oltre; impone la parola Resistenza già dal 1943, una voce che ha adoperato in precedenza riferita alla guerra civile in Spagna. Con la sua peculiare predisposizione a capire che “la rivoluzione di cose” implica anche “una rivoluzione di parole”, egli non vuole che la guerra passi come nazionalista, dato che essa è contro la Germania: vuole che vinca l’antifascismo e la costruzione di uno stato repubblicano democratico.
Appena può dare voce alla sua penna, dopo che il capo della polizia, Carmine Senise, ordina la sua liberazione dal confino, egli scrive: “Chi ha impedito la resistenza, disarmate le nostre divisioni, vietato al popolo di battersi? …. Il re, Badoglio e tutta la loro cricca ci hanno traditi”.
E poi: “Ma poteva il nuovo regime veramente preparare e organizzare questa resistenza?”
“Se la resistenza si fosse organizzata, se Roma si fosse difesa, il re e Badoglio non avrebbero potuto giustificare la loro fuga”. (Avanti! clandestino, 26 settembre 1943)
Nell’articolo “Una sola parola d’ordine” del 15 dicembre 1943 egli chiama la modalità della guerra “resistenza”: “questo solo principio: rispondere all’oppressione con la resistenza” e chiama invece la guerra “lotta di liberazione”, “guerra partigiana”, “guerra liberatrice”, “guerra nazionale” e “guerra rivoluzionaria”, “lotta partigiana”: “essa non è affatto nazionalista o imperialista, ma è, al contrario, rovesciamento di tutte le posizioni ideali e materiali dello sciovinismo mussoliniano”. Insomma la sua visione della storia è già oltre la guerra, a porre le basi di una reale “ricostruzione”.
“A chi allora la responsabilità del comando?
A chi il potere?
Non al re che fuggì da Roma il 9 settembre abbandonando l’esercito a se stesso, non al governo che si rifugiò a Pescara, senza lasciare ordini per la resistenza, non a Badoglio, che per essere il ciambellano del signor Savoia dimenticò di essere il capo delle forze armate italiane, non quindi alla monarchia” (articolo già citato).
Da Roma già libera scrive: “Ma oltre l’opposizione militare c’è in Germania un’opposizione politica che non ha fatto molto parlare di sé, ma ha dato alla causa della resistenza un notevolissimo contributo di sacrifici” (Avanti! 23 luglio 1944): il Nenni internazionalista vede dunque la resistenza come un contributo intra-nazionale, sovra-nazionale e inter-nazionale.
Un’ultima citazione dell’8 aprile 1945, in cui la Resistenza è chiaramente un periodo storico: “Un mese di resistenza di più, un anno fa, nelle snervanti polemiche con la Corte, avrebbe imposto la reggenza civile che Togliatti ha proposto ieri nel caso di un ritardo nella convocazione della Costituente, così come noi siam convinti che un giorno di resistenza di più, durante la crisi ministeriale del dicembre scorso, avrebbe fatto naufragare il cancellierato Bonomi”.
Ho voluto verificare se la parola “Resistenza” fosse usata solo da Nenni, oppure se avesse attecchito in breve tempo. Ho letto la prima pagina di un Avanti! scelto a caso, quello del 6 maggio 1945. In un articolo redazionale non firmato di politica estera possiamo leggere: “Cessa quindi ogni resistenza in Baviera e nell’Austria occidentale”; inoltre, il giornale riporta il giudizio di un quotidiano inglese: “La nota caratteristica del fronte italiano di resistenza non è stata come in altre parti la violenza e l’anarchia contro la disciplina. (…) il movimento di resistenza non è formato da gruppi eterogenei uniti soltanto dalla fedeltà ai vari condottieri.”
“Resistenza” farà compagnia a Nenni per tutta la vita. Lo ha messo in luce Elisabetta Borroni, che ha studiato più che attentamente i suoi discorsi parlamentari, citando esempi molto lontani fra loro nel tempo, in cui Nenni porta in Parlamento la parola “resistenza”. Essa continua a essere per lui essenziale “perché pone fine al fascismo e perché fonda lo Stato repubblicano”; essa è “esperienza democratica per le sue rivendicazioni di principio (il ristabilimento dei diritti e delle libertà … come strumento per esprimersi contro gli abusi di potere; lo stimolo a valorizzare il libero confronto tra posizioni diverse – che troverà la propria massima espressione proprio nella Carta costituzionale), ma anche per il suo concreto impegno finalizzato ad abbattere un regime non democratico ed antidemocratico come quello fascista e per quanto essa ha effettivamente realizzato in tema di avvicinamento delle masse popolari, ponendo le condizioni essenziali perché si possa parlare dell’Italia come di un paese autenticamente democratico” (Elisabetta Borroni, tesi di laurea).
Ma né “partigiano”, né “resistenza” hanno concluso il loro viaggio semantico. Un altro grande padre della patria, Antonino Capponnetto, giudice antimafia, percorse le scuole fino alla fine della sua lunga vita, incitando i giovani: “Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici, ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali.
Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare, e di agire da uomini liberi e consapevoli. State attenti, siate vigili, siate sentinelle di voi stessi. L’avvenire è nelle vostre mani”.
Oggi ci sono decine di migliaia di ragazzi – da Padova a Corleone – che hanno accolto l’invito di Antonino Capponnetto e continuano a essere “partigiani della legalità”, nella “resistenza dei valori”, con la guida – paterna con i ragazzi, ma ferma con i potenti – di Domenico Billotta, della “Fondazione Antonino Capponnetto”.
Il prossimo appuntamento è con “schiarita”.
francescavian@gmail.com
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