Renzi “l’americano”

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Ricordiamo tutti la canzone del 1956 di Renato Carosone: “Tu vuò fa l’americano” (… ma sei nato in Italy). E ricordiamo anche il film del 1954 “Un americano a Roma”, diretto da Steno e magistralmente interpretato da Alberto Sordi. Ebbene, siamo nel 2015, ma abbiamo ancora un americano a Roma. Parliamo naturalmente di Matteo Renzi, enfant prodige ormai non solo della politica nostrana, ma anche di quella mondiale. Non farò ironie sul suo inglese, a tratti maccheronico, che ricorda tanto gli awanagana, gli orait orait e la polizia der Kansas City di sordiana memoria. In fondo, ammettiamolo, se la cava meglio di tanti altri politici italiani del passato, che senza interprete non andavano da nessuna parte. Però, insomma, l’atteggiamento è quello: un po’ spaccone, studiatamente disinvolto, ostentatamente professionale quando serve – in sintesi, molto “ammericano”, con due “m”. La recita gli riesce persino meglio che a Walter Veltroni, che pure si era impegnato parecchio a impersonare il Kennedy de’ noantri. Del resto, nemmeno lui era «mai stato (veramente) comunista».

I provvedimenti di Renzi sono americani non solo nello spirito (neoliberista), ma anche nella lettera. Abbiamo il “job acts”, la “spending review”, la “local tax”. Sono bastonate lo stesso, ai lavoratori e ai pensionati, ma in inglese fa più figo. In un’Italia proiettata verso il futuro, in cui si sono americanizzati anche i giornalisti, con il “fact checking” e il “question time”, Renzi è al posto giusto al momento giusto.

Devo ammettere che Renzi è riuscito anche a stupirmi positivamente. Mi sono persino segnato la data: 28 novembre 2012. Mancano dieci giorni alle primarie del PD e c’è un faccia a faccia a Servizio Pubblico tra il sindaco di Firenze e l’allora segretario del partito Pierluigi Bersani. Monica Maggioni chiede ai due candidati che cosa direbbero a Obama in relazione all’acquisto dei 90 cacciabombardieri F 35, costo 100 milioni di euro cadauno (più manutenzione), alla luce della grave crisi economica che attanaglia l’Italia. Bersani inizia a balbettare qualche parola, con il suo consueto stile. Si capisce poco. Dice che forse se ne può parlare agli americani, per vedere di ridefinire qualcosa. Baldanzoso, Renzi lo interrompe e afferma: «Sul problema degli F 35 il problema riguarda noi, non riguarda gli Stati Uniti!». Fragoroso applauso in studio. Come a dire: mica siamo una colonia. E ancora: «Io ho proposto il dimezzamento, perché la questione riguarda il diritto di ogni paese su che difesa avere». E bravo Renzi! – ho detto. Vuoi vedere che ci voleva un ex diccì per uscire dalla sudditanza? In fondo, Andreotti e Craxi qualche no agli alleati riuscivano anche a dirlo, mentre i dirigenti del PCI-PDS-DS-PD, forse perché attanagliati dai sensi di colpa per essere stati un tempo filosovietici, ora riescono a dire solo sì.

Il 22 febbraio 2014, il Rottamatore diventa Presidente del Consiglio. Il 27 marzo 2014 Obama arriva in Italia e lo incontra. In ottobre inizia a circolare la voce che Renzi intende onorare l’impegno. Però, è l’impegno con gli USA, non quello con i votanti delle primarie. Come non detto. Il 18 febbraio 2015, il governo comunica che l’Italia acquisterà tutti i 90 aerei da guerra. Ma, sia ben chiaro, è una libera scelta che riguarda noi, non gli Stati Uniti.

Renzi mi ha stupito una seconda volta per la sua intraprendenza. Mi sono segnato la data anche in questo caso: 27 febbraio 2014. Una data da scolpire nella roccia. Quel giorno, il nostro leader riesce finalmente a convincere il Partito Democratico ad aderire al Partito Socialista Europeo. Quello che avrebbero dovuto fare i dirigenti del PCI già nel 1989, dopo aver preso la dolorosa decisione di cambiare nome e strategia – e che però non hanno mai fatto – riesce a farlo in scioltezza un ex diccì, un democristiano. Un coup de théâtre davvero inaspettato. Vuoi vedere che mi sono sbagliato sugli ex diccì? – mi sono detto. E bravo Renzi! – ancora una volta.

Detto tra parentesi, non ero l’unico entusiasta. In virtù di questa decisione, i dirigenti del PSI si sono candidati nelle file del PD alle europee, prefigurando una confluenza. Incombendo l’Italicum, il PSI pare infatti ormai avviato ad essere assorbito dal PD e, dunque, a dissolversi definitivamente (un cupio dissolvi?) dopo più di un secolo di gloriosa storia.

Ancora una volta, però, ci siamo sbagliati. Per un attimo ci siamo scordati che Matteo vuò fa l’americano. Il 19 aprile 2015 Renzi va da Obama, a rapporto. Tra le altre cose, alla Casa Bianca, annuncia nientepopodimeno che intende proporre al PSE di cambiare nome: non più socialista, ma democratico. Non vuoi mai che oltreoceano qualcuno si spaventi sentendo ancora risuonare la parola “socialista”. In USA, questa parolaccia ha un suono sinistro. Fa venire in mente Karl Marx, le rivendicazioni operaie, la lotta di classe, i diritti sociali, e magari anche la guerra fredda. Sì, lo sanno anche gli americani – almeno i più avveduti – che i socialisti europei non hanno nulla a che fare con i Soviet, il KGB e i Viet Cong, ma quel nome fa ancora paura. E, allora, una buona volta, la periferia dovrà pur adeguarsi al bon ton, e tranquillizzare chi vive al centro dell’Impero? Renzi confida a Obama: «Ghe pensi mi». Ci pensa lui, sempreché i socialisti francesi, i socialdemocratici tedeschi e i laburisti inglesi – che a differenza degli ex-PCI e degli ex-DC non cambiano nome ad ogni tornata elettorale – non gli facciano una sonora pernacchia.

In tal caso, il nostro “americano” si accontenterà di essere riuscito a cancellare definitivamente la parola “socialista” almeno dal teatro politico italiano. E senza troppa fatica.

 

 

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