L’ora di religione: è ora di abolirla?

Finalmente un Ministro tecnico che centra il bersaglio! L’ora di religione, così com’è concepita e svolta, è insensata. Non è né catechesi, né disciplina curricolare. In verità, un po’ di confusione c’era anche quand’ero studente, tra gli anni ’70 e ’80. La dottrina cattolica veniva impartita soprattutto ai bambini e ai ragazzini, alle elementari e alle medie. Con i ragazzi delle superiori c’era più elasticità: capitava spesso il prete con la mente aperta, e allora si passava il tempo a discutere. L’indottrinamento, nel mio caso, ha avuto il risultato opposto a quello sperato. Un giorno una fiammella di carità cristiana mi illuminò: perché due miei compagni — uno ebreo, l’altro testimone di Geova — erano ‘’esonerati’’ da quello che era un obbligo e dovevano uscire dalla classe? Tutti a guardarli come se fossero stati marziani. Credo che loro si vergognassero un po’. Io ero imbarazzato per loro. Oggi, che sono un laico a tutto tondo, dico: vergognatevi voi, clericali!

Da quei tempi qualcosa è cambiato: con la revisione del Concordato, sottoscritta da Craxi nel 1984, il cattolicesimo non è più la religione ufficiale dello Stato. Non è più neppure il “fondamento e coronamento” dell’Istruzione pubblica, formula che il Vaticano impose nel ’29. Cessava così l’obbligatorietà dell’ora di religione. Oggi l’ebreo, il valdese e il testimone di Genova non si sentono più discriminati. È un passo in avanti. Anche i clericali, del resto, hanno capito che la società italiana è ormai secolarizzata: l’intesa tra il MIUR e la CEI non parla di catechismo e pigia sul tasto della formazione culturale (tra gli obiettivi didattici: decodificare il significato dell’iconografia cristiana; individuare le fonti bibliche che hanno ispirato l’arte e la letteratura in Occidente; saper adoperare la Bibbia come documento storico-culturale).

Gli uomini di Chiesa sono capaci di fare alta cultura. Lo sappiamo. Ma il privilegio – per quanto attenuato o edulcorato – non cessa d’esser tale: l’insegnamento religioso, per legge, è confessionale: dev’essere “conforme alla dottrina della Chiesa cattolica”; tant’è che i Vescovi scelgono i docenti e danno l’imprimatur sui libri di testo.

Gran parte degli studenti l’ora di religione non l’ha mai presa sul serio. La Chiesa, ipocritamente, fa finta di nulla. Questo il ragionamento: “arretriamo ovunque, le chiese sono semi-deserte. Ma la scuola, no, quella non la possiamo abbandonare. È il nostro avamposto ideologico. Se ammettiamo che molti giovani sono indifferenti al cattolicesimo, i laici ci attaccheranno. E, prima o poi, sgretoleranno la nostra egemonia confessionale. Prepariamoci piuttosto ad un accordo interconfessionale con gli islamici’’.

L’immigrazione ha cambiato la società italiana. I musulmani, consci del fatto che l’Islam è la seconda religione in Italia, stanno alzando la testa. Non sopportano il privilegio cattolico (su questo hanno ragione). Ma solo perché ne sono esclusi; non gli ripugna l’idea della discriminazione religiosa: un accordo con lo Stato lo firmerebbero all’istante (su questo hanno torto). Noi laici, fautori della città aperta, crediamo in due principi irrinunciabili: (a) la libertà di religione e il pluralismo vanno difesi a tutti i costi; (b) lo Stato laico, che è agnostico, si astiene dall’impartire una morale religiosa per conto terzi. E neppure appalta a cristiani, islamici o buddisti l’educazione delle coscienze. Questo spetta alle famiglie. Chi sostiene il contrario fraintende il senso dell’esperienza religiosa, che è un fatto privato, prerogativa dell’individuo. Certo, le religioni hanno anche una dimensione comunitaria. E infatti Italia ognuno è libero di professare il proprio credo nei luoghi di culto, e perfino in strada: né le processioni né le preghiere pubbliche sono proibite.

Anche nelle scuole private si può evangelizzare o islamizzare – nei limiti fissati dalla legge. Ma nella scuola pubblica, no. Lì lo Stato ha un solo compito: stimolare il libero dibattito affinché lo studente acquisisca uno spirito critico; una forma mentis razionale, anti-dogmatica.

Delle due l’una: 1. rivedere il Concordato in modo da garantire il pluralismo confessionale, consentendo anche ai musulmani l’ora coranica nelle scuole; 2. abolire il Concordato sic et simpliciter affinché il nostro Stato diventi pienamente laico, liberale, secolare e agnostico. Quest’ultima soluzione è la più coerente e la più giusta verso le minoranze: il Concordato stride con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione.

A una condizione però. E qui – ma solo qui – darei ragione ai teo-con e alla CEI: “la religione cattolica è parte costitutiva del patrimonio storico e culturale della società italiana”. Gli islamici, come gli indù e i buddisti, quando vengono a vivere fra noi, devono accettare il fatto che la civiltà italiana ha profonde radici cristiane. Proprio come gli arabi cristiani accettano il fatto che la lingua araba ha un imprinting coranico. Certo, abbiamo anche il lascito della cultura classica, come argomenta Luciano Pellicani nel suo saggio Le radici pagane dell’Europa. Ma questo non sminuisce l’importanza del retaggio cristiano: chi può comprendere l’arte sacra italiana, o l’opera di Dante e di Manzoni, senza una base teologica giudaico-cristiana? Questo, caro Ministro Profumo, è il vero problema: l’ignoranza degli studenti d’oggi, che non capiscono più i riferimenti religiosi. Allora, non un’ora di storia di religioni, che sa tanto di relativismo politicamente corretto, così trendy a sinistra. No, Ministro: ci vuole un’ora di storia del cristianesimo, da affidare a docenti vincitori di pubblico concorso, laureati in storia e filosofia. Una materia curricolare come le altre; una disciplina umanistica insegnata con metodo storico-critico. Lo Stato plasma cittadini, non uomini e donne di fede. L’unico insegnamento concepibile, nella scuola pubblica, è quello culturale e scientifico. Fu un grande liberale, e credente, colui che coniò il fortunato motto “libera Chiesa in libero Stato’’. Fu un altro grande liberale, e laico, colui che inventò l’altrettanto fortunato “Perché non possiamo non dirci cristiani’’.

Edoardo Crisafulli

 

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