Da mesi ormai si discute, senza costrutto, della nuova legge elettorale. Alla nascita del Governo Monti, si disse che mentre i tecnici avevano il compito di concentrarsi sulla gestione ordinaria e salvarci dal precipizio, i politici di professione ed i parlamentari si sarebbero occupati di riscrivere le regole del gioco e delle riforme istituzionali.
E questa necessità nasceva anche dalle istanze di un milione e duecentomila firme a sostegno di un referendum abrogativo della attuale legge elettorale, referendum poi bocciato dalla Consulta nel gennaio scorso.
E’ dunque innegabile che dagli elettori venga una forte richiesta di cambiamento. Il “porcellum”, infatti, non consentendo di esprimere le preferenze, allontana la politica dal territorio e favorisce la selezione di una classe dirigente mediocre e cortigiana.
Ebbene, in circa dieci mesi e nonostante i ripetuti appelli del Presidente Napolitano – fra i quali anche quello di arrivare ad una conta in Parlamento in mancanza di un accordo complessivo tra le tre forze parlamentari attualmente più forti – non si è arrivati ancora ad elaborare una proposta condivisa.
Ogni qual volta la questione torna all’attenzione del grande pubblico, emergono contrasti più o meno sinceri tra le forze politiche: chi vuole le preferenze e chi no, chi vuole i collegi uninominali e chi no, chi vuole un premio di maggioranza e chi di coalizione, chi vuole un premio del 15% e chi lo giudica esagerato, chi vuole lo sbarramento purché si salvi la Lega, e così via dicendo.
Senza entrare nel merito di proposte finora volatili, sembra che, così facendo, si stia perdendo di vista il concetto stesso di democrazia. Ad una voglia di partecipazione dei cittadini e di cambiamento, la casta risponde percorrendo una deriva censitaria ed arroccandosi.
Questa non appare la soluzione giusta, anche perché purtroppo l’attuale classe politica, nata dalle ceneri della Prima Repubblica, non ha dato ancora prova di essere classe dirigente.
Chi ha seduto in Parlamento per decenni, conducendoci dove siamo ora, abbia almeno la saggezza di lasciare più spazio a chi può dire qualcosa di nuovo. Occorre un rinnovamento, che non può essere solo rinnovamento di facciata e di simbolo, ma deve essere rinnovamento di idee e di uomini.
Occorre quindi che le proposte di Giuliano Amato, tese ad introdurre una maggiore democraticità nei partiti ed un maggior controllo del finanziamento agli stessi, siano legge al più presto, ma non basta.
Occorre soprattutto una nuova e più equa legge elettorale. Renzi e, soprattutto, Grillo possono essere considerati rottamatori senza programmi, ma, a fini elettorali, non vanno sottovalutati. Chi paventa di ritrovarsi, il giorno dopo le elezioni, con forze politiche incapaci di esprimere al loro interno una posizione coesa sui vari temi di politica interna ed internazionale, rifletta un secondo su quanto segue. Le forze politiche che, coese sulla carta, negli ultimi venti anni si sono alternate in Parlamento ed alla guida del Governo, sia che avessero in partenza maggioranze bulgare sia che si fossero chiuse in conclave per elaborare programmi di centinaia di pagine, hanno dato prova di stabilità, coerenza e capacità di Governo? Se la risposta è negativa, perché oggi l’elettore dovrebbe essere spaventato da movimenti come quello di cui è promotore Grillo?
Inoltre, se lasciassimo la legge elettorale tal quale, potremmo assistere ad una preoccupante crescita dell’astensionismo, tale da inficiare la legittimazione di chi poi siederà in Parlamento.
Occorre quindi che i politici, sollevati dal Governo Monti per quanto riguarda la gestione ordinaria, trovino al più presto la quadra. E non ci stancheremo di ripetere che in una Repubblica di carattere parlamentare quale è l’Italia è il Parlamento l’istituzione dove devono emergere le maggioranze di Governo. La scarsità di risorse finanziarie, i vincoli interni ed esterni, il fiscal compact impongono di abbandonare atteggiamenti clientelari. In questa situazione non bisogna aver paura di maggioranze che si formino in Parlamento in funzione delle necessità del tempo. Del resto, è sempre meglio che ricorrere al soccorso di tecnici non eletti dal popolo.
E’ dunque auspicabile consentire agli elettori di esprimere le proprie preferenze, avere un Parlamento il più rappresentativo possibile, ad esempio con soglie di sbarramento al due percento, per poi lasciare alle forze parlamentari il compito di mediare le proprie posizioni per formare il Governo.
E anche il fatto che i mercati debbano sapere il giorno delle elezioni chi ha vinto, è una forzatura se la vittoria poi si rivela un fuoco fatuo: il Belgio è rimasto per oltre 400 giorni senza Governo, eppure non è mai stato sull’orlo del baratro come l’Italia. Forse è la litigiosità, l’inconcludenza e la scarsa credibilità delle forze politiche a spaventare maggiormente i mercati.
Alfonso Siano