Nuovi poteri. 2- Il quinto potere

Un altro potere, ancora più subdolo e pericoloso – quello finanziario-bancario – s’è insinuato fra noi. Ogni limitazione alla libertà di parola va ponderata: meglio un giornalista prezzolato in più che una voce critica in meno. Il Quinto Potere, invece, dev’essere sgretolato e ridotto ai minimi termini. Non vedo ragioni per agire in senso contrario. Se la favola del governo tecnico dell’economia non fosse, appunto, una favola, potremmo concordare sull’utilità dell’autonomia degli istituti bancari. Oggi le grandi banche, sciolte da ogni vincolo e insofferenti verso ogni controllo, dettano l’agenda politica a governi democratici. Così l’interesse privato dei potentati finanziari sovrasta l’interesse pubblico dei cittadini. I casi sono due: o il potere politico legittimo, espressione del demos, controlla l’economia, o sarà questa a controllare quello.

Le grandi banche mettono in moto meccanismi che inquinano i mercati (una vasta gamma di prodotti finanziari è altamente tossica). Insomma: sono mine vaganti – all’inglese: loose cannons. Nessuno sa quando partirà il colpo o quanto sarà devastante; né si sa chi verrà colpito. Fu per questo che i marinai appresero l’arte di fissare i cannoni sulla prua delle navi. Noi dovremmo fare altrettanto con le banche, che, speculando a più non posso, hanno scatenato tempeste finanziarie.

Quest’ultima crisi, che mette a repentaglio la pace sociale, ha squarciato il velo: dov’è la tanto declamata terzietà dei banchieri, degli economisti, degli operatori finanziari? I politici sono partigiani, guai se non lo fossero. I tecnici, no. Loro sono – meglio: dovrebbere essere – super partes. Ecco perché formano l’ossatura delle burocrazie, alle quali compete l’amministrazione, non l’indirizzo politico della comunità democratica. I fatti dimostrano che un politico, se ha la caratura e le idee giuste, agisce nell’interesse generale ben più dei tecnici.

La notizia è apparsa in prima pagina sull’International Herald Tribune: Marcus Angius, Presidente di Barclays – istituzione blasonata del credito britannico –, nonché Presidente della British Bankers Association (B.B.A.) si è dovuto dimettere. Angius, spalleggiato da una cricca di finanzieri, avrebbe contribuito a creare un cartello per manipolare il Libor (acronimo per London interbank offered rate), che è il tasso di interesse – cioè il prezzo del denaro – dei prestiti interbancari su una piazza finanziaria mastodontica. La B.B.A., tra le altre sue funzioni, dovrebbe controllare la regolarità del Libor. Già in passato si vociferava di abusi, e la B.B.A. aveva promesso controlli e sanzioni severe. Non ci sono stati né gli uni né le altre.

Il Libor, per gli operatori finanziari, era una sorta di stella polare che li orientava negli investimenti. Calcolato in maniera scientifica, asettica, da economisti, i super tecnici del mondo contemporaneo, il Libor pareva neutrale come un’equazione matematica o una formula chimica. Da quel tasso ne dipendono, a cascata, altri che incidono su una miriade di prestiti concessi a imprese e cittadini. Il Libor regola una mole impressionante di denaro in circolazione: quasi 400 mila miliardi di dollari fra prestiti, mutui e transazioni varie.

I risvolti della vicenda sono ancora oscuri. Certo è che l’impresa di pirateria è collettiva, e ben architettata: il Libor è un tasso variabile fissato ogni giorno da 18 banche. Una truffa colossale: gli operatori finanziari hanno giocato – meglio: speculato – in santa pace sui mercati finanziari. Lucrare senza render conto a nessuno? È il Mercato che si regola da sé, bellezza! Gli speculatori hanno sottratto un parametro oggettivo alla legge della domanda e dell’offerta; una legge che si supponeva ferrea, l’equivalente della selezione naturale darwiniana. Oggi è crollato quel mito del Ventesimo secolo. Ci avevano dipinto l’economia come una giungla che vanifica l’opera civilizzatrice dell’uomo; e la speculazione finanziaria una legge naturale scritta da Dio a caratteri cubitali.

Lo scandalo Libor – l’ennesimo di una lunga serie – dimostra ancora una volta che le grandi banche – e i tecnici che le guidano – non sono in grado di domare i mercati imbizzarriti. E non ne hanno, del resto, alcuna intenzione. Le grandi banche sono come gigantesche idrovere: finanziano le imprese – e soprattutto sé stesse – attingendo ai risparmi che i cittadini affidano loro e a qualunque altra fonte di approvigionamento. Pecunia non olet. La loro mission è guadagnare; non hanno finalità filantropiche; sono allergiche al concetto stesso di utilità pubblica, che contrasta con i loro privatissimi interessi. Non hanno patria, ideale o divinità all’infuori del denaro.

Che i poteri dello Stato, dunque, riportino le grandi banche all’ordineprima che queste combinino altri disastri. Una sterzata energica deve ricondurle sotto il controllo democratico (una golden share pubblica?)Le banche non possono sottrarsi alle loro responsabilità sociale.Nessuno scandalo: negli USA lo Stato, per spegnere l’incendio della speculazione, le ha irrorate con il denaro dei cittadini; i debiti degli speculatori sono stati appianati in ossequio al vecchio adagio ‘’privatizzazione degli utili, socializzazione delle perdite’’.

Lo Stato liberal-democratico – per tenere fede alla propria mission: tutelare la comunità dei cittadini – deve acquisire una coloritura socialista. Che la mano pubblica sostenga e incoraggi la finanza etica, i cui principi sono: trasparenza in tutte le fasi; accesso al credito, a tassi agevolati, per le imprese che creano occupazione rispettando le leggi sul lavoro e sull’ambiente; credito ancor più agevolato per le cooperative sociali (recupero detenuti, assistenza ad anziani ecc.), per le aziende del terzo settore (fondazioni, banche etiche), e per quelle che, ispirandosi ai valori dell’ambientalismo, investono nella green economy, nelle energie rinnovabili; rifiuto categorico di ogni investimento finanziario che miri a guadagni stratosferici. Il fine della finanza etica non è il guadagno in sé, bensì il benessere dell’uomo, in quelle che devono essere comunità armoniche. Questa è la più grande ricchezza, il più grande capitale che possiamo accumulare e trasmettere alle generazioni future. Sinistra, se ci sei batti un colpo! Ex comunisti del PD, anziché accapigliarvi con i cattolici sulle nozze gay, riflettete sull’economia di comunione, mirabile sintesi tra carità cristiana e socialismo.

Edoardo Crisafulli

 

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