Nuovi poteri. 1- Il quarto potere

Ai tre poteri dello Stato liberal-democratico – legislativo, esecutivo e giudiziario – da tempo se ne è aggiunto un quarto, che ha messo radici profonde nella società civile: l’informazione. Il Quarto Potere, se anarchicamente libero, è il gran totem dei giustizialisti, che tengono ogni governo e autorità in gran dispitto. È l’informazione che ha fatto spiccare il volo all’IDV, alla Lega Nord e al Movimento 5 stelle. Nella sub-cultura giustizialista c’è un sottofondo limaccioso: una carica di aggressività anti-sistema, nichilista. Il politico eletto che riceve un avviso di garanzia, mormorano i Robespierre in sedicesimo, dovrebbe rassegnare le dimissioni all’istante. È un’idea perversa, deleteria per la democrazia. Nella cultura garantista, i diritti dell’imputato – figuriamoci se è solo presunto! – sono sacri. E, diciamolo senza timore, i politici eletti necessitano di tutele particolari, nell’interesse stesso dell’elettore. Non si tratta di ripristinare odiosi privilegi, che nessuno sopporterebbe. La posta in gioco è l’indipendenza del Governo e del Parlamento. Il politico non è al di sopra della legge. Ma neppure lo è la lobby che scaglia la pietra nascondendo la mano. Nessuno scandalo: già i padri costituenti vollero, per i deputati, l’immunità per i reati di opinione.

Privo di tutele giuridiche, il rappresentante del popolo può trasformarsi in una bandieruola in balia delle folate di vento. Deputati – ma questo vale anche per sindaci, consiglieri regionali ecc. – devono essere liberi da ogni condizionamento che impedisca loro di portare a compimento gli impegni contratti con gli elettori. Immaginiamo che un politico intenda tassare la rendita parassitaria. Per neutralizzarlo, basta un avviso di garanzia, o anche solo una richiesta di comparizione davanti ai magistrati, purché enfatizzata dalla grancassa dei mass media. Che poi il fatto non sussista, non importa a nessuno. L’intimidazione costringerà l’audace riformista a desistere o a farsi da parte. Per distruggere una carriera politica, basta una campagna mediatica all’insegna della character assassination, che peschi nel torbido, che diffonda illazioni sull’uso personale di fondi pubblici. I Poteri Forti non hanno scrupoli morali.

I padri costituenti, traumatizzati dall’esperienza fascista, immaginavano un solo pericolo: il riemergere, in forme nuove, dello Stato totalitario. Oggi ce n’é un altro: un Quarto Potere ipertrofico e sregolato. Oggi ben più di allora l’informazione, se ben pilotata, può divenire uno strumento di ricatto micidiale. Se il mondo dell’informazione fosse una torre d’avorio, abitata da intellettuali contemplativi, senza interessi di parte, non ci sarebbe di che preoccuparsi. Ma così non è. L’informazione persegue una sua agenda politica, che è quella dell’azionista di riferimento.

Solo un’opinione pubblica critica e bene informata è in grado di pungolare chi detiene il potere. Una democrazia liberale, però, deve tracciare il perimetro del Quarto Potere: chi, e in quali forme, esercita il controllo politico sull’informazione pubblica? (In Italia, com’è noto, i partiti si sono auto-nominati ‘’azionisti’’ della RAI. Questo modello va rivisitato: i partiti hanno perso legittimità agli occhi degli elettori). Come far sì che la comunicazione – e quindi la competizione politica – sia effettivamente libera e pluralistica?

La libertà, nelle società occidentali, è pressoché insopprimibile. Ma è come una pianta: va annaffiata e curata: il terriccio arido e le erbacce la soffocherebbero. Mai più deve accadere che un imprenditore o un’azienda accentrino nelle loro mani un potere mediatico smisurato. Occorre anzitutto una legge sul conflitto d’interessi come quella in vigore negli USA: nessuno candidato alle elezioni può detenere quote proprietarie nei mass media. Questa misura garantisce la correttezza della competizione elettorale: come il mercato, in un capitalismo sano, dev’essere libero da meccanismi che alterino, per fini di utilità privata, la legge della domanda e dell’offerta, così la competizione politica, in una democrazia sana, non può tollerare privilegi e rendite di posizione.

E tuttavia questo non basta: occorre un antidoto robusto al monopolio, veleno della democrazia. Che circolino opinioni le più bizzarre, incluse quelle dei giornalisti prezzolati dai Poteri Forti, non costituisce di per sé una minaccia. Un cartello mass-mediatico, quello sì che puo’ ricattare il potere legislativo. I burattini saltellano alla luce del sole; i burattinai tramano nell’ombra. I mass media, la televisione più di tutti, influenzano le scelte dell’elettorato. E poi, ad elezione avvenuta, possono alterare gli equilibri democratici. In spregio alla volontà popolare espressa col voto; e in ossequio ai disegni occulti del burattinaio di turno. La mania dei sondaggi in itinere la dice lunga: oggi il politico, impaurito, insegue gli umori mutevoli dell’elettore, giorno per giorno.

In certe congiunture, inoltre, si realizzano sinergie aventi finalità anti-democratiche. Le schegge impazzite di un potere dello Stato possono far danni incalcolabili. All’epoca di Mani Pulite, l’alleanza tra Quarto Potere e magistratura pose sotto tutela l’esecutivo e il legislativo. I mass media organici a Confindustria volevano che la Prima Repubblica tracollasse, affinché una leva di homines novi avallasse la svendita dei gioielli del patrimonio pubblico, cui il PSI era ideologicamente contrario. Azzeccata dunque l’espressione ‘’golpe mediatico-giudiziario’’. Nel crepuscolo della Prima Repubblica, ci fu vera e propria prevaricazione: non furono sospese solo le garanzie dell’indagato, per fatale coincidenza esponente del Pentapartito; fu annullato il pluralismo dell’informazione: la quasi totalità dei giornalisti e commentatori sposò acriticamente la vulgata giustizialista. Così fu violato un diritto fondamentale del cittadino: quello a un’informazione libera ed equilibrata.

La libertà di espressione – che è anche libertà di promuovere i propri interessi – è l’ossigeno della democrazia. Gli abusi, però, vanno sanzionati. La libertà assoluta, summum ius, è prevaricatrice: dà luogo a summa iniuria. Nessuno scandalo: da sempre i legislatori ne sono consapevoli, altrimenti la diffamazione e la calunnia non costituirebbero reato. La democrazia liberale si regge su regole chiare. La madre di tutte è la trasparenza: i cittadini devono poter distinguere tra informazione indipendente e partigiana, fra propaganda e reportage fattuale.

Le nuove tecnologie stanno trasformando il mondo dell’informazione. Eppure, anche se muta la natura dei soggetti in campo, i termini della questione sono gli stessi. In apparenza non è così: i blogger sono battitori liberi, o almeno tali ci appaiono. La frammentazione impedirà il costituirsi di cartelli e lobby su internet? Difficile dirlo. Un fatto è certo: la libertà corre a briglie sciolte e le opinioni proliferano. I social network – twitter, facebook, i blog – sono refrattari alla censura. La Primavera araba lo ha dimostrato: le notizie – anche solo verosimili – sono come scintille che appiccano il fuoco della rivoluzione. Le notizie filtrano, trapelano: viaggiano su internet in tempo reale, superando ogni confine e barriera. Ma siamo certi che nessuno le manipoli? Quali garanzie abbiamo sull’autenticità dei fatti raccapricianti raccontati da alcuni blogger arabi? Forse non ci sono burattinai invisibili. Ma la neutralità dell’informazione è un mito: i blogger hanno un’agenda politica; nessuno vive sulla luna.

Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

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