Olaf Palme sosteneva che il capitalismo è una pecora ben pasciuta; la social-democrazia, a suo dire, doveva limitarsi a tosarla, per il bene di tutti. Fuor di metafora: il capitalismo genera tanta ricchezza; si tratta solo di ridistribuirla secondo equità. Come mai, allora, la social-democrazia è in crisi da decenni? Semplice: la pecora capitalistica si è ammalata e ha cominciato a produrre meno lana, e pure di qualità inferiore. Il meccanismo, insomma, si è inceppato. La colpa è di coloro che hanno allevato e nutrito la pecora, non certo dei social-democratici, che intervenivano nella fase finale, quella della tosatura. I social-democratici, in fondo, hanno solo scommesso sulla salute di una bestia alla quale i grandi gruppi capitalistici-finanziari iniettavano dosi massicce di ormoni per la crescita (la speculazione finanziaria). Sennonché, la pecora, a causa di questa cura, è diventata ipertrofica, rischiando di schiattare. I social-democratici, quindi, una pecca l’hanno avuta: a un certo punto, si era arrivati al paradosso che alcuni di loro, i laburisti di Blair in particolare, professavano una fede incrollabile nell’economia finanziaria quanto, se non più, dei capitalisti stessi. L’importante è che si produca, che si crei ricchezza; il come non ci interessa. Noi, socialisti liberali, siamo comunque virtuosi perché: (a) non intacchiamo la libertà di iniziativa economica, lievito della liberal-democrazia; e (b) garantiamo la giustizia sociale, rimediando alle storture del sistema capitalistico. Del resto, è dimostrato che la tassazione – la tosatura della pecora – ci procura ingenti risorse che investiamo per il bene della comunità.
Il ragionamento filava alla perfezione finché c’era la guerra fredda. La social-democrazia era una sintesi, una via aurea perfetta, tra il liberismo (dittatura del mercato & libertà politiche, ma senza democrazia economica) e il comunismo (dittatura dello Stato burocratico & eguaglianza, ma senza libertà, né politica né economica). Venuto meno il comunismo, le cose sono apparse in una luce diversa. La globalizzazione, poi, ha sconvolto tutti gli equilibri preesistenti. L’emergere di nuovi allevamenti di ovini in giro per il mondo, ha deprezzato la lana della pecora capitalistica – che, ci siamo dimenticati di dirlo, era occidentale.
La social-democrazia ha un merito politico straordinario: ha inventato lo Stato sociale, la più grande conquista civilizzatrice del mondo moderno. Ma è ancora attuale quell’invenzione? Sì, a patto che la social-democrazia sappia rinnovarsi e reinventarsi. Il problema – su questo, dobbiamo ammetterlo, Lombardi e Berlinguer avevano ragione – è che i fautori del compromesso social-democratico non hanno mai messo in discussione il meccanismo del capitalismo: il consumismo sfrenato, il materialismo economicistico (il profitto fine a se stesso). Né potevano erodere il sostrato psicologico di quel sistema: l’egoismo. Insomma: l’etica solidaristica del Welfare state cozzava con la ratio della struttura economico-sociale sottostante. Sicché, non appena la social-democrazia si indeboliva elettoralmente, ecco che le destre, tornate al governo, in men che non si dica mandavano in overdose ormonale la pecora capitalistica. I social-democratici e i liberal-socialisti erano impotenti, perché raramente si erano posti una domanda cruciale: quale crescita, in funzione di quale tipo di società? Morale: dobbiamo tornare alle nostre radici, e cioè al pensiero socialista. Sarebbe insensato riproporre il kolkoz sovietico, fattoria centralizzata e burocratica; guai a intaccare la proprietà privata e la libertà di impresa. Dobbiamo piuttosto incentivare un allevamento misto, in cui la pecora capitalistica impari a convivere con pecore cooperative. Così, accanto alla lana tradizionale, ve ne sarà una di qualità migliore. Vanno, cioè, incrementate forme di produzione e di lavoro incentrate sulla spiritualità solidaristica e comunitaria: il cooperativismo e l’economia di comunione (democrazia economica; mutualità e non legge del profitto; valore sociale dell’imprenditoria); la green economy (la compatibilità ambientale è rispetto per i posteri); il terzo settore (volontariato, banche etiche, ONG non-profit). Occorrono investimenti mirati e massicci in quei settori, accompagnati da una capillare opera di rieducazione politico-culturale. Solo così creeremo nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro con un valore aggiunto, di natura spirituale. L’ossessione per il guadagno materiale porta alla mercificazione dell’uomo. Il primato dell’individuo sulla comunità giustifica l’interesse egoistico, la rendita parassitaria e il privilegio. C’è invece un capitale umano preziosissimo, che è anche la cifra della nostra civiltà: la capacità di relazionarsi all’altro in base a logiche di mutualità, di soccorso reciproco. Smettiamola una buona volta di adorare il totem del PIL e della crescita a dismisura e purchessia. La soluzione non è nella decrescita felice, illusione nutrita di anti-modernità, bensì in una crescita armonica: equa e solidale. I socialisti credono nella scienza, nella tecnologia e nel progresso. Occorre pensare e agire in grande, su scala sovra-nazionale, europea e globale. I socialisti sono internazionalisti per definizione. E chi crede nell’attualità del socialismo, non può sottrarsi a due doveri morali: la solidarietà verso i propri simili, soprattutto gli umili e gli oppressi, chiunque siano e ovunque si trovino; il rispetto verso il mondo naturale in cui viviamo, unico bene duraturo che lasceremo in eredità alle generazioni future.
Edoardo Crisafulli
L’attualità del socialismo! Va rilanciato. Ma ci vuole un’idea del socialismo della globalizzazione. Il processo della globalizzazione è parte del meccanismo della produzione della ricchezza, la pecora da tosare. Il capitalismo è in sé internazionalista. Il meccanismo della produzione della ricchezza ha prodotto la morte dei nazionalismo dell’imperialismo con il progresso di paesi già sottosviluppati e sfruttati dalle potenze dell’occidente. Il plusvalore di questo ha consentito il benessere oltre le possibilità. In Italia in Particolare negli anni ’80 con l’assistenzialismo che conveniva ai partiti, pure al PCI. Non è solo il liberismo che ha fatto ammalare la pecora ma anche il welfare nazionale mentre altri morivano di fame.Adesso dobbiamo fare i conti con la Cina, L’india, il Brasile i paesi del sud est asiatico ecc. Il mercato è mondiale, la scienza deve ricercare soluzioni per produrre a più baso costo e per rispettare i diritti umani e dele generazioni future. La redistribuzione, la giustizia sociale del patto socialdemocratico non basta più: Quale socialismo nell’epoca del globalismo?ai posteri l’ardua sentenza…