Alcune considerazioni sul “Partito del Lavoro”

In un mio intervento apparso su questo blog il 6 maggio 2011(“L’occasione perduta della sinistra italiana”), avevo espresso il rammarico per il fatto che la sinistra non si era riunita in un grande “partito del lavoro”, nemmeno quando – dopo la caduta del muro di Berlino – si era presentata l’occasione. Nel settembre dello scorso anno, Cesare Salvi di Socialismo 2000 ha meritoriamente lanciato l’iniziativa della creazione di un soggetto con questa denominazione – tanto semplice quando mediaticamente potente. Negli ultimi mesi ho seguito con grande attenzione gli sviluppi del progetto, anche se non sono mancate alcune perplessità da parte mia. Si tenga presente che l’idea di Salvi è creare un contenitore nel quale possano ritrovarsi le diverse anime della sinistrain particolaresocialisti e comunisti.  

Il problema è chein alcuni interlocutori di questa proposta,permane una visione “vecchia” del lavoro. Lo si evince in particolare dalla risposta dell’onorevole Oliviero Diliberto(alcuni interventi sul tema sono accessibili su Radio Radicale). Quest’ultimo, oltre a dire che non avrebbe fatto una Bologninavent’anni dopo e che avrebbe continuato a chiamarsi orgogliosamente comunista (e ne ha tutto il diritto), ha limitato il perimetro dell’ipotetico Partito del Lavoro alla difesa degli interessi dei “lavoratori dipendenti, concependo tra l’altro il partito come sponda politica della sola CGIL.

La mia impressione è che questa prospettiva anteponga la formula astratta alla sostanza. I negozianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, il popolo delle partite IVA, ecc., che non di rado guadagnano quanto un operaio, non sono forse lavoratoridegni di tutele? E i burocrati degli enti localii pensionati d’oro, i boiardi di Stato, che guadagnano centinaia di migliaia(e talvolta milioni) di euro all’anno, pagati con il sudore della fronte degli operai, non sono forse dipendenti pubblici che dovrebbero fare una cura dimagrante?

Come ho già detto in altri interventi, ho l’impressione che la sinistra radicale non abbia ancora compreso le ragioni profonde della propria crisi, in termini di consenso e presenza culturale nel Paese. Procede su uno schema basato su dicotomie vetuste: pubblico-privato, tasse-evasione, Stato-mercato, dipendente-autonomo, spesarigore – dove i primi termini sono il bene e i secondi il male. Così, ancora una volta, il Partito del lavoro viene inteso come il partito del pubblico, delle tasse, dello Stato, dei dipendenti, della spesa. Una mossa non solo mediaticamente perdente, ma anche lontana da quelli che dovrebbero essere i compiti di una sinistra pragmaticamente interessata a rimuovere le ingiustizie sociali. Il PD, dal canto suo, ha cercato di superare le vecchie e stantie dicotomie della sinistra, ma lo ha fatto nel modo piùsbagliato. Ha pensato di creare un soggetto nuovo, mettendo nello stesso calderone gli operai della Thyssen e i Calearo, gli anticlericali e i devoti dell’Opus Dei, i Colaninno e i disoccupati, gli ex democristiani e gli ex comunisti, i Fassina e gli Ichinoecc. Insomma, un pasticcio bello e buono che ha le gambe corte.

A me pare che sia necessario superare le vecchie e stantie dicotomie, ma non facendo una macedonia, piuttosto individuando una dicotomia chiara, mediaticamente vincente, dalla quale discendono poi corollari che possono indirizzare chiaramente le decisioni politiche. Se guardiamo alla storia, undicotomia tipica dell’asse sinistra-destra è: giustizia sociale vs. privilegi di castaDa questa si può ripartire, ma l’applicazione del principio deve essere conseguente fino in fondo. Per fare un esempio, dal principio della giustizia sociale non deriva affatto la norma dell’eguaglianza materiale, perché trattare allo stesso modo il lavoratore serio e il parassita rappresenta una palese ingiustizia. Massacrare di tasse l’artigiano che lavora dodici ore al giorno per versare250.000 euro all’anno al segretario comunale di una cittadinadi 30.000 anime è un’ingiustizia sociale. Pagare il top manager di una azienda (pubblica o privata) 500 volte di più dell’operaio è un’ingiustizia sociale. Wittgenstein diceva: «Come è stato difficile vedere ciò che era proprio davanti ai miei occhi». Noi vediamo quello che il nostro apparato concettuale ci permette di vedere. Quello che deve fare un Partito del lavoro moderno è innanzitutto cambiare l’apparato concettuale, per vedere le ingiustizie sociali.

Ma, nonostante i tanti problemi, vedo una luce in fondo al tunnelLa CGIL che sciopera contro l’ICI sulla prima casa e l’aumento dell’IVA è un evento storico. È la sinistra che finalmente si accorge che non è vero che “le tasse sono belle”. Questo schema mentale aveva senso quando la socialdemocrazia prendeva ai ricchi per dare ai poveri. Ma oggi che i governi di centro-destra (anche quello di Monti lo è) prende ai poveri per dare ai ricchi, la sinistra deve avere il coraggio di dire che certe tasse sono un’ngiustizia sociale. Del resto, Karl Marx ci ha insegnato a mettere al centro dell’analisi la sostanza dei fatti (l’interesse materiale delle classi più deboli!)e non la sovrastruttura ideologica.

Riccardo Campa

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

2 thoughts on “Alcune considerazioni sul “Partito del Lavoro”

  1. Se dovesse nascere, su queste basi, un moderno Partito del Lavoro potrei anche aderire…

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