Le responsabilità del Pci

 In occasione del discorso tenuto, in ricordo di Antonio Giolitti, presso l’Enciclopedia Treccani, Giorgio Napolitano ha ritenuto di poter affermare che l’ostacolo maggiore alla social democratizzazione del Pci fu la presenza del Psi di  Craxi. Un’affermazione, la sua, quanto meno sorprendente. E questo per varie ragioni. Prima di tutto , non è affatto vero che le politiche del Psi di Craxi “furono spesso deludenti”. Tutto il contrario. Fu proprio grazie al Psi che la crisi morale che negli “anni di piombo” visse la democrazia italiana fu superata; e nel modo più brillante, se è vero – come è vero – che la stampa estera vide nell’Italia degli anni Ottanta il Paese meglio attrezzato per entrare nel XXI secolo. In secondo luogo, perché la politica del Psi fu preparata da un importante e intenso lavoro culturale a seguito del quale fu elaborata una solida cultura di governo, riformista e liberal–socialista. In terzo luogo, perché l’offensiva revisionista di “Mondoperaio” – alla quale parteciparono intellettuali del valore di Norberto Bobbio, Paolo Sylos Labini, Lucio Colletti, Vittorio Strada, Luciano Cafagna, Massimo Salvadori, Antonio Landolfi, Giuseppe Tamburrano , Giuseppe Bedeschi, Giuliano Amato, Giorgio Ruffolo, Federico Mancini, Gino Giugni , Francesco Forte – trovò nel Pci un soggetto cieco e sordo.

Napolitano non può non ricordare quali erano le sentenze ideologiche che Enrico Berlinguer distillava negli anni Settanta. Riconobbe, è vero, il segretario del Pci, che il sistema sovietico presentava “tratti illiberali”. E riconobbe anche che occorreva una “terza via”. La quale, però, doveva essere tenuta rigorosamente distinta dalla via socialdemocratica , ché la sua meta non poteva non essere la fuoriuscita “dalla logica del capitalismo, per muoversi nella direzione di uno sviluppo economico, sociale e politico di tipo nuovo, orientato verso il socialismo”. E tale fuoriuscita doveva essere compiuta tenendo costantemente presente che, nei Paesi comunisti “era universalmente riconosciuto che esisteva un clima morale superiore , mentre le società capitalistiche erano sempre più colpite da un decadimento di  idealità e di processi sempre più ampi di corruzione e di degradazione”. Aggiungeva Berlinguer che era un fatto di evidenza solare che “nel capitalismo c’era la crisi, nel mondo socialista no”. Pertanto, “non era possibile mettere sullo stesso piano , dal punto di vista storico, l’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre e dell’Unione Sovietica e l’esperienza della socialdemocrazia”; la prima, “era il più grande evento storico del secolo” e aveva il valore di una “rottura storica”; la seconda , si era sempre mossa “sulla base del sistema capitalistico e del suo sistema di valori umani e morali che, nell’epoca in cui il capitalismo era entrato della sua crisi storica – si erano trasformati in disvalori: l’egoismo di gruppo e individuale, la corsa al consumismo, la degradazione della persona umana a puro strumento cieco di una attività produttiva frantumata , ideata da altri, appropriata da altri, con tutte le conseguenze di scissione della persona, di degradazione e di disgregazione sociale e morale ”. Per tutte queste ragioni — così il segretario del Pci concludeva la sua implacabile requisitoria contro il capitalismo e la socialdemocrazia – “doveva restare ben ferma la consapevolezza che – storicamente – ciò che aveva contraddistinto la socialdemocrazia , rispetto ai movimenti comunisti e rivoluzionari , era che essa perseguiva non una vera politica trasformatrice e innovatrice, ma una politica riformista , rivolta ad attenuare le più stridenti ingiustizie e contraddizioni del capitalismo , ma sempre all’interno del capitalismo”.

Queste furono le idee che il Pci di Berlinguer – con una ostinazione accanita quanto aggressiva – oppose al Psi di Craxi. Le quali oggi – dopo al bancarotta planetaria del comunismo – non possono non apparire per quelle che effettivamente erano : manifestazioni di una mentalità ideologica ossessionata da quello che – nel memorabile discorso di Livorno — il grande Filippo Turati chiamò “il feticcio di Mosca”.

Ebbene : l’inescusabile colpa, agli occhi dei comunisti, di Craxi fu precisamente quella di abbattere il feticcio che , per generazioni e generazioni, aveva ottenebrato gran parte della sinistra italiana . Di qui l’odio che gli fu riservato.

Grandi – anzi : grandissime – sono state, pertanto, le responsabilità del Pci. Chiudendosi a riccio di fronte all’offensiva revisionista dei socialisti , ha impedito che anche in Italia – come in tutti i Paesi dell’Europa occidentale — si formasse un grande partito liberal-socialista capace di essere quella credibile alternativa alla destra che lo stesso Napolitano ha auspicato.

Tutto ciò non vuol dire che Craxi non ha avuto responsabilità alcuna. La sua insensibilità sulla questione morale fu grave , con il risultato che il Psi è miseramente sprofondato nel pantano della corruzione. Ma questo – non lo si ripeterà mai abbastanza — non può affatto essere utilizzato per stendere un velo di silenzio sulle responsabilità del Pci. Entrambi — il Psi e il Pci – hanno potentemente contribuito al penoso spettacolo che oggi offre la sinistra nel nostro Paese. Il Psi , a motivo della sua corruzione; il Pci , a motivo della sua teologia politica.

Luciano Pellicani

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi