Nel Nome del Virus

-di Maurizio Fantoni Minnella

 

  1. Territori della cultura e dell’informazione: fino all’ultima edicola

Assai prima dello scoppio dell’epidemia globale del Covid 19 salivano da più parti solenni lamentazioni sulla crisi dell’editoria, ossia sulla progressiva diminuzione del lettori in questo paese e si organizzavano tavole rotonde, si proponevano incentivi alle librerie e il rilancio delle biblioteche pubbliche fingendo però di ignorare due elementi fondamentali, la debole inclinazione degli italiani alla lettura forte e costante, e la definitiva affermazione del mercato digitale (libri, giornali, siti internet etc.) il cui uso compulsivo (sia a scopo lavorativo che per semplice intrattenimento) ha inoltre messo a serio rischio l’esistenza di un’altra fonte di approvvigionamento cartaceo, ossia le edicole. Una dura prova di resistenza destinata tuttavia a soccombere se non interverranno fattori nuovi di ordine economico-legislativi. E dunque, si alzano nuovi lamenti questa volta per le edicole, appunto, senza che, peraltro, si sia fatto ancora nulla per garantirne l’esistenza. Nel frattempo milioni di persone hanno cominciato a preferire la ben più sbrigativa lettura on line dei quotidiani all’acquisto del giornale cartaceo, in larga parte nelle fasce giovanili. In altre parole moltissimi consumatori di informazioni hanno scelto di rinunciare ad una abitudine consolidata preferendo starsene comodi a casa.  E alla continua chiusura di edicole in tutti il paese quasi non ci si fa più caso.

Allo scattare delle norme straordinarie di sicurezza che decretano l’isolamento per quasi tutti i cittadini, paradossalmente il desiderio di seguire pigramente l’onda digitale e magari risparmiare anche sull’acquisto del giornale, si rovescia improvvisamente nel suo contrario, ossia nella libertà di uscire di casa e recarsi a un’edicola per acquistare un giornale qualsiasi o quello che si era soliti acquistare, pur non rinunciando all’uso quotidiano del digitale, magari facendo due chiacchere con l’edicolante che dal canto suo trae pure vantaggio da questa situazione senza tuttavia gioirne troppo. Tanti sarebbero i casi curiosi emersi in questi giorni come quello del padre di famiglia che da tre anni non si recava in edicola, o della signora che per la prima volta nella sua vita ha acquistato un numero di Topolino, stupendosi perfino di sé stessa! Si spreca ancora una volta tanta retorica, quasi ci trovassimo di fronte ad una fiaba in cui finalmente i cittadini ritrovano le vecchie e sane abitudini della socializzazione. Sarebbe un quadro edificante se, finita l’emergenza generata dal virus, le persone potessero davvero riprendere le vecchie abitudini scoprendo, infine, di averle per troppo tempo sottovalutate sull’onda del presente hic et nunc, fatto, in sé assai improbabile e se, in precedenza, non si sia dato, invece, tranquillamente, il rilievo della inevitabilità della fine del vecchio a favore del nuovo, sempre aderendo a quell’idea equivoca di progresso inevitabile e giusto. Ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni è piuttosto la verifica a livello simbolico dell’idea di libertà possibile, in cui i cittadini scelgono e sceglieranno ancora una volta di contraddirsi nella scelta delle proprie azioni. Perché, allora, non cominciamo davvero ad attribuire alla gente, alle masse di cittadini, agli elettori di prossime e future campagne elettorali, la responsabilità che richiederebbe loro una sana democrazia? Perchè, dunque, non riconoscere, finalmente, il grado di responsabilità e di consapevolezza delle masse popolari nell’ascesa “democratica” nel mondo di feroci dittature passate o di autocrazie attuali?  A meno di non voler intendere il voto come il gesto anonimo del cittadino chiamato semplicemente a servire un potere sempre uguale a sé stesso.

 

  1. Distanziamento sociale e speculazione dialettica

Di che cosa parliamo quando parliamo di distanziamento sociale? Di una semplice definizione che improvvisamente irrompe nella cronaca quotidiana scuotendo l’opinione pubblica e la coscienza di ognuno? Di una formula necessaria alla difesa della salute di tutti oppure l’oscuro banco di prova per un futuro governo autoritario o peggio, un sistema globale basato sul controllo delle masse a fronte di un virus globale che in quanto tale potrebbe ricostituire un’incognita costante in un futuro prossimo? C’è chi in questi giorni e in queste ore non fa certo mistero di una volontà di speculazione politica sul disastro umanitario in nome del ripristino delle frontiere nazionali e del sovranismo come il solo baluardo politico allo strapotere delle élites globali. Uno di queste figure di complottisti è certamente quella del giornalista e filosofo Diego Fusaro, (fatto oggetto di un precedente articolo), il quale, peraltro, insiste nel formulare l’attuale composizione sociale mondialista con formula semplificata e binaria di massa e di élite, parlando, recentemente, perfino di plebi (quasi ci trovassimo improvvisamente scaraventati non nel secolo appena trascorso ma in quello precedente), quindi, confondendo  strumentalmente ciò che , in realtà,  rientrerebbe nel disegno delle élites stesse con la realtà di fatto che, almeno per ciò che riguarda il nostro paese, è  ben più stratificata e in taluni casi consapevole e solidale a come forse la vorrebbe Fusaro. Una società senza più classi è sicuramente più soggetta all’asservimento di un sovranismo dispotico di matrice nazionale o nazionalista, raggiungibile anche attraverso elezioni democratiche come ci suggeriscono gli esempi forniti dalla Turchia di Recep Erdogan, l’Ungheria di Victor Orban, il Brasile di Jair Bolsonaro e gli Stati Uniti di Donald Trump. Stiamo parlando di capi di stato in grado, oggi, grazie a talune scelte dissennate, di compromettere le sorti dell’intero pianeta. E non si illudano, inoltre, i fautori della democrazia ad oltranza che con la politica dell’alternanza, comunque, alla fine tali possibili catastrofi potranno essere evitate. Non a caso cogliamo il giovane filosofo fare sovente riferimento alla Cina “comunista” di Xi Ping o alla Russia di Vladimir Putin come possibili modelli di sovranità nazionale, forse illudendosi di ritrovare ancora in essi le tracce sbiadite dell’idea socialista. Perfino dall’America Latina apprendiamo che oggi si possono fare dei golpe “puliti” come quello della Bolivia di Evo Morales o criminalizzare leader socialisti indiscussi vincendo le elezioni con il terrore e con la propaganda vetero-anticomunista, a riprova del fatto che nell’era della globalizzazione non c’è più spazio per le dittature militari, non ce n’è bisogno. Saranno le masse a decidere i leader più potenti, più ricchi, più carismatici e ovviamente più sovranisti.

Come non accorgersi, infine, che le norme di sicurezza oggi vigenti nel paese e in molte altre latitudini del pianeta, hanno e avranno piuttosto l’effetto di uno spaesamento psicologico oltre che sociale, sia per quanto riguarda il presente in cui si ridefiniscono i confini  degli ambienti domestici (significativo il contributo di Paolo Rumiz su la Repubblica del 5 aprile), ma ancor più nell’immediato futuro, in seguito al progressivo esaurirsi del virus, quando, al contrario che nel presente e per lungo tempo, non saranno così chiari i confini tra ciò che potrà fare e ciò che invece sarebbe meglio evitare, ossia tra il naturale bisogno di comunicazione e il sospetto che il virus semplicemente sopito, possa riapparire e il tuo vicino, magari, o chiunque ti si avvicini senza le opportune precauzioni, diventi l’ennesimo untore che, al contrario, nel vocabolario immaginifico di Fusaro, mescolato al richiamo inquietante ad una sorta di socialismo nazionale, è già diventato il nuovo paria o il sottoproletario da emarginare. Il quadro generale, si preannuncia fondato sull’incertezza e sull’ambiguità, laddove i nostri gesti potrebbero assumere significati nuovi e, non per questo, auspicabili.

 

 

pierlu83

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