Quale futuro per la Siria?

-di MAGDA LEKIASHVILI-

La posizione del presidente statunitense riguardo la questione siriana è palese. Donald Trump manterrà le truppe in Siria per breve termine, vuole uscire dal paese al più presto possibile. La missione degli Stati Uniti è quella di sconfiggere l’ISIS, però, secondo Trump il costo della stabilizzazione della Siria deve essere sostenuto dai giocatori regionali. Anche se manca molto alla sconfitta dell’ISIS, è arrivato il momento per i soldati americani di tornare a casa. Così il presidente rimarrà coerente alle sue premesse e porterà avanti lo slogan “America First” per ricostruire la nazione americana.

Il ritiro degli Stati Uniti lascerebbe un vuoto di potere in alcune parti della Siria, ciò accelera già una rapida lotta per l’influenza e per il territorio dopo sette anni di conflitto.

I funzionari hanno avvertito Trump che attori politici come Iran, Turchia e Russia potrebbero approfittare del ritiro degli Stati Uniti per avanzare i propri interessi strategici in Siria. Ed infatti, “l’unione dei tre” ha discusso mercoledì sul futuro della Siria. Gli sceneggiatori della politica, Vladimir Putin, Recep Tayyip Erdogan e Hassan Rouhani, sono partiti dal presupposto che nessun altro paese può decidere e guidare la politica interna della Siria. Come nei paesi democratici il popolo è sovrano, questa regola deve valere anche per i siriani. Quindi, gli interventi da parte di stati terzi saranno solo per aiuto. Belle parole. Ma solo parole, perché sulla Siria le mani le stanno mettendo tutti. Anche questo vertice ne è la dimostrazione. L’incontro fra i presidenti si è concluso con l’impegno a raggiungere un cessate il fuoco duraturo, che, in teoria, deve portare la crisi siriana verso la fine.

“Il futuro della Siria e della nostra regione non può essere lasciato a pochi terroristi”, ha detto Erdogan in una conferenza stampa – “Le truppe turche hanno combattuto lo Stato islamico in Siria, così come le milizie kurde, che la Turchia considera collegate ai separatisti curdi in patria”.

Il presidente turco propone di costruire nuove abitazioni per i siriani che ritornano nelle “zone di sicurezza” istituite dall’esercito turco. Un’altra sua proposta riguarda la costruzione degli ospedali, in collaborazione con le forze russe, per i feriti provenienti dalla Ghouta orientale, un sobborgo di Damasco.

Il documento finale del vertice dice: “i presidenti hanno respinto tutti i tentativi di creare nuove realtà sul campo, con il pretesto di combattere il terrorismo e hanno espresso la loro determinazione a schierarsi contro le agende separatiste volte a minare la sovranità e l’integrità territoriale della Siria, nonché la sicurezza nazionale dei paesi vicini”.

Il conflitto in Siria è iniziato nel 2011 come una rivolta pacifica, ma rapidamente si è trasformato in una ribellione armata. Da allora, quasi mezzo milione sono i siriani uccisi e oltre 11 milioni gli sfollati. Il paese si è fratturato in un mosaico di feudi, molti gestiti da uomini armati con alleanze mutevoli. Nel nord e nell’est diverse aree sono controllate dai ribelli sostenuti dalla Turchia, militanti con stretti legami con al-Qaeda e militanti curdi sostenuti dagli Stati Uniti. Altrove, c’è la combinazione del dominio di delegati iraniani, forze del governo siriano e mercenari russi.

Forse il fatto più sorprendente, tuttavia, è stato il rapido deterioramento delle relazioni tra la Turchia e gli Stati Uniti, entrambi membri della Nato. La Turchia ha criticato il Pentagono per aver collaborato con i curdi in Siria, noti come Unità di Protezione Popolare, comunemente conosciuti con il solo acronimo YPG (è la milizia della regione a maggioranza curda nel nord della Siria). Gli Stati Uniti hanno respinto le minacce turche di attaccare la città di Manbij, nel nord della Siria, dove le forze statunitensi e quelle curde-siriane hanno spodestato lo Stato islamico.

Ma la Turchia pensa diversamente. Parlando durante la conferenza stampa, Erdogan ha ribadito che le truppe turche, che il mese scorso hanno preso il controllo dell’enclave kurda nord-occidentale di Afrin, si sposteranno verso Manbij e in altre zone controllate dalle milizie curde sostenute dagli Stati Uniti, l’YPG, di cui parlavamo prima, che da parte del presidente turco viene definita come organizzazione terroristica. Erdogan non si ferma finché “non mette al sicuro tutte le aree controllate dall’YPG”. Ha sottolineato che la lotta della Turchia contro l’YPG non distrarrà dagli sforzi per eliminare i resti del gruppo dello Stato Islamico dal paese.

Nel frattempo, la Turchia ha rafforzato i suoi legami con la Russia includendo l’ultimo evento politico ad Ankara, dove Vladimir Putin è stato invitato ed ospitato da Erdogan. La Turchia è stata a lungo un avversario di Assad e ha sostenuto i ribelli contrari al suo governo. Ma la Russia, che sostiene Assad, ha combattuto per sedare la ribellione e mantenere il suo appoggio militare in Siria. L’Iran si è opposto alle operazioni turche in Siria e, dicono gli analisti, sosterrà Assad a tutti i costi.

magdalekiashvili

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