Matrimonio civile e città secolare

matrimonio interculturale

La notizia, diffusa da Al Jazeera, forse è sfuggita ai media occidentali. Dopo una lunga battaglia legale, Kholoud e Nidal, cittadini libanesi, hanno vinto: il loro matrimonio, celebrato in Libano con rito civile, è stato riconosciuto ufficialmente dalle autorità. È la prima volta che questo succede. La novità è rivoluzionaria: Kholoud è sunnita e Nidal sciita. Il Libano, uno dei Paesi arabi più liberi (la Costituzione libanese sancisce la libertà di culto) e più multiconfessionali (è abitato da ben 18 sette!), aveva escogitato un escamotage per placare i laici senza urtare la suscettibilità dei religiosi: riconosceva i matrimoni civili purché fossero contratti all’estero. Chiunque conosca il Medioriente, sa benissimo che i matrimoni interconfessionali in quell’area sono una rarità: uno dei futuri sposi deve convertirsi alla religione dell’altro. Ecco perché le famiglie d’origine li disconoscono, e quasi tutti – amici e conoscenti – li condannano. (Del resto, anche in Europa un tempo era impensabile che un cattolico sposasse un protestante).

Il matrimonio misto, tra persone appartenenti a gruppi etnici diversi, è tollerato. Ma chi si sposa al di fuori della propria comunità religiosa rompe un vincolo di fedeltà, e spesso è costretto a emigrare. L’alternativa è la persecuzione o l’ostracismo sociale. Neppure Israele, unico Stato compiutamente liberal-democratico dell’area, può sottrarsi a questa logica che, per quanto perversa, assicura la convivenza tra ebrei (laici e ortodossi), arabo-cristiani (protestanti, cattolici, maroniti, greco-ortodossi), musulmani e drusi. Nel Medioriente “libero”, insomma, vige ancora il cosiddetto Millet, la normativa ottomana: il matrimonio ufficiale dev’essere celebrato da una figura religiosa della comunità cui si appartiene per nascita e, raramente, per scelta (la conversione). Israele è andato oltre, ma non di molto: se un cittadino israeliano dichiara di non aver religione, è prevista l’unione civile (ciò che manca ancora in Italia!), unione che prevede diritti e doveri analoghi a quelli del matrimonio. Ma anche Israele, che pure riconosce i matrimoni gay se contratti all’estero, ha dovuto piegarsi allo spirito pre-moderno del Millet. Ciò ha garantito il pluralismo religioso, ma ha compresso la libertà di scelta individuale: solo la comunità religiosa, intermediatrice tra individuo e Stato, ha giurisdizione in materia di diritto famigliare. Essa acquista così un potere enorme. Non sei tu, individuo, che determini la tua identità, ma è il destino (Iddio), tramite la comunità-nazione e la sua cellula primordiale, la famiglia, che scelgono per te. Sei in una botte di ferro. In senso negativo, però. Sei protetto e sei plasmato al tempo stesso. Se scoppia un conflitto con un altro gruppo, è giocoforza che tu debba schierarti con la tua gente, con i tuoi correligionari. La Siria, dove alawiti e sunniti si stanno scannando, docet.

Anche Kholoud e Nidal, per sposarsi, hanno dovuto dichiarare che non appartengono a nessuna comunità, il che però non è un’abiura. Un altro stratagemma assurdo? Forse. Ma la modernità, per far breccia in Medioriente, ha bisogno dell’astuzia della ragione. Là si nasce cristiani, ebrei, sunniti, sciiti, alawaiti, druzi e quant’altro, e tali si muore. L’atto di nascita in una comunità religiosa è come il marchio che si imprime sulle vacche: rimane tutta la vita in bella vista, anche se uno si professa ateo e comunista. L’allontanamento dalla propria religione viene accettato, a condizione che sia un fatto informale e privato, privo di conseguenze: basta non andare in chiesa, in moschea o in sinagoga.

Questa vicenda dimostra che, per affermare i diritti civili, non bisogna infrangere tabù: i coniugi libanesi sono riusciti a liberarsi dall’abbraccio soffocante delle comunità in cui sono nati senza dover rinnegare la loro fede. La città secolare, che è regolata dalla libertà di scelta, non dev’essere per forza “atea e miscredente”. Questo è il punto cruciale (gli atei e gli agnostici dichiarati, nel mondo arabo, si contano sulle dita di una mano).

Legalizzare il matrimonio civile tra persone di fedi diverse significa confinare la religione nella sfera individuale. Un passaggio epocale: dalla comunità di destino, fondata su tradizioni immutabili, alla libertà dell’individuo. Un colpo basso ai leader religiosi che sono avvinghiati al potere come l’edera. Una crepa nella diga che protegge la città sacra. Certo, l’ostilità preconcetta della maggioranza conformista non scomparirà dall’oggi al domani. Il Gran Muftì del Libano, irritato, ha emesso una fatwa contro i matrimoni civili; la massima autorità shiita si è allineata all’istante.

E i bambini cresciuti in famiglie multiculturali e multiconfessionali? Saranno tormentati dai dubbi, ma che ricchezza! Ci sarà un proliferare di identità multiple, contraddittorie. Comincerà a sgretolarsi l’idea che la religione debba essere monolitica, tutta d’un pezzo. Aumenteranno le persone aperte a punti di vista diversi. Non illudiamoci: la strada del dialogo interreligioso è ancora lunga e irta di ostacoli. Ci saranno i colpi di coda dei conservatori e degli zeloti. Ma, dopo la Primavera araba, arriva un altro segnale che il mondo arabo non è stagnante. La modernità si sta insinuano nei territori del Dar al-Islam, cosa che contraddice quanti – soprattutto a destra – hanno coltivato la mistica dello scontro tra civiltà contrapposte: di qua l’Occidente cristiano e libertario, di là l’Oriente islamico e oscurantista. Tutte le religioni covano pulsioni fondamentaliste. Quello che conta è lo sviluppo della società civile. E il Libano è sempre stato un Paese brulicante di fermenti, in cui il fanatismo più bieco convive con l’aspirazione insopprimibile alla libertà.

Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

2 thoughts on “Matrimonio civile e città secolare

  1. Quello che non è chiaro, anche in rapporto alla questione dei matrimoni tra nubendi dello stesso sesso, piuttosto che poligamici, poliandrici, di gruppo, a tempo, interspecifici, con i defunti, con le divinità, etc., piuttosto che perfettamente tradizionali, è perché nel XXI secolo l’ordinamento civile debba riconoscere il matrimonio tout court, anziché limitarsi a dare efficacia agli (eventuali) patti civilmente rilevanti che intercorrano tra gli interessati, alle loro ultime volontà, alle cointestazioni di beni, etc.

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