11 maggio 2016 Se il senso dello Stato si misurasse con il metro della qualità delle parole dei ministri, allora per quanto riguarda l’affascinante e sempre sorridente (beata lei che ha tanto da sorridere) Maria Elena Boschi il risultato di tale misurazione sarebbe a dir poco deludente. Ieri, criticata da Gianni Cuperlo per alcune dichiarazioni inopportune a proposito della contiguità tra chi voterà “no” al prossimo referendum costituzionale e gli aderenti a un gruppo notoriamente fascista, la signora ha replicato: “Più volte ho sentito equiparare chi vota sì con Verdini. Mi sono limitata a dire che chi vota ‘no’ vota ‘no’ come CasaPound, una valutazione di fatto reale nella sua banalità”. Ricapitoliamo: l’attuale Costituzione è per ispirazione e contenuti anti-fascista; chi la votò decise di inserire tra le disposizioni transitorie e finali una norma che prevedeva lo scioglimento dei partiti che avessero fatto riferimento a quella matrice ideologica e, in applicazione, venne varata la Legge Scelba (su quella base fu sciolto Ordine Nuovo). C’è da dubitare che CasaPound voti contro la riforma costituzionale perché folgorata sulla via di Damasco dell’antifascismo. Come è altrettanto evidente che chi in quella Costituzione si identifica e si è sempre identificato non è stato improvvisamente contagiato dal morbo fascista. Mentre è cosa nota che quelle riforme sono passate al Senato grazie al “soccorso Verdini”. Non sempre i fatti reali sono banali; a volte banali sono le parole e le argomentazioni in libertà.


10 maggio 2016 Se il senso dello Stato si misurasse con il metro della qualità delle parole dei ministri, allora per quanto riguarda l’affascinante e sempre sorridente (beata lei che ha tanto da sorridere) Maria Elena Boschi il risultato di tale misurazione sarebbe a dir poco deludente. Ieri, criticata da Gianni Cuperlo per alcune dichiarazioni inopportune a proposito della contiguità tra chi voterà “no” al prossimo referendum costituzionale e gli aderenti a un gruppo notoriamente fascista, la signora ha replicato: “Più volte ho sentito equiparare chi vota sì con Verdini. Mi sono limitata a dire che chi vota ‘no’ vota ‘no’ come CasaPound, una valutazione di fatto reale nella sua banalità”. Ricapitoliamo: l’attuale Costituzione è per ispirazione e contenuti anti-fascista; chi la votò decise di inserire tra le disposizioni transitorie e finali una norma che prevedeva lo scioglimento dei partiti che avessero fatto riferimento a quella matrice ideologica e, in applicazione, venne varata la Legge Scelba (su quella base fu sciolto Ordine Nuovo). C’è da dubitare che CasaPound voti contro la riforma costituzionale perché folgorata sulla via di Damasco dell’antifascismo. Come è altrettanto evidente che chi in quella Costituzione si identifica e si è sempre identificato non è stato improvvisamente contagiato dal morbo fascista. Mentre è cosa nota che quelle riforme sono passate al Senato grazie al “soccorso Verdini”. Non sempre i fatti reali sono banali; a volte banali sono le parole e le argomentazioni in libertà.


09 maggio 2016 “Amministrare è diverso che fare opposizione: è facile in Parlamento utilizzare frasi sensazionali, ma non è che tutti gli altri sono cattivi e noi tutti buoni. Per sistemare i problemi a volte è necessario sporcarsi le mani”. Federico Pizzarotti, primo sindaco targato Cinque Stelle (attualmente in disgrazia nel partito) impartisce una lezione di realismo ai suoi vecchi compagni di viaggio prendendo spunto dalla vicenda del primo cittadino di Livorno, Filippo Nogarin. Alla vigilia di un successo annunciato alle prossime amministrative, l’allegra “brigata” messa insieme da Beppe Grillo E Gianroberto Casaleggio in maniera piuttosto raccogliticcia, si ritrova a fare i conti con le dure leggi dell’arte del governo. Il giustizialismo fatto di sentenze nei talk show, sul blog della ditta e sui giornali può garantire qualche consenso elettorale ma rischia di trasformarsi in un boomerang quando si punta ad amministrare una grande città come Roma. La realtà è che avremmo bisogno di onestà praticata non proclamata o certificata da nuovi “guru” scesi da vecchi palcoscenici, di giustizia santificata da sentenze passate in giudicato non da arroganti pronunciamenti di giovani e improvvisati Vysinskij anche perché le “purghe staliniane” non furono certo un luminoso esempio di civiltà giuridica. Come ha detto Rosy Bindi che guidando la commissione antimafia ha acquisito una certa conoscenza del rapporto tra politica e malaffare, nessuna forza politica può scagliare la prima pietra senza il rischio che ritorni violentemente indietro. Se il Movimento 5 stelle vuole governare, si impegni a crescere, smettendola di identificare la realtà con il proprio blog, le leggi dello Stato con quelle della propria confraternita, un avviso di garanzia con il giudizio universale. Glielo consiglia persino Pizzarotti che sarà pure un reprobo ma a Parma un po’ si è allenato.


06 maggio 2016  Mitt Romney, candidato alla Casa Bianca contro Barak Obama, ha annunciato che si guarderà bene dal sostenere Donald Trump (che, peraltro, all’inizio della campagna elettorale lo aveva ricoperto di insulti). John McCain, eroe della guerra nel Vietnam, ed ex candidato anche lui per la presidenza degli Stati Uniti, si smarca dallo scoppiettante imprenditore (che pregusta la sfida con Hillary Clinton) prevedendo che se dovesse correre per la Casa Bianca, la sua carriera politica sarebbe finita perché in Arizona, lo stato in cui lo votano, con il 40 per cento di ispanici, la sua sconfitta sarebbe certa. I due George Bush, padre e figlio, a loro volta promettono che non parteciperanno alla campagna elettorale. Trump vuole chiudere le porte agli immigrati. Nel frattempo ha già messo alla porta alcuni grandi protagonisti del partito repubblicano.


03 maggio 2016 La Lega di Matteo Salvini ha deciso di dotarsi di un blog. E usando i consueti toni “moderati”, ha lanciato al lettore (effettivo e potenziale) un invito: “Libera la bestia che è in te”. Con una aggiunta che appare un po’ in contraddizione visto che poi viene spiegato che il partito fondato da Umberto Bossi punta a dare voce alla “maggioranza silenziosa” esistente in Italia. Ora, a parte il fatto che con i social network silenziosi sono rimasti solo gli animali domestici, cani, gatti, canarini, soprattutto pesciolini rossi (da escludere persino le formiche che, come dicevano Gino e Michele, nel loro piccolo si incazzano), è evidente che uno che “libera la bestia” che è dentro di lui propriamente con la bocca cucita non è abituato a rimanere, immaginiamo, ad esempio, che a un crocevia, davanti a un automobilista che non gli garantisce la precedenza, possa anche urlare in un eccesso di rabbia. Altrimenti che “bestia” nasconderebbe sotto la giacca o il maglione o il tailleur modello pitonessa parlamentare Ma al di là di questo, c’è un’altra questione: ma perché non lanciare anche l’invito a liberare l’intelligenza che è in noi? Sarebbe non solo più produttivo ma anche più rispettoso delle altrui qualità intellettive.


02 maggio 2016 Per ora è un segno di speranza che nei prossimi due anni può trasformarsi in una inversione di rotta. Ed è significativo che quel segno si arrivato il giorno dopo il Primo Maggio, festa del lavoro. La festa venti operai di Termini Imerese l’hanno celebrata quando nella mattinata del 2 maggio i cancelli della ex fabbrica Fiat si sono riaperti dopo cinque anni di paure, delusioni e veri e propri drammi umani e familiari. Era il 24 novembre del 2011 quando la Fiat di Marchionne (quello che a parere di Renzi ha fatto per i lavoratori molto di più dei sindacati) fece le valigie e abbandonò uno stabilimento che era stato uno dei simboli di quel processo di industrializzazione del Mezzogiorno rivelatosi nel tempo più simile a una chimera che a una realtà concreta. Entro un paio di anni dovrebbero rientrare sotto le insegne Blutec (auto elettriche) altre settecento persone a cui Marchionne aveva sbattuto i cancelli in faccia. Questa parzialissima riapertura al momento è come una goccia di pioggia in un deserto. La speranza è che si trasformi in un benefico nubifragio, per la Sicilia e per il Sud in generale.


01 maggio 2016 SE 8 ORE…-di ANTONIO MAGLIE- Nella prima metà degli anni Novanta del secolo scorso, quando l’ultima rivoluzione industriale, quella della comunicazione, cominciava ad assumere ritmi accelerati, i cyberottimisti vagheggiavano l’ipotesi della “fine del lavoro”. L’intelligenza artificiale ci avrebbe liberati dagli affanni, il mondo sarebbe diventato più bello, più ricco, odoroso come i giardini dell’Eden. Meglio diffidare degli ottimisti: spesso non sanno quello che dicono o prevedono. Perché le cose sono andate come Pierre Carniti ha spiegato in un saggio di tre anni fa: “Con le nuove tecnologie il lavoro è finito anche in casa, in spiaggia, in viaggio. A tutte le ore. L’esito deplorevole di questo sviluppo è stato che quanti, bene o male, hanno conservato un posto di lavoro (ma temono di perderlo) sono impegnati ben oltre le 45 ore settimanali, in alcuni casi superano infatti le 60, 80 ore. Cioè peggio di centocinquanta anni fa”. No, non è il lavoro che è finito: è stato spazzato via, quasi con un colpo di machete, il concetto di dignità che si accompagnava al lavoro. Ecco perché quella di oggi non è una festa ma deve essere un momento di seria riflessione. E, possibilmente, di mobilitazione. Perché diventa sempre più urgente una azione collettiva (politica e sindacale) che restituisca al lavoro (e ai cittadini) quel che è stato tolto. Il neo-liberismo ha travolto gli argini, a volte nell’indifferenza di quelle forze che avrebbero dovuto irrobustirli, altre volte addirittura con la loro complicità.

Tutto si è fatto sulle spalle dei lavoratori: una claudicante Unione Europea che si regge sul totem di quella moneta unica che non consentendo la svalutazione monetaria, ha provveduto a trasferire quella svalutazione sul lavoro, comprimendo salari, cancellando contratti, abbattendo diritti, annullando garanzie, “giovandosi” di quell’esercito di riserva sempre più numeroso rappresentato dai disoccupati, applicando anche agli uomini le regole della concorrenza spietata che si pensava dovessero valere solo per le merci. La globalizzazione è stata il grimaldello per scarnificare il welfare, per minare le fondamenta dello stato sociale, per dirottare sempre di più verso l’élite dei ricchi e ricchissimi gli incrementi della ricchezza mondiale determinando una disuguaglianza che non ha precedenti. Lo ha detto Papa Francesco: questa economia uccide. Uccide le persone impoverendole; uccide le speranze dei giovani costringendoli a “svendere” le loro conoscenze.
Ora, quelle stesse istituzioni che hanno svolto il ruolo di “guardie armate” del neo-liberismo preparano una sorta di autoriforma del sistema capitalistico dicendo che bisogna aumentare i salari e che non funziona nella maniera migliore una società che consente alle grandi imprese di accumulare sempre più utili. Perché è chiaro: la crisi non è stata uguale per tutti. Il conto lo hanno pagato i lavoratori: 197 milioni di disoccupati nel 2015, ventisette in più del periodo pre-crisi; aumenteranno nel 2016 di altri 2,3 milioni e nel 2017 di 1,1 milione. Lo dice l’Organizzazione Internazionale del Lavoro e non ci sono motivi per non dare credito a questa previsione. D’altro canto sempre Pierre Carniti sosteneva: “I fattori di insicurezza che derivano e si riflettono sulla situazione del lavoro sono molteplici. Non ultimo il fatto che la popolazione attiva mondiale è rapidamente aumentata, E’ infatti passata da un miliardo e 200 milioni del 1950, a circa 3,5 miliardi nel 2010. Il risultato è che nel mondo è cresciuta enormemente l’offerta di lavoro, senza che di altrettanto si sviluppasse la domanda”. Troppo facile in queste condizioni trasformare il lavoro in una concessione: prendere o lasciare, un terreno fertile su cui coltivare le nuove forme di schiavismo. Che non riguardano solo il terzo mondo, ma anche il nostro mondo. Non è la crisi ma il neo-liberismo che ci ha fatto conoscere definizioni nuove: working poor, ad esempio, lavoratore-povero. Un “non senso” ancora negli anni Settanta perché chi un lavoro lo aveva, povero non poteva essere. Questa giornata sarà una festa se riuscirà a creare le condizioni per un grande cambiamento perché, come diceva Riccardo Lombardi, “a sinistra è chi crede sia possibile cambiare il mondo”.


28 aprile 2016 Silvio Berlusconi sembra intenzionato a cedere la sua creatura prediletta, il Milan. Ma nell’attesa di abbandonare il calcio (negli ultimi anni una idrovora di spese a fronte di risultati molto deludenti), ha deciso di trasferire nella politica alcuni dei riti in voga nel mondo del pallone, anzi il rito catartico per antonomasia: l’esonero. E così dopo aver rispedito a casa, a Roma, Sinisa Mihajlovic, per sostituirlo in panchina con Brocchi, ha deciso di regolarsi nella medesima maniera nella corsa per la poltrona più importante del Campidoglio, quella di sindaco. Via Bertolaso per far posto al centro del suo cuore (che è poi anche il simbolo del nuovo prescelto) ad Alfio Marchini, ragazzo di bell’aspetto, che sembra uscito da una storica soap in onda su uno dei canali dell’ex cavaliere, Beautiful, titolo che nella capitale potrebbe tranquillamente essere tradotto con un bel “er piacione”. L’unica differenza tra i due esoneri è nell’ingaggio: a Mihajlovic Berlusconi lo paga ancora, con Bertolaso l’esborso gli verrà risparmiato.


27 aprile 2016 L’Inps ha annunciato che stanno partendo le prime centocinquantamila buste arancioni. Tito Boeri, presidente dell’Istituto, si è così garantito quel settimanale spazio mediatico a cui sembra particolarmente affezionato. Da diversi mesi l’annuncio viene periodicamente ripetuto; nel mezzo anche l’accusa al mondo politico, reo di aver boicottato la partenza delle preziose e misteriose missive per motivi elettorali. Bisogna ammettere che dal momento della prima comunicazione alla partenza di queste prime centocinquantamila buste è passato un bel po’ di tempo. E sì che le Poste Italiane non hanno mai brillato per velocità, ma a questo ritmo il presidente Boeri le “buste” avrebbe potuto recapitarle personalmente, casa per casa.


25 aprile 2016 ORA E SEMPRE… -di ANTONIO MAGLIE- Quinto Bevilacqua, operaio, socialista: “Carissimi genitori, ricevendo questa mia avrete certamente già appreso la brutta notizia che ora sto per darvi, fatevi coraggio, specialmente tu mamma che sei così debole, cerca di essere forte e di sopravvivere più che puoi magari sino a cento anni, così almeno potrai vedere l’opera che tuo figlio benché contrario alle tue idee ha iniziato”. Paolo Braccini, docente universitario, azionista: “Cocca mia, moglie mia bella… tu sai perché io muoio. Tienilo sempre presente e fallo sempre presente a tutti, specialmente alla nostra bambina, il nostro sangue, la nostra vita. Non devi piangere per la mia fine: io non ho avuto un attimo di rammarico: vanne a fronte alta”. Domenico Caporossi, elettricista, comunista: “Cara mamma, vado a morire, ma da partigiano, col sorriso sulle labbra ed una fede nel cuore. Non star malinconica, io muoio contento”.

Un operaio, un elettricista, un docente universitario: era questa l’Italia che rinasceva il 25 aprile del 1945. Sul loro sangue, sul loro sacrificio, accettato non per incoscienza, ma per la forte consapevolezza di un dovere da compiere nell’interesse di tutti, anche di coloro che avevano preferito astenersi, che avevano piegato la testa, che avevano accettato la barbarie fascista e le sue conseguenze più nefaste (l’alleanza con Hitler, e tragiche e in qualche maniera anche ridicole avventure coloniali, la seconda guerra mondiale poco più di vent’anni dopo la fine della prima, l’occupazione, i rastrellamenti, le torture, le deportazioni, le leggi razziali, la persecuzione anti- ebraica) con l’intento utilitaristico di avere il più lauto guadagno personale possibile. Erano le due Italie: da un lato quella generosa di chi imbracciava un fucile andava a morte per un’idea di libertà, dall’altra quella individualista ed egoista di chi prendeva una tessera per fare carriera, per ottenere piccoli o grandi privilegi, per vivere tranquillamente all’ombra di un potere che si era costituito utilizzando il piedistallo dell’abuso, della prepotenza, della sopraffazione, della negazione dei diritti fondamentali. Da un lato l’Italia della Resistenza, dall’altro quella desistenza “esaltata” alla fine della guerra da Guglielmo Giannini (anche lui uomo di spettacolo, un po’ come Beppe Grillo) attraverso quel movimento (l’Uomo Qualunque) che produrrà la nascita di un neologismo: qualunquismo.
La foto che pubblichiamo spiega cosa fu la Resistenza e le idealità che si incontrarono: Enrico Mattei, democristiano, Luigi Longo, comunista, Raffaele Cadorna, capo di quei militari che avevano deciso di combattere per liberare l’Italia, Ferruccio Parri, azionista, Sandro Pertini, socialista, Riccardo Lombardi, azionista e poi socialista, Fermo Solari, azionista e poi socialista, Ugo La Malfa, azionista e poi repubblicano. E accanto a loro, gli antifascisti storici, in una foto ideale la vera “Meglio Gioventù”: donne e uomini, diciottenni, ventenni che l’8 settembre del 1943 decisero che solo un moto d’orgoglio, qualcosa che richiamasse in qualche maniera il Risorgimento, avrebbe restituito all’Italia la dignità che Mussolini aveva calpestato in un lungo, buio ventennio.
E oggi più che mai, in un’Italia inquieta, distratta, impaurita, incerta sul proprio futuro, il 25 aprile non è celebrazione, non è ricordo ma è il richiamo alle nostre radici migliori. All’epigrafe scritta da Pietro Calamandrei per il monumento che reclamava il “macellaio” Kesserling: “Su queste strade se vorrai tornare/ ai nostri posti ci ritroverai/ morti e vivi collo stesso impegno/ popolo serrato intorno al monumento/ che si chiama/ ora e sempre/ Resistenza”.


20 aprile 2016 Enrico La Loggia, famoso ex deputato berlusconiano (scegliete voi la sigla: Forza Italia, Pdl, cambia poco) è veramente l’uomo giusto al posto giusto. Infatti, uscito di scena dalla grande (?) politica, gli hanno dato il premio di consolazione di un posto nella presidenza della Corte dei Conti. E lui i conti li sa fare veramente bene. Ispirato dalla pubblicità di un famoso gelato (due gusti meglio di uno) ha aperto un contenzioso con la Camera dei deputati per reclamare il pagamento (congelato per legge) del vitalizio maturato “pascolando” per l’emiciclo e il Transatlantico per ben cinque legislature. Insomma, punta a “raddoppiare” la paga della Corte dei Conti con la “pensione” parlamentare. D’altro canto, le spese aumentano. In ballo 65 mila euro di arretrati (tredici mesi non liquidati) e un versamento mensile di 5.079 euro. Mica bruscolini. E La Loggia, uomo di conti, i conti se li è fatti e li ha presentati ai contribuenti. Agli italiani non resta altro da fare che consolarsi parafrasando lo slogan scelto anni fa da una azienda telefonica per pubblicizzare la convenienza delle proprie tariffe: “Enrico, quanto ci costi!” E pensare che da guardiano delle spese statali, dovrebbe evitarci quelle inutili.


19 aprile 2016 Se fosse stato un calciatore (ma non è andato al di là del ruolo di arbitro per giunta non di primo piano), sarebbe stato Pippo Inzaghi. Chi lo ha dimenticato. Attaccante straordinario, capace di acquattarsi tra le linee avversarie, di far perdere le sue tracce ai marcatori e di scattare sul filo del fuorigioco mentre tutti gli altri suoi colleghi vi cadevano inesorabilmente. Matteo Renzi è esattamente come lui. Ha brindato con i “lavoratori” ai quali sino ad ora ha tolto soprattutto diritti (mentre “minaccia” di decidere per legge dei minimi salariali) facendo propria la tesi dei petrolieri che sostenevano che con il referendum sarebbero scomparsi undicimila posti di lavoro, cosa totalmente destituita di fondamento. Si è intestato una vittoria che persino una squadra di calcio da tempo condannata alla retrocessione avrebbe ottenuto facendo leva su chi non è interessato non alle trivelle ma alla partecipazione in generale (alle famose europee del 2014, quelle del “trionfo” renziano, l’assenteismo fu del 41,3 per cento); il giorno dopo il referendum ha “ordinato” alle Regioni (che di colpe ne hanno comunque parecchie) di pulire i mari come se con la dislocazione delle trivelle davanti alle nostre coste (e anche sulla penisola) lui non c’entrasse nulla; ha ripetuto che alle prossime amministrative si scelgono i sindaci mentre il governo non è in gioco (ma lo diceva anche prima della famose Europee; dopo, a scrutinio avvenuto, cambiò idea). Grandissimo, come Inzaghi. Anzi, molto meglio.


15 aprile 2016 “Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. La dichiarazione, in fondo banale visto che illustra un semplice dato di fatto, assume un significato clamoroso a causa del suo autore: Giorgio Napolitano. Perché va detto con sincerità: che un ex presidente della Repubblica si esprima a favore dell’astensionismo (per quanto riconosciuto nella fattispecie specifica del referendum) è molto più che sorprendente, quasi scioccante visto il ruolo di custode e garante della Costituzione che l’uomo politico ha svolto per ben nove anni. Dispiace perché è anche il segno del crepuscolo di un leader che pure per molti anni, da Capo dello Stato, aveva raggiunto vette altissime di popolarità, tanto alte da guadagnarsi la qualifica di Re Giorgio. Sarebbe opportuno che adesso, nel suo ruolo di ex, evitasse di coltivare l’ambizione di essere nominato Imperatore.


13 aprile 2016 Il presidente egiziano Abdel-Fattah al Sisi, cioè uno di quelli a cui l’Occidente in un eccesso di generosità ha riconosciuto “credibilità democratica” perché prometteva di toglierci le castagne dal fuoco, ieri è tornato sul caso Regeni per confermare che il suo paese e il suo governo hanno con la verità un rapporto piuttosto conflittuale. Il presidente, infatti, ha sostenuto che i servizi di sicurezza non hanno alcuna responsabilità nell’uccisione (sarebbe meglio parlare di martirio) del giovane ricercatore, che semmai le colpe sono di quei media che hanno pubblicato montagne di menzogne. Ha concluso: “E’ stato ucciso da gente malvagia”. E’ l’unica cosa su cui si può concordare.


12 aprile 2016  In Macedonia riservano ai migranti solo pallottole di gomma. In Austria, al Brennero, stanno tirando su il filo spinato (una roba che ricorda tempi lontani, non lontanissimi, spietati, in cui l’uomo aveva deciso di organizzare il funerale della ragione) per difendersi dalle eventuali ondate che arriveranno dall’Italia ora che la rotta balcanica è chiusa. In Bulgaria il premier si prepara a chiudere i pori residui delle sue frontiere dimenticando l’accoglienza che l’Europa riservò ai suoi connazionali quando il Muro crollò. A Francavilla Fontana, provincia di Brindisi, Italia, due signori avevano messo su un redditizio e crudele commercio: reclutavano immigrati per impiegarli sottopagati (30 euro al giorno) nei campi; tredici-sedici ore al giorno di lavoro, poca acqua, poco cibo e un breve riposo in capanne fatiscenti. La domanda sorge spontanea: possiamo definirci ancora civili?


11 aprile 2016  Obama tempo fa lo salutò con queste semplici parole: “Io sono il presidente degli Stati Uniti, ma tu sei il Boss”. Bruce Sprengsteen è una icona del rock in tutto il mondo. Di quello più vecchio che ha sempre legato l’impegno musicale con quello civile, che era la colonna sonora dei Campus in rivolta, del movimento dei Figli dei fiori. Insomma, di una parte non trascurabile della società in evoluzione. Se così non fosse non si capirebbe perché da ormai oltre quarant’anni Bruce continui a riempire piazze e stadi. Sarà così anche prossimamente in Italia, a luglio. Ma nel frattempo a Greensboro, North Carolina, si è rifiutato di salire sul palco. Con una motivazione che si riallaccia appunto a quel legame tra diritti del rock e diritti civili: una legge che discrimina la comunità Lgbt nell’uso dei bagni. E nel comunicato con cui ha annullato il concerto, ha spiegato senza giri di parole la sua rabbia: “Per come la vedo io, questo è un tentativo da parte delle persone che non sopportano i progressi raggiunti nel nostro paese nel riconoscimento dei diritti di tutti i nostri cittadini, di sovvertire questi diritti”. Grande Paese, l’America: ci sono Trump e Cruz, ma c’è anche il Boss. A noi, invece, resta solo Matteo Salvini.


08 aprile 2016 Ci sono state (e ci saranno ancora) molte frasi che sono entrate tristemente nel lessico pubblico. Quella pronunciata al telefono da Gianluca Gemelli, compagno dell’ex ministro Federica Guidi, un ragazzotto che prima di essere scoperto con le dita nella marmellata produceva tweet anti-casta, occuperà un posto di tutto rispetto in quella sorta di Bestiario che fa dell’Italia un paese, come diceva Bufalino a proposito della Sicilia, “irredimibile”. La frase è semplice nel suo contenuto violento: “La Borsellino andrebbe eliminata”. La Borsellino in questione è Lucia, figlia di Paolo, magistrato integerrimo ucciso dalla mafia, uno che combatteva sul serio e non si limitava a scrivere tweet infantili (peraltro all’epoca non esistevano). Una parentela che per Gemelli non è motivo di orgoglio ma una pecca perché l’ex assessore alla salute della regione siciliana farebbe parte di “quelli che utilizzano i cognomi dei martiri per fare carriera, fanno ancora più schifo degli altri”. La Guidi ora dice di essere parte lesa. Ma si è evidentemente lesa da sola non avendo capito chi aveva accanto.


07 aprile 2016 Il Totalgate non ha solo prodotto una grande fibrillazione all’interno del governo, ha fatto anche esplodere una crisi di coppia. Federica Guidi e Gianluca Gemelli senza saperlo sono i veri eredi degli anni della grande contestazione giovanile, quella che teorizzava che “il privato è politico e il politico è privato”. La traduzione del principio che i due hanno fornito è ovviamente personale non riguardando le grandi idee, i grandi diritti individuali, le grandi libertà ma solo gli affari. E così, mescolando e rimescolando privato e politico, si giunge a una telefonata in cui l’ex ministra si sfoga con il compagno (presumiamo orami ex)  in maniera allo stesso tempo irritata e amareggiata: “Mi tratti come una sguattera del Guatemala”. E qui sorge un interrogativo: perché la sguattera deve essere proprio del Guatemala? E cos’è che indigna maggiormente l’ex ministra, il fatto di essere sguattera o di essere di nazionalità extracomunitaria? Una cosa, però, è chiara: chi viaggia nella vita in prima classe trova sempre irritanti i passeggeri della seconda e della terza. In ogni caso, meglio essere sguatteri che essere usati dal proprio compagno: i primi si guadagnano dignitosamente da vivere, i secondi…


06 aprile 2016 Maurizio Gasparri, uomo che offre la dimensione precisa del significato che in Forza Italia si attribuisce all’aggettivo “liberale”, ha ingaggiato un vero e proprio “duello” cybernetico con studenti e docenti della facoltà di Scienza della Comunicazione dell’università romana “La Sapienza”. L’uomo, d’altro canto, è noto per usare con estrema disinvoltura ed efficacia i “social”. Nel corso di una lezione sull’informazione attraverso internet, era stato chiamato in causa proprio per alcune delle sue ultime, straordinarie “performance” (il leggendario “chiesimo” rivolto a Giorgia Meloni contenuto in un tweet che ha determinato le dimissioni un suo collaboratore). “Provocato”, sempre telematicamente, da uno studente, prima ha risposto con lievità (“dementi”) poi con l’annuncio di iniziative, diciamo, politiche (“ora mi occuperò di voi per evitare degrado dell’università e sprechi”). Si sa, quelli di Forza Italia quando si interessano all’università lo fanno con successo. Mariastella Gelmini, da ministro, costi e sprechi li ha ridotti anni fa nella maniera più semplice e sicura: mettendo in fuga i ricercatori. Da Gasparri ci attendiamo un salto di qualità: la chiusura degli atenei grazie all’azzeramento degli studenti. Tanto, sono “dementi”.


04 aprile 2016 Parlando agli “aspiranti” leader del Pd, Matteo Renzi ha sostenuto che Marchionne ha fatto per l’occupazione più di quanto non abbiano fatto “certi sindacalisti“. Opinione legittima come, peraltro, quella di chi sottolinea che il manager di Fca ha potuto mietere successi (e lauti guadagni) personali arrivando al vertice di una azienda (la vecchia Fiat) che certo ha dato parecchio all’Italia ottenendo in cambio, però, molto di più. Comprensibile il moto d’orgoglio (o il conato di vanità) del presidente del consiglio nei confronti della dichiarazione di voto a lui favorevole espressa da Marchionne che, peraltro, quel diritto di voto non eserciterà mai. E, allora, prima di esaltare le benemerenze di un cittadino tecnicamente straniero (vive all’estero, paga le tasse altrove e guida una azienda che espone il simbolo tricolore ormai solo sulle monoposto Ferrari), sarebbe opportuno che il presidente del Consiglio rivolgesse un pensiero molto più grato nei confronti di quei lavoratori e pensionati che forse per l’occupazione fanno meno di Marchionne ma che per l’Italia e per i suoi conti fanno molto, molto di più pagando le imposte sino all’ultimo centesimo. D’altro canto, non fu uno di quei sindacalisti così detestati da Renzi, ma un illustre imprenditore come Diego Della Valle, a pronunciare alcuni anni fa queste parole: “Marchionne se si sente orgoglioso di essere italiano, cominci a pagare le sue tasse personali in Italia dove le pagano i lavoratori Fiat”.


02 aprile 2016 Da alcuni giorni campeggia nelle strade romane un manifesto di Alfio Marchini, candidato sindaco della Capitale, con il seguente messaggio: “Liberi dai partiti”. Per essere lo slogan di un candidato civico appare in realtà privo di spirito civico perché in assenza di altri strumenti, i partiti restano l’unica maniera per dare concretezza alla democrazia rappresentativa. Semmai bisognerebbe liberarsi dai corrotti che li usano come bancomat e dai trasformisti che li utilizzano come taxi. Ma a parte questo ragionamento di filosofia spicciola, il messaggio sembra un po’ in contraddizione con i movimenti del candidato che da diversi giorni appare impegnato nel corteggiamento di un altro “collega” candidato (Bertolaso) espressione a sua volta di un partito (Forza Italia). E tre anni fa, in occasione della precedente corsa, lo stesso “pretendente” civico qualche “segnale”, almeno inizialmente, lo lanciò verso il Pd. Lui, in effetti, sembra veramente libero dai partiti perché evidentemente disponibile a usarli tutti. A patto che lo scarrozzino sino al Campidoglio.


31 marzo 2016 Nonostante le tasse sempre più alte, la casa continua a essere il risparmio preferito dagli italiani. Se poi a farsi carico delle spese di acquisto o ristrutturazione sono altri, allora si trasformano in un vero affarone. Poi, però, capita di “scivolare” sulla buccia di banana. Ne sa qualcosa l’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, “costretto” a intestarsi una abitazione con vista Colosseo pagandola a un prezzo al metro-quadro decisamente inferiore alle quotazioni della zona. Adesso la medesima sventura è toccata al cardinale Tarcisio Bertone. Sono sotto inchiesta in Vaticano per appropriazione indebita due ex manager dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù: con i soldi della Fondazione, infatti, invece di migliorare qualche reparto, hanno provveduto a rendere più comoda la “modesta” dimora del cardinale: “appena” settecento metri quadri e trecento di terrazza (un po’ di sole fa sempre bene). Lui, il Cardinale, garantisce di non aver mai autorizzato quel finanziamento dei lavori. Per metterci una pezza aveva addirittura fatto una offerta da 150 mila euro (non è stato mai specificato, però, come e quando li avrebbe versati) al Bambin Gesù, comunque inferiore alla somma spesa per la ristrutturazione dell’appartamento. Ma non è bastata. L’inchiesta è andata avanti e c’è chi giura che alla fine coinvolgerà anche lui. E pensare che proprio a partire da quest’anno non si pagherà la Tasi.


23 marzo 2016 Nel diluvio di parole, spesso sgangherate, tra esperti dell’acqua calda e politici in trasferta a Bruxelles con tablet da diporto, travestiti da Rambo ma a debita distanza dai veri luoghi del dramma, pronti a lanciarsi nell’agone non con uno scatto umanitario bensì con un tweet a uso elettoral-casalingo, spiccano quelle semplici e ragionevoli pronunciate da Emma Bonino ai microfoni di “Ballarò”. Senza funambolici giri dialettici o sofisticate analisi politiche, belliche, religiose o presuntuosamente culturali, l’ex ministra degli esteri ha spiegato una cosa semplicissima: prima di prepararci a bombardare chissà chi e chissà cosa, dovremmo fare un paio di interventi che ci riguardano direttamente. Il primo: mettere ordine nelle intelligence europee integrandole ed evitando così all’Europa l’umiliazione di dover “appaltare” alla Turchia (non proprio un modello di governo democratico e certo non estranea alla complessa situazione che si è creata in quell’area) la difesa dei confini esterni. La seconda: costruire una idea di integrazione un po’ diversa da quella che è stata applicata nel sobborgo di Molebeek. Semplice e chiaro. Forse per questo nessuno la prenderà in considerazione.


21 marzo 2016 Antonio Razzi, ovvero l’uomo che appare più realistico nella sua imitazione (nella versione di Crozza), ha deciso: vuole partecipare alla corsa per il Campidoglio. Insomma, ha deciso di “scendere in campo”, allocuzione di moda sin dagli albori dell’era berlusconiana, poi modificata da Mario Monti in “salire in campo”. Nell’uno e nell’altro caso, il risultato non cambia e consiste nell’infilare il proprio nome in una lista elettorale (nel caso di Monti senza chiedere voti per sé essendo senatore a vita). Razzi, l’uomo che “sussurrava” anche ai dittatori nord-coreani più o meno come Robert Redford lo faceva con i cavalli, ha spiegato che con 470 mila abruzzesi che hanno scelto la Capitale come patria di elezione (o emigrazione), la sua corsa può diventare vincente. Tutto è possibile, anche l’impossibile. Al momento la sua scelta conferma una vecchia profezia e cioè che la storia concede sempre due repliche, la prima sotto forma di tragedia, la seconda di farsa.


19 marzo 2016 Prendendo spunto da uno sciopero proclamato a Roma nei trasporti pubblici da alcuni sindacatini (Cub, si-Cobas, Usi-Ait e Sgb), Matteo Renzi ha tuonato: “Credo che i cittadini si meritino altro che vedere piccole sigle sindacali che scioperano contro la guerra che non c’è. Questo pone il grande problema della rappresentanza sindacale che auspico sindacati e Confindustria possano risolvere perché o lo facciamo noi o lo fanno loro”. Per completezza di informazione, lo sciopero era anche contro la politica economica del governo. In ogni caso, motivazioni forzate e strumentali. Ma forzata e strumentale è anche la sortita di Renzi. Che quando prende certe posizioni dimentica che in Italia esiste solo un altro precedente, ben poco commendevole, di condizionamento governativo dell’autonomia delle parti sociali e di conseguente definizione del concetto di rappresentanza. Portò a un “Patto” e a una “Carta del lavoro”. Nel “Patto” si leggeva: “La Confederazione generale dell’industria riconosce nella Confederazione delle corporazioni fasciste e nelle organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva delle maestranze lavoratrici. La Confederazione delle corporazioni fasciste riconosce nella Confederazione generale dell’industria e nelle organizzazioni dipendenti la rappresentanza esclusiva degli industriali… In conseguenza le commissioni interne di fabbrica sono abolite e le loro funzioni sono demandate al sindacato locale che le eserciterà solo nei confronti della corrispondente organizzazione industriale” (Palazzo Vidoni, 2 ottobre 1925). Nella “Carta” al punto III era postulato: “L’organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori”. Il provvedimento porta la data del 21 aprile 1927. L’autore di questi due “interventi” fu Benito Mussolini (nel mezzo anche un “contributo” del giurista di regime, Alfredo Rocco datato 3 aprile 1926). Tra quelle antiche “iniziative” e gli attuali proclami di Renzi non sembra esserci, per quanto non voluta, una certa, pericolosa (soprattutto per un premier che si definisce di centro-sinistra) assonanza?


17 marzo 2016  È stato reso pubblico il World Happiness Report 2016, in pratica un indice globale della felicità. L’Italia è cinquantesima e considerate come vanno le cose nel nostro Paese, ci possiamo anche stare: siamo messi male ma non malissimo visto che dietro di noi ci sono altre 106 nazioni. Sinceramente, però, riesce un po’ complicato pensare che in Colombia o in Algeria o nel Salvador o nel Nicaragua o in Uzbekistan sorridano più di noi. Si tratta di misurazioni che lasciano il tempo che trovano: affascinanti per poche ore, il tempo necessario per commentarle in Tv o pubblicarle su un giornale per stimolare la curiosità dei lettori e qualche dibattito al bar sul governo perennemente ladro. Uno degli animatori dell’iniziativa ha inoltre sottolineato che sarebbe un errore valutare la felicità in base al Pil. Non una grandissima scoperta. “Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Era il 18 marzo del 1968 quando Robert Kennedy pronunciò questa parole. E allora il World Happiness Report non veniva ancora redatto.


16 marzo 2016  No, non era un cittadino esemplare e i tedeschi sono stati obbligati a prenderne atto, seppur dopo tentennamenti e dichiarazioni contraddittorie. Di Wilhelm Kusterer in questo blog ci siamo occupati un po’ di tempo fa. L’uomo, ora novantaquattrenne, era un sergente delle Ss quando gli “squadroni della morte” nazisti planarono su Marzabotto lasciando alle loro spalle una scia di sangue che nemmeno il tempo può cancellare. Il sindaco del paese natale, Engelsbrand, aveva deciso di premiarlo con una medaglia per i servizi di grande valore sociale, resi alla comunità (poco più di quattromila anime in tutto). Il sindaco prima ha provato a resistere, alla fine, però, si è arreso e dopo aver letto la sentenza del tribunale militare di appello di Roma che ha condannato Kusterer all’ergastolo, ha deciso che i servigi resi al piccolo paese tedesco saranno stati pure lodevoli, ma i fantasmi che l’uomo si porta a spasso sono terribili e non possono essere cancellati da nessuna benemerenza successivamente conquistata nella vita di tutti i giorni. Kusterer, peraltro, non si è mai pentito, non ha mai chiesto scusa a quella comunità italiana a cui ha lasciato in eredità solo croci su cui pregare. E’ in vicende come queste che, parafrasando Vincenzo Cuoco, si può parlare dell’utilità della storia.


15 marzo 2016 Vi viene in mente quella bella pubblicità per l’otto per mille a favore della Chiesa cattolica in cui si vedono missionari in azione in condizioni difficili, scuole in lontani paesi poveri, interventi di recupero sulle nostre strade? Ebbene non dimenticatele nemmeno quando, fra pochi giorni, comincerete a elaborare la dichiarazione dei redditi. Perché in quell’immagine rassicurante ed idilliaca c’è qualcosina che non funziona e a cui Papa Francesco dovrebbe dare un’occhiata. E’ una storia vecchia. L’aveva già tirata fuori un po’ di tempo fa Milena Gabanelli nella trasmissione “Report” segnalando che del miliardo che la Chiesa raccoglie con l’otto per mille, soltanto duecento milioni finanziavano le opere pie giustamente santificate nella pubblicità. Quella analisi ora viene confortata dalla Corte dei Conti che spiega come appena un quarto della somma raccolta venga spesa in attività benefiche (la ragione profonda del contributo), mentre un terzo serve per pagare gli stipendi al clero e il quaranta per cento a coprire le “esigenze di culto e pastorali”, cioè fondo per la catechesi, tribunali ecclesiastici, costruzione e manutenzione di edifici. In alcune curie addirittura il settanta per cento dei ricavi si trasforma in stipendi a favore della burocrazia sacerdotale. Dato che si tratta di quattrini degli italiani e dato che i porporati chiedono allo Stato conto delle sue scelte “morali” (leggi unioni civili), sarebbe più che opportuno che lo Stato, istituzione più prosaica, chiedesse a sua volta alla Chiesa conto delle scelte materiali fatte con i soldi dei suoi cittadini.


14 marzo 2016 Patrizia Bedori con le lacrime agli occhi ha rinunciato a concorrere, per conto del Movimento 5 stelle, alla poltrona di sindaco di Milano. Ha attribuito la responsabilità della sua rinuncia alla stampa colpevole di averla fatta sentire sotto pressione mediatica (ohibò!). La tesi è a dir poco stravagante. Ma a che tipo di corsa pensava di essersi iscritta? Forse a quella per diventare presidente di un consiglio di condominio alla Bovisa? Qualcuno avrebbe dovuto avvertirla che si era proposta di guidare una grande metropoli non semplicemente italiana ma europea e che nell’onere (ma anche nell’onore) complessivo avrebbe dovuto calcolare l’inevitabile pressione mediatica. Su, signora Bedori, sia sincera, prima di tutto con sé stessa: semplicemente si è resa conto che i suoi compagni di partito (soprattutto quelli più importanti, quelli che decidono) la consideravano inadeguata per il ruolo tanto da mobilitare, per convincerla al passo indietro, anzi di lato, le truppe corazzate (Dario Fo) e quelle cammellate. Sì, lei è rimasta vittima di una pressione. Ma non mediatica.


13 marzo 2016 Il simbolo della Repubblica italiana è il “cittadino a sua insaputa”. La Cgia di Mestre ha tirato fuori una indagine piuttosto singolare: i lavoratori dipendenti hanno con il fisco un rapporto diverso (più leale) da quello che intrattengono gli autonomi perché le imposte gliele fanno pagare alla fonte. Al contrario degli autonomi che dall’Agenzia delle Entrate sono chiamati a pagare “in misura consapevole”. Si potrebbe giungere alla conclusione che se paghi consapevolmente, puoi essere indotto a evadere, se, al contrario, te li tolgono “nel chiuso” di una busta paga, si applica il principio dell’occhio non vende, cuore (o portafoglio) non sente. Se la questione non tirasse in ballo problemi seri come un’economia sommersa che in Italia sfiora per dimensioni quasi un terzo dell’economia “chiara”, si potrebbe anche sorridere. Ma la Cgia con le sue analisi sembra far sul serio. E allora non resta altro da fare che ricordare ai vertici di quella organizzazione che in un regime democratico tutte le scelte sono (o dovrebbero essere) consapevoli. Anche quelle peggiori come evadere il fisco.


11 marzo 2016 Finalmente a Roma e Napoli spuntano due nomi nuovi: Ignazio Marino e Antonio Bassolino. Esattamente ciò che ci voleva per dare un segnale di rinnovamento e per restituire alla sinistra quelle caratteristiche di modernità che dovrebbero essere genetiche. Molti anni fa, Indro Montanelli, non appena all’orizzonte spuntava la sagoma di Amintore Fanfani, molto amato dal ministro Maria Elena Boschi, quasi un suo mentore, sottolineava l’avvenimento con un sintetico e caustico: “Arieccolo”. Erano gli anni in cui negli spot di Carosello a un formaggino veniva accostato un pupazzo gonfiabile di plastica: Ercolino Sempre in Piedi. Sul fatto che l’uno e l’altro siano stati vittime di vere e proprie porcate (il primo messo in minoranza davanti a un notaio, il secondo battuto con voti alle primarie acquistati a prezzo di saldo), non corrono dubbi. Ma non corrono dubbi nemmeno sul fatto che il loro tempo sia scaduto, sono ormai delle confezioni di latte a lunga conservazione non più utilizzabili. Marino dovrebbe fare un giro per la città (che lui solo crede di conoscere), prendere la metropolitana o un autobus: capirebbe che il giudizio su di lui non è propriamente positivo; ha lasciato una Capitale in condizioni disastrose e questo a prescindere dall’inchiesta su Buzzi e Carminati. Il secondo ha avuto tutto il tempo per tradire le grandi speranze che aveva alimentato al momento della sua prima elezione. E va bene che Corbyn e Sanders non sono dei giovincelli ma almeno dalla loro hanno il fatto di essere sostanzialmente “inediti”.


10 marzo 2016 Intervenendo a una manifestazione pubblica in un parco romano, la candidata-sindaco al comune di Roma per i pentastellati, Virginia Raggi ha sottolineato che lei votava Pd e che ora un po’ se ne vergogna. Contemporaneamente, sollecitata da un intervistatore a commentare gli elogi che le arrivano da Matteo Salvini, ha glissato e sorriso amabilmente: evidentemente per lei, che come è noto ha fatto il praticantato legale nello studio di Previti, è decisamente meno imbarazzante la contiguità con un politico che canta canzoni anti-napoletani, organizza alleanze con i fascisti di Casa Pound (ora andata in frantumi), evoca l’uso delle ruspe contro i rom, insulta i magistrati che condannano un suo amico leghista e considera la tolleranza una brutta malattia della pelle. D’altro canto, se c’è tanta armonia tra Grillo e Farage, perché mai analoga intesa non dovrebbe svilupparsi, nel segreto dell’urna, tra Salvini e Raggi. Quest’ultima invitata, sempre dal medesimo intervistatore (“Dimartedì”, “la7”), a indicare la prima cosa che farà una volta diventata sindaco, ha risposto, con chiarezza: “Tante cose”. In realtà, avrebbe soddisfatto la curiosità indicandone una sola. Restano oscuri i motivi di tanta genericità: o la candidata non ha ancora definito la scala delle priorità o attende che Casaleggio gliela indichi. Per non incorrere nella multa da 150 mila euro.


8 marzo 2016 Lunedì sera, Bruno Vespa, con uno scatto da centometrista, ha ospitato nello studio di Porta a Porta, Valter Foffo padre di Manuel il ventinovenne che insieme a un amico, con una crudeltà che ha pochi precedenti, ha ammazzato il ventitreenne Luca Varani. Una scelta a dir poco discutibile. E anche un po’ offensiva soprattutto nei confronti di altri genitori, quelli della vittima. Ma al di là dell’inopportunità della scelta, le dichiarazioni del signor Foffo sollecitano qualche interrogativo sull’immagine che abbiamo dei nostri figli e, soprattutto, sui modi in cui la costruiamo nella nostra mente. Tanto per cominciare, a parere del padre, il ragazzo sarebbe intelligentissimo, ben oltre la media. Al di là dei criteri utilizzati per queste complesse misurazioni, risulta che a ventinove anni fosse uno studente di giurisprudenza abbondantemente fuoricorso. E’ probabile che la sua intelligenza, Manuel la utilizzasse in altra (evidentemente tragica) maniera ma forse bisognerebbe essere più prudenti a distribuire patenti di genialità anche se il gratificato è un nostro strettissimo parente. Anche perché, nel frattempo, da un altro studio l’avvocato annunciava la richiesta di una perizia psichiatrica. Per il signor Foffo, Manuel era un ragazzo modello, senza problemi. Anche qui, una affermazione a dir poco temeraria visto che era in cura da uno psicologo a causa di una certa frequentazione con l’alcool. La droga, infine: il ragazzo ha confessato di fare uso di cocaina da dieci anni; il padre è caduto dalle nuvole. Domanda: ma i due, negli ultimi vent’anni di frequentazione familiare, si sono mai incrociati, anche solo sul ballatoio?


5 marzo 2016 Dalle “primarie” alle “plebiscitarie”. Silvio Berlusconi e Matteo Salvini hanno raggiunto l’accordo: il 19 e 20 marzo gli elettori del centro-destra andranno nei gazebo e potranno indicare il candidato-sindaco di Roma. In realtà potranno solo votarlo visto che troveranno un unico nome, quello di Guido Bertolaso, pubblicamente santificato dall’ex Cavaliere in un appuntamento elettorale (“Ha risolto a Napoli il problema dei rifiuti”: tesi a dir poco ardita; “all’Aquila veniamo portati in giro come la Madonna” e in questo secondo caso siamo veramente al sogno confuso con la realtà). Certo, visto che Salvini non riconosce il “candidato” ma lo accetta se viene indicato dal popolo-elettore, nel segreto del Gazebo eventuali “truppe cammellate” potrebbero mandare a gambe levate i progetti dell’ex Cavaliere. Nel frattempo, gli italiani riscoprono un altro ricorso storico. Era il 1929 quando si votava per una sola lista bloccata. Per accettarla veniva consegnata significativamente una scheda tricolore (come dire: “Chi è con l’Italia è col fascismo”). Fu un plebiscito. Nei libri di storia si ritrova qualche traccia. Molto meno, evidentemente, nella memoria di molti di noi.


4 marzo 2016 Nel giorno in cui in Germania la Volkswagen annuncia che pagherà anche quest’anno, nonostante il diesel-gate, il bonus a centoventimila lavoratori per “premiare” la fedeltà alla causa dimostrata in un momento difficilissimo, in Italia il neo-sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il bocconiano Tommaso Nannicini, annuncia che quello “del salario minimo è un tema che dovremo comunque porci, nella riforma complessiva del mercato del lavoro, per capire se e dove serve”. Ci voleva, effettivamente, un governo guidato da un presidente del consiglio, Matteo Renzi, espressione di una forza di centro-sinistra (il Pd, per chi lo avesse dimenticato: può capitare), per lanciare l’assalto a quello che è uno degli ultimi bastioni dell’autonomia contrattuale, cioè il salario e la sua definizione definizione negoziale. Evidentemente questo è un governo con un difetto genetico: il suo cuore batte a destra (e dalle parti di viale dell’Astronomia a Roma, sede della Confindustria).


3 marzo 2016 Nel giorno in cui in Germania la Volkswagen annuncia che pagherà anche quest’anno, nonostante il diesel-gate, il bonus a centoventimila lavoratori per “premiare” la fedeltà alla causa dimostrata in un momento difficilissimo, in Italia il neo-sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il bocconiano Tommaso Nannicini, annuncia che quello “del salario minimo è un tema che dovremo comunque porci, nella riforma complessiva del mercato del lavoro, per capire se e dove serve”. Ci voleva, effettivamente, un governo guidato da un presidente del consiglio, Matteo Renzi, espressione di una forza di centro-sinistra (il Pd, per chi lo avesse dimenticato: può capitare), per lanciare l’assalto a quello che è uno degli ultimi bastioni dell’autonomia contrattuale, cioè il salario e la sua definizione definizione negoziale. Evidentemente questo è un governo con un difetto genetico: il suo cuore batte a destra (e dalle parti di viale dell’Astronomia a Roma, sede della Confindustria).


2 marzo 2016 La “nuova” politica, quella “buona” per auto-definizione, mancando l’unica investitura che fa testo, cioè quella dei cittadini, a Roma rischia di assumere i caratteri di una lite sull’eredità del nonno o su una prosaica questione condominiale. D’altro canto, la “buona politica” senza partecipazione, fatta di luoghi virtuali e investiture altrettanto virtuali, decise nell’ufficio di uno (o due) proprietari del marchio (i più moderni lo chiamerebbero brand) porta a questo, allo scivolamento dalle fumose riunioni in sezione o dalle affollate e rumorose assemblee, ai più ovattati uffici legali. Contro il Movimento 5 stelle per le “comunarie” romane si sono mobilitati gli esclusi con una sorta di class action (manco in ballo ci fosse la nocività di un dentifricio o la pericolosità di un giocattolo importato dalla Cina) mettendo a rischio l’investitura a candidata sindaco di Virginia Raggi che di studi legali, a sua volta, se ne intende visto che è avvocato con tanto di praticantato in uno che andava molto di moda all’epoca di Silvio Berlusconi: quello di Cesare Previti (smemorata: nel curriculum ha evitato di segnalare la cosa). A coagulare lo scontento ovviamente un avvocato penalista, Paolo Palleschi, anche lui escluso dalla corsa. Ha deciso di dare battaglia legale per una “questione dei principio” e “ai principi non si deroga”, ha pubblicamente sottolineato. Un tempo si leggevano Marx, Proudhon, Mazzini, Maritain, Smith per formarsi una coscienza politica e, di conseguenza, per dotarsi di un sano e robusto bagaglio di principi e di ideali. Adesso basta la lettura dei codici. Sono più noiosi ma aprono il cuore alla speranza della conquista di un predellino nella sala Giulio Cesare


29 febbraio 2016 In occasione dell’ultima guerra mondiale, gli americani sono venuti in Europa per sconfiggere Hitler e Mussolini in nome dei principi di libertà. Adesso si ritrovano con un candidato alla presidenza, il palazzinaro Donald Trump, che usa frasi del secondo (“meglio un giorno da leoni che cento anni da pecora”) affermando orgogliosamente di voler essere associato a “buone citazioni”; ed esibisce sul comodino (o esibiva, in fondo fa lo stesso) un libro dei discorsi del primo (la rivelazione fu fatta qualche anno fa dall’ex moglie). Nel frattempo accetta il sostegno del Ku Klax Klan e quando gli chiedono di rinunciare all’endorsment di uno dei leader di quel gruppo, risponde che non lo conosce e che, pertanto, non può prendere in considerazione quel che gli viene richiesto, cioè una presa di distanza da personaggi non propriamente riconosciuti come sinceri democratici. La sorellastra di Anna Frank, Eva Schloss, lo ha accusato di comportarsi come un nuovo Hitler. Una cosa è certa: la storia si può vendicare in maniera molto crudele. E i liberatori di ieri rischiano di ritrovarsi in casa i fantasmi di un morbo che hanno combattuto settant’anni fa.


26 febbraio 2016  Giovedì, in concomitanza con il voto di fiducia sulla legge che introduce le unioni civili, Massimo Gandolfini, organizzatore del Family Day, accompagnato da alcuni noti “moderati” come Gasparri e Giovanardi, davanti al portone di Palazzo Madama, ha tuonato: “Ci sentiamo traditi, presenteremo il conto al referendum costituzionale di ottobre. Faremo i comitati per il No”. Destinatario del messaggio il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che deve essersi reso conto (insieme a quell’area cattolica del Pd che non ha fatto molto per garantire al provvedimento una serena navigazione) della difficoltà a confrontarsi con chi in realtà apprezza poco i diritti (che riguardano tutti) preferendo i privilegi (che, notoriamente riguardano pochi) e camminano guardando indietro, ai tempi in cui sui muri della città italiane campeggiava questo slogan, a esser sinceri anche un po’ blasfemo: “Nel segreto della cabina elettorale, Dio ti vede, Stalin no!” Chissà perché nell’iconografia cattolica quando si passa sul terreno politico, il Padreterno, messaggero d’amore, appare, al contrario, perennemente accigliato. Gandolfini, dal canto suo, essendo un buon cattolico dedito al bene (comune) del corpo, della mente (non a caso fa lo psichiatra), dell’anima e dello spirito, dovrebbe porgere l’altra guancia piuttosto che distribuire avvertimenti minacciosi. Poi, per quanto riguarda i referendum, ha dimenticato qualche storico dettaglio. I cattolici come lui normalmente, come dice Di Pietro, ci hanno azzeccato poco: nel 1974 (divorzio) finì 59,3 a 40,7; sette anni dopo (aborto) 68 a 42. Alla fine, quella di Gandolfini potrebbe essere letta da Renzi più che come una minaccia, come un messaggio beneagurante.


23 febbraio 2016  Matteo Renzi è un presidente del Consiglio che ama gli scherzi. Lunedì, in occasione della “auto-celebrazione” dei suoi primi due strepitosi anni di governo, ne ha sciorinato uno che ha suscitato l’ilarità generale di tutti i presenti nella sede della stampa estera: il 22 dicembre sarà inaugurata la “nuova” Salerno-Reggio Calabria. Messa così, l’annuncio finisce per apparire una vera e propria leggenda metropolitana. O, se vogliamo, una riedizione del mostro di Loch Ness il cui ultimo cacciatore, Steve Feltham, ha gettato la spugna lo scorso luglio, esattamente un anno dopo la rivelazione fatta da un suo collega che aveva testimoniato la fondatezza dell’avvistamento con una fotografia. Evidentemente, Renzi si sarà convinto dopo che Del Rio gli avrà fatto recapitare due foto e un paio di slide che al “capo” fanno sempre piacere, danno un tocco di efficienza e modernità. Già monta dentro di noi un po’ di nostalgia per quelle belle e appassionanti gincane tra cantieri e pezzi di asfalto saltati: che disastro, perderemo l’ebbrezza del rally a portata di Panda (per alcuni, addirittura quasi quotidiano). Ma poi è sempre possibile che fra qualche mese arrivi un altro cacciatore del nostro mostro di Loch Ness e ci dica: non è vero nulla. E la nostra cara Salerno-Reggio Calabria che da ventisei anni con i suoi 420 km di lavori in corso conferma la tesi della relatività del tempo applicato alle opere pubbliche, continuerà a regalarci momenti di grande svago. Soprattutto estivo.


19 febbraio 2016 L’altro giorno in Parlamento è andato in scena uno scontro più che inedito, inconsueto: da un lato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che dopo aver abbandonato in mezzo all’Egeo la barca dei Greci per salire sullo scoglio della Merkel, si è reso conto che in fondo Tsipras non diceva cose tanto campate in aria quando accusava l’Europa; dall’altro, il professor Mario Monti che dell’Europa delle élite finanziarie è uno dei campioni. A Renzi che difendeva le sue posizioni a proposito di flessibilità e affini in nome della difesa di un’Europa-comunità e contro quella del semplice contratto, Monti, con il suo stile surgelato, replicava che in quella sua maniera il presidente del consiglio metteva a rischio sia la comunità che il “contratto”. Il professore, persona apprezzabile quando fa la fila in ospedale da comune mortale, ormai rappresenta solo sé stesso essendo riuscito con il suo governo che passerà alla storia per la riforma-Fornero e gli esodati (segno evidente che lui si intende più di contratti che di comunità), in pochi mesi a disperdere quel vento di speranza che aveva accompagnato l’uscita di scena dell’ultimo, disastroso governo Berlusconi. Dal punto di vista personale, i benefici che il professore ha ottenuto dal suo passaggio in politica sono evidenti, auspice Napolitano che lo ha fatto pure senatore a vita; il Paese, al contrario, non è che abbia ottenuto particolari vantaggi avendo perso per strada nel 2012 il 2,5 per cento del Pil. Insomma, lui quando parla è ancora ben inamidato, noi, però, dopo la sua uscita da Palazzo Chigi eravamo in ginocchio.


18 febbraio 2016 Beppe Grillo è tornato nei teatri. Ma gli spettacoli più esilaranti li regalano, peraltro gratis (ingrati, gli fanno pure concorrenza sleale) i suoi parlamentari. Martedì è stata la volta di Paola Taverna che ha garantito che è in corso un “complotto per far vincere il Movimento Cinque Stelle a Roma”. A parte il fatto che personalmente mi augurerei un complotto dello Stato per farmi vincere al Superenalotto, è veramente strabiliante la motivazione della signora: “Roma dipende dagli stanziamenti regionali e statali, ora vogliono metterci il Cinque Stelle, per togliergli i fondi e fargli fare brutta figura”. Grillo avrà sicuramente qualche collaboratore per i testi ma farebbe bene a licenziarlo perché i migliori li ha già reclutati a spese dei contribuenti. Perché, in fondo, Paola Taverna è solo l’ultima della lista. Tempo fa si guadagnò una certa notorietà tal Bernini affermando che negli Stati Uniti “hanno iniziato a mettere i microchip all’interno del corpo umano”. Poi arrivò Sibilia che a proposito dello sbarco sulla luna affermò: “Dopo 43 anni ancora nessuno se la sente di dire che era una farsa”. Quindi, lo sbarco a Strasburgo dove Marco Zullo portò il problema delle “scie chimiche”. L’altro giorno, Grillo per dribblare i cronisti e guadagnare tranquillamente il tavolo del ristorante, giusto per passare inosservato è entrato prima con la maschera di una tigre ed è, poi, uscito con quella di un lupo. Ma per chi dice corbellerie tanto clamorose, quale maschera consiglierebbe?


17 febbraio 2016 Il centro-destra ha deciso di mettere in pista per il Campidoglio uno “sbarbatello”: Guido Bertolaso. Evidentemente essendosi i primi cittadini di Roma rivelati della calamità naturali, Berlusconi ha deciso di puntare su un professionista della materia dopo tanti dilettanti. L’uomo garantisce di essere abile (e arruolato) per il governo. E’ vero: la Protezione Civile da lui guidata ha dato straordinaria prova di efficienza in occasione del terremoto dell’Aquila; lui stesso chiamato a sovrintendere sull’area archeologica romana, ha risolto tutti i problemi; investito della questione rifiuti in Campania, ora per le strade di quella regione non si vede più neanche una carta straccia. Il fatto che sia ancora inquisito, poi, è un dettaglio: “calunnie”, dice. Aggiungendo: “I cittadini romani… sono smaliziati e intelligenti e quindi sapranno vedere le carte”. Come uomo delle Istituzioni, non c’è che dire! Ha confuso il diritto che si pratica in certi tribunali televisivi, con quello reale perché gli unici in grado di leggerle tutte, le carte, sono i giudici non gli elettori. Ha dichiarato: “Non ho mai votato Berlusconi”. Su, dottor Bertolaso, un po’ di sincerità o, almeno, di pubblica gratitudine. Ha aggiunto e qui ha superato sé stesso: “Salvini… è intelligente e ragionevole”. Sul primo aggettivo si può concordare, sul secondo un po’ meno. Si dichiara “un vecchio democristiano” e lo conferma con uno straordinario pezzo di bravura: “Io sono romanista ma il marito di mia figlia è un accanito laziale”. E meno male che non esiste più la Lodigiani perché avrebbe tirato fuori il cognato della sorella fedele tifoso anche di quella squadra romana.


16 febbraio 2016 Gli psichiatri sono medici che per la materia di competenza appaiono nel migliore dei casi incomprensibili, nel peggiore inquietanti: proporsi di metter ordine nella complessità dei meandri della mente non è come curare un’influenza. Massimo Gandolfini, guida “politica” delle folle del Family Day, non fa certo eccezione, anzi. Lo scorso anno, ad esempio, illustrò questa sorprendente tesi: «Essere maschio o femmina non è una questione solo di genitali. Noi abbiamo un patrimonio genetico e ormonale che determina affetti, emozioni, personalità. Gli uomini hanno uno sguardo sul mondo prevalentemente razionale. Le donne sono più premurose». Si potrebbe dire che la sua immagine di donna si identifichi con una mansueta dama di compagnia. E che dire, poi, di quell’altra bizzarra teoria sugli omosessuali che si suiciderebbero più degli altri non perché vittime della pressione discriminatoria dell’omofobia, ma perché affetti da un “disagio identitario” che andrebbe curato spingendoli all’eterosessualità. Il leader ultracattolico sembra un residuo dell’Inghilterra ante-1967, quella che puniva gli omosessuali infliggendo loro pesantissime cure ormonali e castrazioni chimiche, terapie così efficaci da indurre a volte i “pazienti” al suicidio (il matematico Alan Turing, ad esempio). Al Circo Massimo si può anche finire (per caso), meglio, però, tenersi alla larga dallo studio bresciano del dottore. Non si sa mai.


15 febbraio 2016 Salvini è un uomo di profonde analisi intellettuali e raffinate argomentazioni dialettiche. Le ultime le ha regalate nella domenica di San Valentino. Ma nel giorno degli innamorati, non sono state propriamente parole amorevoli. “Rixi è un fratello e lo difenderò fino all’ultimo da quella schifezza della magistratura italiana”. Edoardo Rixi è finito al centro dell’inchiesta sulle spese pazze alla Regione Liguria dal 2010 al 2012, insieme al presidente del consiglio, Francesco Bruzzone, e a un altro collega di partito, Maurizio Torterolo, che ha già patteggiato. Intrepidamente, il segretario della Lega Nord ha continuato, sempre a proposito della magistratura: “Piuttosto si preoccupi della mafia e della camorra che sono arrivate sino al Nord”. A parere di Roberto Saviano che di organizzazioni criminali se ne intende, della questione si dovrebbe preoccupare anche Salvini visto che “la Lega ha una profonda responsabilità nel dilagare della ‘ndrangheta al Nord perché ha taciuto”. In questi anni la Magistratura si è sentita definire in tanti modi ma il concetto metafisico di “schifezza” non era mai stato inserito nel dibattito. Salvini, si sa, è un uomo che volta alto. Chi può dimenticare la melodiosa canzoncina, vero esempio di tolleranza, che intonò con un gruppo di amici buontemponi: “Senti che puzza scappano anche i cani stanno arrivando i napoletani”. Sublime l’affondo polemico nei confronti di Renzi definito “uno squallido verme”. E che dire di quello splendido picco di sensibilità istituzional-feminista raggiunto quando apostrofò la Boldrini in questa maniera: “È il nulla fatta donna”. E’ andata un po’ meglio ad Alfano più teneramente catalogato come “un cretino incapace”. A ognuno il suo Trump. Una vera tristezza.


12 febbraio 2016 “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. L’articolo 49 della Costituzione della Repubblica Italiana non sembra contemplare i principi-guida del documento messo a punto da Gianroberto Casaleggio nel quale si prevede una “punizione” di 150 mila euro per quegli eletti che dissentono dalla linea ufficiale o, meglio, dal “pensiero unico” del partito. Certo, la tempistica con la quale il Pd ha pensato di dare attuazione a quell’articolo (o, almeno, a una sua parte) appare un po’ sospetta. Ma che le regole del Movimento 5 stelle (ad esempio, l’imposizione del vincolo di mandato non tanto rispetto alle indicazioni dell’elettorato, quanto ai diktat di due smanettatori di computer) siano più in linea con quelle di una setta che di una organizzazione dedita alla politica, è ormai abbastanza evidente. Alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno bollato come “fascista” l’iniziativa del Pd. Consiglio ai “Casaleggio-Boys” una breve meditazione su queste poche parole: “Io ho sempre sostenuto che per preparare il testo di una nuova costituzione democratica, sia più opportuno o più prudente muovere dal punto di vista della minoranza”. Le pronunciò settant’anni fa nel corso di un intervento alla Costituente Piero Calamandrei che forse aveva con il diritto e i diritti una familiarità maggiore di quella che mostrano oggi Casaleggio e Grillo. Anche lui fascista? Ormai è chiaro cosa intendeva dire il M5s con lo slogan “uno vale uno”. Intendeva semplicemente sottolineare che solo “uno vale”. Cioè l’insigne costituzionalista Casaleggio.