di Maria Anna Lerario
Per il Cnel, è la contrattazione collettiva la via maestra per sciogliere il cappio dei bassi salari in Italia. L’assemblea del Cnel, ieri, ha approvato il documento finale sul lavoro povero e salario minimo definendo esattamente questo concetto e demandando alle parti sociali e alle relazioni industriali il compito di riportare dignità al lavoro con salari adeguati.
La situazione
In Italia, le retribuzioni non crescono. Rispetto al costo della vita, gli stipendi sono troppo bassi, soprattutto per le categorie di lavoratrici e lavoratori più fragili: donne, giovani, meridionali, over 50 usciti involontariamente dal mercato del lavoro, professioni più umili e senza particolari specializzazioni. A queste macrocategorie sociali si aggiungono i precari, in continuo aumento anche con contratti irrisori di uno – tre mesi, e le lavoratrici e i lavoratori in regime di part-time involontario, così come le famose finte partite Iva.
La spirale “bassi salari – bassa produttività”, per il nostro Paese, non è un fenomeno nuovo. Tuttavia, l’esplosione dell’inflazione ha alimentato e, soprattutto, esteso il problema, rendendo sempre più evidente il disagio collettivo di lavoratori dipendenti e pensionati. Il tema del salario è tornato prepotentemente di attualità. Anche in Europa.
Le politiche di austerità avevano già generato un progressivo degrado delle condizioni di vita e lavoro degli europei: le disuguaglianze sono cresciute a dismisura, la povertà è aumentata e questo non sono tra i disoccupati ma anche tra i lavoratori (fenomeno del woorking poor) e le tensioni e i contrasti sociali sono divenuti sempre più frequenti e rilevanti, fino a generare l’ascesa di movimenti politici di impronta populista e nazionalista.
La valutazione del CNEL
L’assemblea del Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), come abbiamo visto, non ha approvato la proposta presentata dai cinque esperti nominati dal presidente della Repubblica che suggeriva la sperimentazione di una tariffa retributiva minima da affiancare alla contrattazione salariale, nei settori in cui ci sono maggiori difficoltà.
Il presidente del Cnel, Renato Brunetta, commentando il documento, ha sottolineato l’importanza di considerare la sostenibilità economica quando si parla di salario minimo e ha criticato l’idea di fissare un salario minimo senza tener conto del mercato. La proposta contenuta, invece, nel documento messo a punto dal Cnel è quella di adottare un piano di azione nazionale a sostegno della contrattazione collettiva, in grado di superare le criticità e rafforzare la diffusione capillare dei Ccnl In questo modo, non è l’intervento legislativo che definisce il salario, ma la valorizzazione della contrattazione e degli accordi interconfederali.
Anche in considerazione delle dinamiche tra salari e produttività, il Cnel ha riproposto l’idea di affermarsi come possibile sede del National productivity board, previsto, tra l’altro dalla Direttiva Europea in materia.
Il documento è stato approvato con 39 voti favorevoli e 15 contrari, tra cui quelli dei consiglieri Uil.
Il salario minimo legale in Europa
Un salario minimo legale esiste già in molti Paesi europei. Sono sei gli Stati in cui questo strumento di regolazione legislativa del salario non esiste, tra cui l’Italia. Gli altri sono Danimarca, Svezia, Finlandia, Austria e Cipro.
La presenza del salario minimo legale è stata spesso legata alle condizioni sindacali di ciascun paese: laddove la rappresentanza dei lavoratori e il lavoro sindacale è stata più forte e significativa, la contrattazione collettiva è riuscita a subordinare i rapporti di lavoro, rendendo di fatto inutile il salario minimo o, comunque, non la scelta migliore.
La Germania, nel 2015, è stato l’ultimo Paese europeo a introdurre la misura, per contenere la riduzione della copertura contrattuale sui lavoratori.
La Direttiva Europea definita lo scorso anno, come sottolineato anche dalla Presidente, Ursula von Der Layen, mira a rafforzare la contrattazione collettiva nei paesi dell’Unione, sollecitando la definizione di salari minimi nazionali. I due istituti, quello della contrattazione nazionale e quello del salario minimo legale, dovrebbero, dunque, secondo gli intenti sottesi alla Direttiva, sostenersi e non ritenersi modelli alternativi. Questo a salvaguardia del ruolo fondamentale delle buone relazioni industriali e sindacali che possono produrre risultati migliorativi nelle condizioni di lavoro. La direttiva, infatti, suggerisce come obiettivo principale l’aumento della copertura della contrattazione collettiva, dal momento che, nei Paesi in cui questa è maggiore, tende a esserci una quota inferiore di lavoratori a basso reddito. Il salario minimo, si richiede agli Stati membri con una copertura dei CCNL inferiore 70%.
Lavoro, stipendio e Costituzione
Nel nostro Paese, il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro di ciascun individuo “e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” è tutelato dall’articolo 36 della Costituzione. Mentre è nell’articolo 39, che ritorna il valore e la forza anche ideologica della contrattazione collettiva.
“I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.
L’articolo 39, tuttavia, è stato attuato solo parzialmente: non ha trovato mai riscontro legislativo, infatti, la parte riferita all’efficacia erga omnes degli accordi contrattuali sui Ccnl. È stata la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, nel 1952, a sancire, di fatto l’applicazione dei Ccnl a tutti, indipendentemente dall’iscrizione ai sindacati sottoscrittori del contratto nazionale di lavoro, con il richiamo all’articolo 2099 del Codice civile.
La contrattazione tra le parti resta un perno fondamentale: lo strumento principale attraverso cui definire gli aspetti sostanziali del rapporto di lavoro e agire sulle retribuzioni delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti.
Resta però il problema del lavoro povero, con retribuzioni da fame e del tutto distanti dal diritto costituzionale di una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro.
La bocciatura del Cnel a una proposta che tende una mano a chi ora ha l’urgenza di uscire fuori dal buco nero del lavoro povero non è una buona notizia, poichè, di fatto, costringe ormai numerosissimi lavoratori a un limbo fatto di sacrifici e sofferenze che non vede orizzonti.
Non è un caso che i consiglieri della Uil – che sul salario minimo ha una posizione ben precisa – abbiano votato contro il documento approvato dal Cnel, respingendo “la contrapposizione che viene sottolineata tra salario minimo e contrattazione collettiva”. Per i consiglieri Uil, Paolo Pirani e Paolo Carcassi, la valorizzazione del ruolo della contrattazione non può prescindere dall’emergenza di quei settori, più deboli, in cui la contrattazione non riesce a incidere e in cui il diritto alla retribuzione dignitosa è affidata a logiche da far-west.