Stop al Reddito di cittadinanza: decine di migliaia di famiglie in grossa difficoltà

di Maria Anna Lerario

 

“Il socialismo è portare avanti tutti quelli che sono nati indietro” – Pietro Nenni

 

Un sms. E di colpo, decine di migliaia di famiglie italiane, da Milano a Palermo, si trovano in situazioni di grave difficoltà economica, a causa dell’eliminazione del reddito di cittadinanza per i cosiddetti “occupabili”.

Il provvedimento fa parte delle “promesse” elettorali di una destra che si è fatta spazio nelle simpatie degli italiani. Sono molti, del resto, gli elettori che adesso, dopo aver riposto vane speranze, pagano lo scotto di una promessa mantenuta.

Il reddito di cittadinanza, pur avendo il suo carico esclusivo di luci e ombre, ha consentito a una larga platea di famiglie in condizioni di povertà di sopravvivere – non di vivere, attenzione! – tirando un sospiro di sollievo rispetto alle situazioni di indigenza precedenti e nelle quali ora ricadono, forse con un tonfo molto più doloroso.

La ratio dell’eliminazione della misura per chi è definito, in linea statistica, “occupabile” è provare a modificare l’approccio della lotta alla povertà dall’assistenzialismo alla proattività. Teoricamente, quasi ineccepibile.

Se non fosse, il tutto, scollato dalla realtà. Tra i percettori del reddito di cittadinanza ci sono, infatti, lavoratori poveri (chi un lavoro già ce l’ha ma è assolutamente insufficiente a garantire una vita dignitosa, in barba agli stessi principi costituzionali sui quali si fonda la nostra Repubblica), famiglie con difficoltà economiche molto serie che vivono in un contesto difficile, donne e uomini over 50 fuori dal mercato del lavoro da tantissimo tempo, con un grosso deficit di competenze.

L’escamotage per riuscire, comunque, a sbarcare il lunario, è la richiesta di presa in carico agli uffici dell’assistenza sociale (gli uffici sono letteralmente presi d’assalto da Nord a Sud). Oppure per chi è “occupabile”, un assegno di soli 350,00 euro mensili, a fronte della partecipazione a corsi di formazione. Questi corsi, dovrebbero consentire di trovare un buon posto di lavoro. Il condizionale è d’obbligo: il nostro non è un Paese che brilla di opportunità professionali serie e il sistema d’incontro tra domanda e offerta di lavoro è molto volubile, clientelare e rigido. In più, la piattaforma di “matching” della domanda/offerta di lavoro e per l’iscrizione ai corsi di formazione non è ancora attiva, lo sarà dal primo settembre. Dopo.

Il tutto, in un paese con un grosso gap digitale e informativo.

Un paese in cui anche un laureato o – peggio – un dottore di ricerca, non riesce a ottenere un lavoro di qualità utile quanto meno a rendere meno vani sforzi e sacrifici di una vita di studio.

Un paese in cui si discute, all’infinito, di salario minimo senza trovare una quadra, dando, però spazi – praterie – al dumping contrattuale.

Un paese in cui i sindacati, nonostante l’impegno quotidiano per tutelare lavoro e lavoratori, godono di pessima fama, un fastidio insomma.

Un paese in cui i giovani desiderano una vita da influencer perché non vedono né hanno alternative realmente desiderabili e gli “anziani” non riescono a uscire dal mondo del lavoro. Incastrati, tutti.

Un paese in cui il gap tra formazione e produttività è fortissimo e no, non si risolve con i corsi in piattaforma.

Si potrebbe continuare a lungo con la lista dei cortocircuiti sociali – reali –  che ben rappresentano la dis-adattabilità di un provvedimento che, in potenza, è anche giusto ma che arriva in un contesto impreparato.

Come comprare una Ferrari senza avere la patente. Il muro è lì ad attendere lo schianto.

Se è vero che l’assistenzialismo tout court e disorganizzato non è il modo giusto per dichiarare guerra alla povertà, come molti politici professionisti amano urlare nei comizi, è anche vero che partire dalla fine, e cioè dall’eliminazione di un sussidio, senza aver preparato, organizzato, testato il contesto economico e il tessuto sociale è una presa in giro. Pochi spiccioli di risparmio, sulle spalle dei soliti ignoti.

 

‍N°154 del 02/08/2023

fondazione nenni

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