Ricordo di Francesco Nuti

di Rita Borelli

Uscire di scena è un’arte difficilissima. Occorre che il pubblico abbia, indelebile, il ricordo dell’attore che è appena scomparso nella quinta mentre il sipario si chiude sul palcoscenico. L’uscita di scena deve essere coerente con lo stile col quale si è recitata la propria parte per tutto il tempo della commedia. In tal senso, Francesco Nuti è uscito di scena come solo lui ha sempre saputo fare: con discrezione, essenzialità, misura, come se nulla fosse accaduto. E in quegli istanti di silenzio che separano la fine della rappresentazione e la partenza dell’applauso del pubblico, c’è un mondo intero che in poche frazioni di secondo può e deve essere ricordato.

Chiediamocelo: ci ricordiamo chi era Francesco Nuti? Cosa ha rappresentato per una generazione che, ancora oggi, recita a memoria battute di suoi film?

Anche se il mondo del cinema si è zittito troppo presto e non ha voluto dedicare all’artista toscano maratone anche di un solo giorno come, invece, avrebbe meritato, la scomparsa di Nuti ha rappresentato, fuor di metafora, la fine di un’intera schiera di popolazione, di poeti ed artisti che negli anni Ottanta non avrebbe saputo come esprimere il proprio essere al mondo. Dopo decenni di contestazione, di violenza, di proteste, di contrapposizione fra le generazioni del vecchio Novecento e quelle del Sessantotto – quelle che volevano la fantasia al potere – ci furono quei giovani chiamati a superare il recentissimo fermento, la recentissima veemenza con la placidità tipica dell’Italia dei primi anni Ottanta. Ma questa serenità non doveva tradursi in una ripartenza da zero, ma da tre – per citare una famosa battuta di Troisi –: conservare ciò che di buono il passato aveva donato e inserirlo in qualcosa di totalmente nuovo, se non nella forma almeno nei contenuti.

Francesco Nuti fece precisamente questo. Sebbene toscano tipico, burbero, in realtà dietro quell’apparenza rude si nascondeva un uomo che della dolcezza aveva fatto la sua cifra caratteristica. I personaggi che interpretò come attore, che creò sia da sceneggiatore che da regista, questo avevano di originale e rappresentativo per la generazione degli anni Ottanta: ribadire il fatto di esistere, magari anche con una certa veemenza, sapendo comunque di giocare una partita già persa in partenza.

Questo fu, a dire il vero, un tratto caratteristico della cinematografia di quel periodo. Basta rivedere i primi film di Verdone e di Troisi per comprenderlo. Ma Nuti fu quello che, più di tutti, incarnò e rappresentò l’estetica del “vada come vada, io ci provo comunque”. E lo fece né con una comicità troppo spinta ai limiti del paradosso, né con toni drammatici eccessivamente tendenti alla malinconia. Da buon toscano, rude ma generoso, fotografò la realtà storica e individuale di quegli anni, cercando sempre di lasciare un velo di speranza. Per cui, si può dire che la sua estetica fu quella del “vada come vada, io ci provo comunque e forse ci riuscirò”.

Fu questa la ragione del suo successo, dell’affetto che il pubblico gli dimostrò per un lungo e abbondante decennio. Un periodo felice per Nuti, che gli valse premi e riconoscimenti meritatissimi.

Poi ci furono gli anni Novanta. Quelli di una generazione che iniziava a perdere speranza e ottimismo. Non lo fece però Nuti, il quale cercava comunque di lasciare sempre verde la pianta del suo personale “vada come vada…”. Ma non fu capito fino in fondo. Il pubblico iniziò ad abbandonarlo fin quasi a dimenticarlo. E fu un’ingiustizia. Un’ingiustizia alla quale si aggiunse anche l’indifferenza di buona parte del mondo del cinema.

Vennero presto dimenticati i suoi successi, i suoi meriti artistici. Francesco fu lasciato solo e si intristì. Cadde pian piano in depressione. Non c’era più nulla che potesse fargli riaccendere la fiammella di quella speranza da lui sempre accarezzata, coccolata, inseguita e accudita.

Quella fiammella subì il definitivo colpo di grazia quando, a seguito di un brutto incidente, Nuti non poté più parlare e fu costretto su una sedia a rotelle per il resto dei suoi giorni.

Ma la sua mente non tacque mai. Fu, anzi, sempre vivace e attiva. Aiutato dal fratello scrisse persino un libro nel quale si raccontò, Sono un bravo ragazzo. Andata, caduta e ritorno. Ritirò un premio alla carriera, prese parte a una festa di compleanno che i suoi amici di sempre: Carlo Conti, Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni e Marco Masini organizzarono in suo onore. E Francesco, con quegli occhi pieni di lacrime, così dolci ed espressivi, metaforicamente ringraziò ed abbracciò tutte le persone e il suo pubblico che da sempre lo amavano e non lo hanno mai dimenticato.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di un Francesco Nuti, del suo rude realismo mai grigio e sempre pronto alla speranza. La bellezza dell’arte, quando è Arte, sta proprio in questo: nel fatto che permette all’uomo di esistere e non solo di vivere.

Ed è grazie ai suoi film ed alla sua Arte che, in barba a quell’orribile 12 giugno 2023, Francesco Nuti continuerà ad esistere sempre. E, insieme con lui, quel mantra che non dovremmo mai stancarci di ascoltare e di ripetere dentro di noi: “Vada come vada, io ci provo comunque e forse ci riuscirò”.

 

N°143 del 10/07/2023

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