SCASSAITALIA – Basta allo slogan la “SECESSIONE DEI RICCHI”

di FELICE BESOSTRI

Lo slogan che piace agli oppositori, amanti della Costituzione o meno (tanto tempo fa tra di loro c’erano i Fratelli d’Italia) dell’AUTONOMIA DIFFERENZIATA, una definizione troppo anodina che non coglie la pericolosità costituzionale del progetto, mi ha dato fastidio, dalla prima volta che l’ho sentita da De Magistris, allora sindaco di Napoli, davanti a Montecitorio. Appena dopo i referendum  sul  tema di Veneto e Lombardia, vinti con larga maggioranza in Veneto 98,1% di Sì e 1,9% NO con un’affluenza del 57,2% e in Lombardia 96,02% di Sì e il 3,98% No, ma con un’affluenza del 38,21% degli aventi diritto, decisamente bassa, ma da far invidia all’Emilia-Romagna 2014 del 37,71% .  Alle elezioni regionali lombarde del 4 marzo 2018 partecipò il 73,10% e la desta vinse con il 49,75%, mentre alle elezioni regionali del Veneto 2015 partecipò il 57,16% e a quelli del 2020 il 61,14% e la destra vinse con il 76,79%.

La fiducia in De Magistris non elevatissima è caduta sotto lo zero dopo la sua partecipazione alle elezioni calabresi del 2021. Non è Mélenchon., qualunque cosa creda.

Purtroppo, lo slogan la secessione dei ricchi si è imposto, piace ai pauperisti di sinistra e ai meridionalisti da strapazzo, che di fronte all’occupazione piemontese  sono arrivati a rimpiangere il Regno delle Due Sicilie, il pendant dei veneti delle province, che hanno dimenticato che la Serenissima Repubblica era tale SOLAMENTE per gli aristocratici, gli armatori e i commercianti di spezie veneziani, che sfruttavano l’altro Veneto quello dei contadini e dei boscaioli, costringendolo all’emigrazione.

Se l’opposizione all’Autonomia Differenziata diventa Sud contro Nord hanno già vinto, grazie a reazioni sub-consce, la gaffe di Majorino in piena campagna elettorale regionale, che la Lombardia non è la Calabria, è indicativa dei pericoli, sorprendente che sui social si siano scatenati i leghisti.

È stato un leghista lombardo, intelligente e simpatico, quello che approfittando del demenziale, perché eccessivo, taglio dei parlamentari fortemente voluto dai 5 Stelle, ha stabilito in Costituzione che il Trentino-Alto-Adige/Südtirol con 1.029.00 abitanti abbia 6 senatori come la Calabria con 1.959.000 abitanti, un calabrese vale poco più della metà di un trentin-alto atesino. Nessuno nella campagna elettorale lombarda ricorda che, grazie alla Lega ci vogliono, 313.000 lombardi per avere un senatore, mentre i nostri vicini al di là del Passo Stelvio, hanno un senatore ogni 171.500 abitanti: gli bastano il 54,79 per cento degli abitanti, quindi anche i lombardi valgono meno, molto meno di loro.

Nessuna reazione del Consiglio regionale calabrese, come pure al fatto che le minoranze linguistiche calabresi, per le leggi elettorali europea e nazionale, valgano meno dei francofoni della Valle d’Aosta, dei germanofoni della Provincia di Bolzano e degli sloveni del Friuli-Venezia Giulia, perché vivono in una regione a Statuto ordinario, siano di più di molti degli altri e se contassimo gli emigrati al Nord o all’estero, che hanno conservato  la lingua, addirittura più numerosi.

Vogliamo ridurre la questione a meridionali contro settentrionali, terroni contro polentoni o, per quanto un po’, ma non molto meglio, poveri contro ricchi. I ricchi non sono solo quelli che dichiarano tutto al fisco, fossero solo quelli, sarebbero una minoranza, i veri ricchi sono quelli che non pagano le tasse e si godono i profitti dello sfruttamento del lavoro in nero e precario e del crimine. Questi ricchi stanno al Nord e al Sud, come al Centro, non solo in Lombardia o nel Veneto.

Il progetto del Governo non va combattuto perché favorisce il Nord ricco a danno del povero Sud, ma perché è contro la Costituzione, in particolare gli artt. 5 e 119, quest’ultimo non attuato e privo dei finanziamenti minimi necessari, ma anche perché mette in discussioni il godimento di diritti costituzionali fondamentali quali quelli alla salute (art.32) e all’istruzione (artt. 33 e 34).

Chiamiamolo un progetto SCASSAITALIA. Una definizione più chiara e che può convincere anche settori dell’opinione pubblica non di sinistra, necessari per vincere la battaglia.

Alla suggestione di poter disporre di maggiori risorse dobbiamo contrappore idee forti, che se si scassa l’Italia il nostro debito pubblico diventa insostenibile e meno attrattivo per gli investitori esteri e che l’unità è un processo storico che ci ha formato come Nazione, che nella nostra Costituzione (art. 67) è la stessa cosa che il Popolo (art.  1.2 Cost.).

Il Consiglio europeo, purtroppo, il massimo organo decisionale della UE, straordinario del 24 gennaio scorso ha sancito che l’Italia non è uno dei paesi leader dell’Europa. Non basta il numero di abitanti e il PIL per avere automaticamente un ruolo importante, conta anche l’immagine politica, che  si proietta e il pericolo che costituisce per la stabilità degli altri Stati, in particolare Francia e Germania. In Francia, se non fosse emersa una terza forza di sinistra, le prossime elezioni presidenziali sarebbero a rischio di vittoria del Rassemblement National, favorita da un’astensione dal voto di più ampi settori di sinistra. In Germania la coalizione semaforo di Scholz è in pericolo da una possibile alleanza della CDU-CSU con i Verdi, più atlantisti e meno ambientalisti di prima e dall’apertura del PPE a trazione tedesca, come la Commissione europea guidata dalla Ursula von der Leyen, che guarda ai Conservatori europei, di cui la Meloni è la leader. Le elezioni di Berlino del 12 febbraio scorso sono un primo segnale. Non ci sarà un sereno e amorevole San Valentino né tra i partner del Bundesregierung, SPD-FDP-VERDI, né tra quelli, che fino a ieri governavano insieme il Land, SPD, LINKE e VERDI. I liberali FDP hanno perso il il 2,5% e sono fuori dal parlamento del Land. La SPD  con il 18,4% ha perso il 3% e conquistato il peggior risultato della sua storia, anche la LINKE ha perso, -1,9%. I Verdi nella corsa all’indietro hanno vinto avendo perso poco -0,9%.  La coalizione di governo uscente rosso-rosso verde conserva la maggioranza assoluta con 90 seggi, su 159. La CDU con il suo 28,2% (+ 10,2%) ha stravinto con 52 seggi, ma con i 17 seggi della estremista di destra AfD, in totale 69 non va da nessuna parte, mentre avrebbe la maggioranza con i 34 seggi dei VERDI.

Le maggiori deroghe al divieto degli aiuti di Stato saranno profittevoli soltanto a Germania e Francia e in minor misura alla Spagna, se Vox, altro compagno di strada della Meloni, non dovesse condizionare l’esito delle prossime elezioni spagnole. Le parole che l’allentamento del divieto di aiuti di Stato sia “circoscritto, temporaneo e limitato” non significa nulla, per assumere nuovi debiti ci vuole l’unanimità, mentre per non iniziare una procedura di infrazione, basta essere distratti.

Mentre noi si combatte in minoranza parlamentare contro l’Autonomia Differenziata in Italia, avremo presto un’Europa a sviluppo differenziato, con ricadute dirette sul nostro sistema produttivo, con aree come il Nord-Est, che in termini europei comprende anche l’Emilia-Romagna, dipende dall’industria automobilistica tedesca.

L’Autonomia Differenziata ha fatto un deciso passo avanti con l’approvazione,  in Consiglio dei ministri, del disegno di legge intitolato “DISPOSIZIONI PER L’ATTUAZIONE DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO” del 30 gennaio 2023.

Per la sua presentazione alle Camere manca solo l’autorizzazione del Presidente della Repubblica, che per prassi è diventata una pura formalità, mentre la norma costituzionale che la prevede, l’art. 87.4, “Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.” è collocata al secondo posto delle sue competenze, appena dopo “Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione”, che conferma la scelta dei nostri padri e madri costituenti per la forma di governo parlamentare.

Il Governo è l’unico soggetto dell’art.71 Cost. dotato di iniziativa delle leggi posto sotto tutela, avrà un significato? Certamente sì, perché è anche quello, che più se ne è approfittato con l’abuso della questione di fiducia su norme di legge, non prevista in quei termini dalla Costituzione, ma solo dai Regolamenti parlamentari, sottratti al controllo di costituzionalità, e con l’emanazione di decreti-legge, in assenza dei presupposti dell’art. 77.2 Cost., fossero, cioè “casi straordinari di necessità e d’urgenza”. A questi abusi la Corte Costituzionale solo da pochi anni ha messo una pezza, ma non sufficiente, nessun limite al decreto legge e alla fiducia, anche in materia elettorale, malgrado il chiaro dettato dell’art. 72.4 Cost., che poneva il vincolo della procedura normale “per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale”: manca soltanto che si applichi la fiducia anche alle norme di disegni di legge costituzionale, grazie ai precedenti creati da una Presidente della Camera dei deputati, dimentica della lezione di quella grande Presidente, che è stata Nilde Iotti. La prima Presidente donna di un ramo del Parlamento nel 1981 aveva deciso, che, con il voto di fiducia a richiesta del Governo, si usciva dalla procedura normale di approvazione di una legge.

L’Italia non aveva bisogno di norme costituzionali per far fronte alle emergenze o agli stati di necessità, perché aveva la previsione dei decreti-legge. Con il loro abuso, in situazione di emergenza conclamata, come la pandemia di COVID, si è allargato lo spazio normativo dei Decreti del Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cosa dovemmo aspettarci in caso di emergenza economica e sociale, che dia origine a problemi di ordine pubblico e di sicurezza?

Siamo o no una democrazia rappresentativa con forma di governo parlamentare?

Per assegnare nuove competenze alle Regioni, che ne facciano richiesta, occorre trasferire le competenze legislative fissate dall’art. 117 in statali (c. 2) e concorrenti (c. 3) alle Regioni, in forza del c. 4, che recita “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

È una norma da stato federale, che non siamo, almeno formalmente. Nelle competenze trasferite l’unico limite alle leggi regionali, resterebbe il primo comma dell’art. 117 Cost.: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Quindi nel caso della legislazione concorrente, ai sensi dell’ultimo periodo del c. 3 dell’art. 117 Cost., “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.”, non c’è alcun limite di principi generali, questa lettura è confermata dal fatto, che tra le materie trasferite ve ne una di competenza esclusiva dello Stato, che riguarda le “norme generali sull’istruzione”.

Il disegno di legge governativo è composto da soli 10 articoli, ma da ben 2.187 parole, tra cui mancano la ventina di quelle essenziali per la sua costituzionalità contenute in pochi principi:

  • supremazia della Repubblica e dei suoi principi supremi”, che non è garantita dal solo rinvio all’art.120 della Costituzione rimesso all’iniziativa governativa;
  • “centralità del Parlamento eletto con voto universale e diretto” per evitare che si ripetano tentativi del tipo di quello sconfitto il referendum popolare costituzionale del 4 dicembre 2016;
  • la sovranità appartiene al popolo, che la esercita”, per evitare che l’iniziativa per le modiche delle intese sia rimessa di fatto alla sola iniziativa del Governo nazionale, cioè al Presidente del Consiglio dei Ministri, alias Premier e delle Giunte regionali, cioè al Presidente della Regione, alias Governatore.

Le intese finali sono fra Stato e Regione, non tra Governo nazionale e esecutivi regionali e pertanto, trattandosi di competenze legislative tra Parlamento e assemblee legislative regionali in un processo dialettico e pertanto va chiarito che nell’ultimo periodo del c. 3 dell’art. 116 Cost.[1] le parole “sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione”, non significhino “in conformità all’intesa”, perché l’intesa concordata tra il Governo e la Regione è  un semplice allegato (art. 2 commi 6 e 8 ddl AD) al disegno di legge governativo, che nello schema di ddl del governo non prevede espressamente un richiamo all’art. 87.4 Cost. e, per togliere ogni dubbio sulle reali intenzioni del Governo, all’art. 72.4 Cost., trattandosi di un disegno di legge “in materia costituzionale”.

Andrebbe anche chiarito che il controllo di costituzionalità sul ddl di approvazione dell’intesa debba essere garantito da norme che assicurino la discussione dell’ammissibilità in tempi certi e ravvicinati.

A fronte di questi pericoli l’opposizione non può accontentarsi di parole, ma di compiere l’azione di appoggiare concretamente la raccolta delle firme sulla pregevole iniziativa promossa dal CDC di modifica degli art. 116 e 117 Cost., che se portata alla discussione parlamentare nel Senato potrebbe essere l’innesco di una mobilitazione popolare di più ampia portata e, anche, di iniziative giudiziarie in sedi varie.

Il primo passo da fare è la presa di coscienza che, insieme con una legge elettorale, necessaria conseguenza del demenziale, perché eccessivo, taglio dei parlamentari, che il contrasto allo SCASSAITALIA, è una delle priorità di chi ama l’Italia e la Costituzione e non della sola opposizione, in parte indifferente e in parte prigioniera dello slogan del contrasto alla secessione dei ricchi.

La scarsissima affluenza alle elezioni regionali di Lombardia e Lazio, che insieme rappresentano un quinto della popolazione e del corpo elettorale italiano, è un chiaro segnale della sua insoddisfazione e della sfiducia del Popolo nella rappresentanza del Parlamento e dei Consigli nazionali dell’interesse della Nazione.

[1] “La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.

 

N°99 del 18/02/2023

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi