-di Maria Anna Lerario – Il welfare state e la redistribuzione della ricchezza sono due argomenti tipicamente socialisti che hanno attraversato lo specchio dei tempi. E si confermano tutt’ora più che attuali e strategici: punti chiave per la costruzione – o ricostruzione – di un nuovo umanesimo socialista.
Buona parte delle persone si è, con il tempo, abituata alla logica del sacrificio secondo la quale stringere la cinghia da un lato e non aspettarsi granché in cambio dall’altro è l’unico modo per tamponare emergenze ora politiche, ora sociali, ora economiche. Come se la risposta alle varie, continue e spesso simultanee crisi fosse unicamente in capo ai singoli cittadini, alle lavoratrici e ai lavoratori. Sibillina l’irritante massima di Ettore Pretolini “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti”.
Le disuguaglianze sociali sono aumentate.
E questo è l’unico vero risultato tangibile delle politiche di austerità introdotte dall’Unione Europa dal 2008 ai giorni nostri. Un progressivo impoverimento della cosiddetta classe media che ha generato una divisione ancora più netta e precisa tra chi ha tanto e chi nulla. E, nel mezzo, l’area grigia di chi prova a galleggiare per non finire completamente fuori dal cerchio magico della sicurezza economica o per non cadere inesorabilmente nella ragnatela della povertà.
A un impoverimento palpabile e al crescere delle difficoltà sociali, non corrisponde un adeguato arricchimento delle misure di welfare state: anche a questo ci siamo abituati. Non una rete di servizi efficaci, né lotta alla povertà. Né, tantomeno, un sistema integrato proattivo capace di tamponare le emergenze e costruire il rilancio e la crescita personale prima, socio-economica poi. Solo una serie inesauribile – un pozzo senza fondo ma con tanti cavilli – di bonus e raccolte punti. Nel tentativo, forse disperato, di colmare il vuoto eclatante nelle politiche sociali e del lavoro.
L’idea di welfare state si fonda su un concetto di Stato capace di fornire servizi sociali come assistenza sanitaria, istruzione, formazione, pensioni, supporto ai bisognosi, lotta alla povertà.
Un modo di vedere lo Stato non come rete di salvataggio ma come tessuto connettivo e collettivo in grado di tenere coesa la società, traendo da questa coesione la forza necessaria per affrontare crisi e calamità e per portare le nuove generazioni in un futuro più stabile rispetto alle attuali premesse.
Non si inforcano però gli occhiali giusti e ci si dimostra sempre miopi: incapaci di guardare al di là del proprio naso.
Forse sfugge che al di là delle ondate di voti, costruire il futuro, migliora il presente e rafforza la stabilità del Paese, anche quella emotiva. Anche quella politica. La filosofia del “qui e ora” è una forzatura razionale dell’animo umano: programmare il futuro rasserena il presente, fa pace col passato.
Questi temi, grandi protagonisti delle battaglie socialiste del passato, nella società moderna, possono tornare ad essere strategici. Possono garantire equità, accessibilità e opportunità a tutti. Con l’intento di guardare realmente al futuro, spezzando la dinamica della toppa sul buco, utile, forse, a contingentare le esigenze più forti del momento, a raccogliere pugni di voti (transitori) ma totalmente inadeguata a preparare il domani. Quando non lo danneggia in modo irreparabile.
Puntare sul welfare e su nuovi meccanismi di redistribuzione della ricchezza è indispensabile, anche considerando le sfide attuali come la disuguaglianza economica e il cambiamento demografico.
La redistribuzione della ricchezza, d’altra parte, riguarda la proposta di una più equa distribuzione delle risorse economiche per ridurre le disuguaglianze sociali.
In un’economia moderna, questo potrebbe essere realizzato attraverso politiche fiscali progressive e la promozione di una maggiore equità nell’accesso alle opportunità economiche.
Il Segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri, più di una volta ha insistito su questi punti lanciando proposte “irriverenti” per una società come la nostra che ha estremizzato i concetti del neoliberismo, come la tassazione degli extraprofitti, da allargare rispetto alle misure – insufficienti – messe in atto nell’ultimo periodo. “Non è un esproprio proletario – ha detto recentemente il Segretario della Uil – ma una questione di giustizia sociale”.
Ed è proprio questo concetto di giustizia sociale ad essersi smarrito nel tempo. Non è un caso che l’unica voce che continua a sottolineare l’esigenza collettiva di un cambio di passo vero, concreto, è il sindacato. La politica interviene in modo relativo, la “classe politica” veste i panni dell’influencer, si accende nel dibattito dei salotti virtuali sull’efficacia o sulla dannosità del reddito di cittadinanza o su come calmierare i prezzi in salita dei carburanti e dell’energia, senza mettere a fuoco il volto reale dei problemi reali. Torna inesorabile la logica delle toppe. Miope.
Sarebbe, invece, opportuno, valutare attentamente le opzioni, disciplinarle in base e trovare soluzioni equilibrate che aiutino a ridurre le disuguaglianze economiche e a sostenere la crescita economica sostenibile.