– di ANTONIO TEDESCO-
Una scissione annunciata
Il XXV° Congresso del Partito socialista italiano (di unità proletaria), che si tenne a Roma all’Università “La Sapienza” dal 9 al 13 gennaio del 1947, si aprì subito in un clima polemico e con il tentativo da parte delle correnti di “Iniziativa socialista” e di “Critica sociale”, di annullare il congresso. Le due correnti accusarono la frazione di sinistra di avere adoperato metodi antidemocratici durante la campagna pre congressuale. Ma al centro del dibattito la “supposta” subordinazione verso i comunisti e la deriva fusionista da parte della componente di sinistra. L’11 gennaio Saragat, dopo un intervento molto duro nei confronti di Nenni, Basso e Lizzadri si trasferì, seguito dai principali esponenti della sua corrente autonomista a Palazzo Barberini, dove già da due giorni “Iniziativa socialista” e una parte di “Critica sociale”, avevano iniziato un congresso scissionista trasformatosi poi in congresso di fondazione del Partito socialista dei lavoratori italiani. Prevedendo un’analoga iniziativa dei secessionisti, il congresso approvò per acclamazione la proposta di Vernocchi che il partito riassumesse il vecchio e glorioso nome di Partito socialista italiano. La mozione di “Sinistra” si aggiudicò il congresso con l’87,9% dei voti. Segretario del Partito fu eletto Lelio Basso, che aveva voluto più di ogni altro la rottura con Saragat, vice Foscolo Lombardi e direttore dell’Avanti! Pietro Nenni.
Il clima di tensione interno al partito si era accentuato dopo le elezioni amministrative del novembre del 1946, che segnarono un arretramento del Psiup. Nenni voleva evitare fratture e scissioni (la tragedia della sua vita) ma premeva per far emergere una piattaforma politica chiara ed inequivocabile. Pertini aveva lavorato assiduamente per l’unità del Partito e si era opposto alla candidatura di Basso a Segretario. Pertini lo considerava un capofazione, ed aveva messo in guardia Nenni che una sua eventuale elezione avrebbe portato alla scissione. I due avevano avuto anche una lite furibonda nello studio di Nenni a Palazzo Chigi (gli uscieri riferirono che Nenni e Pertini erano quasi giunti alle mani). Dopo il congresso, amareggiato dalla scissione, Pertini si chiuse in casa, colto da un febbrone e chiese a Nenni di non essere nominato in direzione e di non avere nessun incarico. Nenni definì “sciagurata” quella scissione nella convinzione che Saragat avrebbe potuto ottenere la maggioranza al prossimo congresso del partito (le maggioranze nel Psiup erano molto variabili), facendo prevalere le proprie ragioni. Quella di Barberini fu la prima di tante drammatiche scissioni che indebolirono il partito. Ma perché il Psi subì tanti così tanti frazionamenti divenendo, per usare una felice espressione di Paolo Mattera, un partito inquieto?
Il pluralismo interno
Per comprendere il frazionamento è utile risalire alla fondazione del Psiup e alla sua natura pluralista. Il partito che si viene a creare nel 1943 non è il Psi di Turati e Costa. Già dal nome “Partito socialista italiano di unità proletaria”, si comprende che è un partito complesso con tante anime giunte al socialismo in modo diverso che cercavano faticosamente di convivere sotto lo stesso tetto: il vecchio socialismo riformista, la classe dirigente che si era formata in esilio, in Francia e in Svizzera, la nuova generazione di socialisti, approdata al socialismo, dopo essere cresciuta nelle istituzioni fasciste. La nascita del Psiup segna l’incontro di 4 organizzazioni, sorte in clandestinità agli inizi degli anni ‘40: il Partito socialista italiano, rifondato da vecchi dirigenti come Romita, Vernocchi e Lizzadri nel 1942 ma ridotto a pochi militanti, tanto che Nenni al suo rientro in italia, rimase esterrefatto guardando l’elenco degli iscritti (“Ma siamo pochissimi – esclamò – il Partito non c’è, ci sono solo i comunisti”); il Movimento di Unità proletaria di Basso e Viotto; l’Unione Proletaria italiana di Vassalli e Fioretti; il Partito socialista rivoluzionario (che non compare agli atti della fondazione del Psiup, poichè era stato già assorbito dall’Upi), un’organizzazione filo comunista, diretta da Mario Zagari, Achille Corona, Tullio Vecchietti e Giovanni Barbera che guardava con diffidenza alla ricostruzione del Psi, ritenuto, per certi versi, responsabile dell’avvento del fascismo e incapace di svolgere il ruolo di guida della classe lavoratrice. Nenni aveva sin da subito espresso riserve su quella fusione considerava i giovani (“i giovani turchi”) una forza potenziale, ma difficile da assimilare e disciplinare.
Un partito che cercava un’anima, pur senza rompere i legami con le origini di Turati e Costa, che voleva essere partito di classe, ma anche espressione del ceto medio, pacifista e nazionalista ma anche internazionalista e federalista (soprattutto per l’influenza che Colorni ebbe sui giovani del partito). Ad unire queste direzioni politiche la solidarietà umana e politica accresciuta durante la resistenza, l’antifascismo, la battaglia per la Costituente e la Repubblica. Raggiunti questi obiettivi, emersero con maggior vigore le diverse anime che nel secondo dopoguerra si raccolgono intorno a riviste e correnti e sembrano avere sin dal 1945-46 una vita autonoma, con canali di finanziamento autonomi. Se da una parte il pluralismo rappresentò una grande ricchezza per il socialismo italiano, la deriva correntizia determinò un forte scontro interno, alimentato da delusioni elettorali e soprattutto dall’annosa questione del rapporto con i comunisti. Questi aspetti, però, appaiono non essere sufficienti a spiegare la frammentazione socialista del secondo dopoguerra, in quanto la lotta correntizia durante i congressi era assai aperta e la coesistenza tra le diverse anime poteva essere contemplata in una logica di dialettica interna. Difatti, dal 1945 al 1949 Psi(up), ebbe ben cinque diversi segretari con diverse maggioranze: quindi la sfida interna era sempre apertissima.
Un partito “leggero” e vulnerabile
Dietro alla spinta scissionista sembrano essere rilevanti anche fattori di carattere organizzativo e finanziario. Come è noto le organizzazioni di massa nel secondo dopoguerra necessitavano di grandi quantità di finanziamenti per poter funzionare. Le risorse servivano non solo per supportare l’attività politica ma anche le iniziative mutualistiche e assistenziali necessarie a creare reti e legami fiduciari sul territorio. L’apparato burocratico aveva un costo considerevole e l’organizzazione del partito non poteva essere affidata alle oscillanti e incerte disponibilità dei militanti volontari. Il Partito socialista italiano non poteva godere degli aiuti e degli appoggi che avevano il Pci e la Dc, pertanto si trovò ad essere il partito di massa più povero finanziato con le briciole dei contributi di Mosca al Pci, partito alla cui ombra, dopo il 1948, doveva restare aggrappato per non perdere gli appoggi sovietici, che sembra transitassero dai Paesi dell’Est, soprattutto da Polonia e Repubblica Ceca. Quelle risorse che giungevano dall’URSS, non erano comunque sufficienti a sostenere le spese e come rileva Paolo Mattera, i dirigenti socialisti cominciarono ad attingere a fonti “esterne”, ovvero a partiti e movimenti sindacali di altri paesi: sinistra laburista, da altri ambienti del socialismo europeo per il tramite dei socialisti francesi ma soprattutto dalle opposte sponde degli Usa, tramite l’Italian-American Labour Council di Antonini (che fino al 1946 finanziò il Psiup e poi la scissione di Saragat). Questi flussi di finanziamenti che provenivano da sponde opposte, che per certi versi riflettevano i contrasti della Guerra Fredda, resero il Partito socialista alquanto vulnerabile e condizionabile. Dalla debolezza economica, che rendeva complicato anche tenere in piedi l’Avanti! discendeva la debolezza burocratica che sortì ben presto i propri effetti.
Inoltre, un altro aspetto poco rilevato, che certamente incise sulla stabilità interna del partito, riguarda la grande influenza e notorietà che diversi dirigenti socialisti avevano guadagnato nel secondo dopoguerra, assumendo importanti incarichi di governo. Non è un caso isolato quello di Romita, vecchio deputato socialista, che prima da ministro dell’interno e poi da ministro dei lavori pubblici e da attento conoscitore dei meccanismi del partito aveva costruito un grande consenso tra gli iscritti e importanti rapporti nel mondo dell’imprenditoria che gli consentirono notevoli appoggi nei suoi progetti politici, come emerge da una relazione della CIA che annota i contributi da lui ricevuti dalla FIAT (attraverso il faccendiere Valletta) e dal costruttore romano Gino Puccini, che secondo gli americani «era in debito con l’ex ministro dei lavori pubblici per i lauti contratti concessi». Alla tragica scissione di Saragat si aggiunsero nel corso degli anni altre fratture e la nascita di nuovi partiti: nel 1948 si venne a creare l’Usi (Unione socialisti italiani), per iniziativa di Ivan Matteo lombardo, che poi divenne Uds (Unione dei socialisti) che raccolse ex azionisti, autonomisti fuoriusciti dal Psi e socialisti indipendenti di “Europa socialista”. Nel 1949 si venne a creare, dopo la scissione di Romita, il “Movimento di Unificazione socialista” che poi darà vita insieme al fuoriusciti del Psli e a all’Uds al Partito socialista unitario, il Psu che poi nel 1951 si fuse con il Psli per costituire il Ps(siis) che poi divenne Psdi (emerge da un documento della Cia che il Psli ebbe dal COMISCO l’ultimatum a fondersi con il Psu). Certamente il dibattito politico ed ideologico appare rilevante nell’esasperazione della diatriba interna ma la natura leggera e plurale del partito e le difficoltà di ordine organizzativo e finanziario appaiono essere elementi altrettanto determinanti che resero il partito socialista vulnerabile e condizionabile da influenze esterne. Il partito socialista, protagonista della battaglia per la Repubblica e la Costituente, che in molti vedevano candidato a guidare il Paese, nel solco dell’antica tradizione riformista, nel giro di pochi anni si trovò lacerato e corroso al proprio interno e divenne incapace di giocare un ruolo più incisivo per le sorti del Paese.
Principali testi consultati
- Paola Caridi, La scissione di Palazzo Barberini. La crisi del socialismo italiano 1946-1947, Edizioni Scientifiche Italiane, 1990.
- Michele Donno, Socialisti democratici: Giuseppe Saragat e il Psli (1945-1952). Fa parte di: Storia dei socialisti democratici italiani : dalla scissione di Palazzo Barberini alla riunificazione con il Psi (1945-1968), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009.
- In compagnia dei pensieri lunghi. Berlinguer venti anni dopo, a cura di Umberto Silveri Gentiloni, 2007
- Il Movimento di Unità Proletaria(1943-1945), a cura di Giancarlo Monina, Annali della Fondazione Basso, Anno 2004, Carocci, Roma.
- Paolo Mattera, Il partito inquieto. Organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico, Carocci, Roma, 2004.
- Paolo Mattera, Storia del Psi 1892-1994, Carocci, Milano, 2010.
- Paolo Moretti, I due socialismi : la scissione di Palazzo Barberini e la nascita della Socialdemocrazia, Mursia, Milano, 1975.
- Franco Pedone, Novant’anni di pensiero e azione socialista attraverso i congressi del Psi, Marsilio, Venezia, 198
- Daniele Pipitone, Il socialismo democratico italiano fra la Liberazione e la legge truffa. Fratture, ricomposizioni e culture politiche di un’area di frontiera, Ledizioni, Milano, 2013.
- Giuseppe Tamburrano, Pietro Nenni, Laterza, 1986.
- Anima socialista, Nenni e Pertini in un carteggio inedito, a cura di Antonio Tedesco e Alessandro Giacone, Arcadia Edizioni, Roma, 2020.