Centenario della Marcia su Roma: il racconto di Pietro Nenni

-A CURA DI MARIA ANNA LERARIO –

Il 28 ottobre del 1922 i fascisti “marciano” su Roma. Un evento che ha segnato l’inizio della pagina più buia della storia italiana ed europea. Pietro Nenni ha raccontato, con il suo pregevole stile narrativo, gli antefatti che portarono all’affermazione di Mussolini e la cronaca di quel giorno, in due celebri libri: “Storia di quattro anni. La crisi socialista 1919 – 1922”, edito da Libreria del Quarto Stato nel 1926 (libro subito censurato dal regime) e in “Pagine di diario”, pubblicato da Garzanti nel 1947.

Di seguito le pagine più significative scritte da Nenni sulla Marcia su Roma. 

Dalle pagine di “Storia quattro anni. La crisi socialista 1919 – 1922” 

Il 24 ottobre, da Napoli, Mussolini lanciava la sfida ultima: O ci daranno il potere o lo prenderemo calando su Roma. (…)

A Napoli fu decisa la marcia su Roma. 

Ma contemporaneamente si svolgeva a Roma una altra manovra. Si tentava cioè di costituire un ministero di destra: Salandra, Federzoni, de Vecchi, di fronte al quale il fascismo fosse costretto a disarmare. 

Il 26 trascinati a ciò dall’iniziativa dell’on. Riccio amico di Salandra – i ministri mettevano i loro portafogli a disposizione del Presidente del Consiglio. Il 27, Facta si dimetteva. Iniziate subito le consultazioni della Corona si diffondeva la notizia di una quasi unanime designazione Salandra, al quale effettivamente il re dava l’incarico di formare il ministero. 

La risposta del fascismo da Milano fu fulminea. Il quadrumvirato dava l’ordine di mobilitazione e riusciva così a sconcertare i piani dei politicanti di Roma. È certo che se la crisi fosse stata risolta in ventiquattro ore con la formazione di un ministero di destra, la baldanza del fascismo si sarebbe arrestata a mezza strada. L’offensiva contro un proletariato materialmente e spiritualmente disarmato era stata una facile impresa, il colpo di mano su uno Stato che anche agonizzante avesse mostrata la intenzione di difendersi sarebbe stata impresa ben più rischiosa. 

Non fu necessaria. 

Con il proclama di Mussolini la crisi si arenò netta, il Governo in carica, dopo un vibrante appello, in cui trattava la mobilitazione fascista di «manifestazione sediziosa» e ordinava lo stato d’assedio, f u sconfessato dal re che negò, all’ultimo momento, la firma del decreto di stato d’assedio. Ultimo melanconico e ridicolo documento dell’ultimo Governo liberale-democratico- costituzionale, apparve sulle cantonate il proclama che segue: 

«Manifestazioni sediziose avvengono in alcune Provincie d’Italia, coordinate al fine di ostacolare il normale funzionamento dei poteri dello Stato e tali da gettare il Paese nel più grave turbamento. Il Governo, fino a quando era possibile, ha cercato tutte le vie di conciliazione, nella speranza di ricondurre la concordia negli animi e di assicurare la tranquilla soluzione della crisi. 

Di fronte ai tentativi insurrezionali, esso, dimissionario, ha il dovere di mantenere con tutti i mezzi ed a qualunque costo, l’ordine pubblico. E questo dovere compierà per intero, a salvaguardia dei cittadini e delle libere istituzioni costituzionali. 

Intanto i cittadini conservino la calma e abbiano fiducia nelle misure di pubblica sicurezza che sono state adottate. Viva l’Italia! Viva il re! 

Firmato: Facta, Schanzer, Amendola, Taddei, Alessio, Bertone, Paratore, Soleri, De Vito, Anile, Riccio, Bertini, Rossi, Dello Sbarba, Fulci. Luciani» 

Nel pomeriggio del 28 era diramato un comunicato ufficiale del seguente tenore: 

«Il Consiglio dei ministri ha deciso la proclamazione dello stato l’assedio in tutte le province del regno a cominciare dal mezzogiorno di oggi, 28 ottobre. 

Da stanotte il Consiglio dei ministri siede in permanenza a Palazzo Viminale, ricevendo di continuo notizie dalle varie province e ordinando le misure necessarie in base ad esse». 

Qualche ora più tardi un nuovo comunicato diceva:
«L’Agenzia Stefani è autorizzata ad annunziare che il provvedimento della proclamazione dello stato d’assedio non ha più corso». 

Edizioni straordinarie dei giornali annunciavano che il re si era rifiutato di firmare il decreto di stato d’assedio. Se quindi il re era con la «sedizione», la sedizione aveva vinto. 

Ventiquattro ore dopo Mussolini riceveva telegraficamente da Roma l’invito di recarsi al Quirinale, dove il re gli affidava l’incarico di formare il ministero. La sera del 30 ottobre, il primo ministero fascista era formato; ministero di compromesso nella sua composizione (si attribuì a Mussolini l’intenzione di offrire un portafoglio perfino al socialista on. Baldesi), ma nel quale i ministri dei vari Gruppi non ebbero altra funzione che servire di paravento alla dittatura fascista. 

Il duello fra rivoluzione e reazione, cominciato nel 1920, dopo la seduta reale della Camera eletta dal suffragio universale, era finito. 

La reazione celebrava a Roma il suo trionfo, facendo sfilare sotto il Quirinale, al cospetto del re, le squadre che a prezzo d’inaudite violenze s’erano impossessate delle province italiane. 

***

Dal libro “Pagine di Diario”

La marcia fascista su Roma – l’avvenimento che si collega al punto di partenza delle cose viste o vissute che imprendo a narrare – mi colse a Milano, redattore-capo dell’Avanti!

Della “Marcia” si parlava da qualche settimana ed essa era considerata imminente da quando Mussolini aveva dichiarato all’adunata fascista del 24 ottobre a Napoli: «O ci danno il potere o lo prenderemo calando a Roma». A precipitarla concorse la crisi ministeriale che si aprì il 26 ottobre 1922 con le dimissioni del ministro Riccio, cui fecero seguito quelle dell’intero gabinetto Facta. Fu allora che Mussolini – paventando una soluzione di Destra ancor più che una soluzione di Sinistra – decise l’avventura che poteva condurlo a Roma o in esilio. Lanciato alle camicie nere il proclama del 28 ottobre, egli incaricò una commissione di darne comunicazione alla stampa milanese, visitando le redazioni e chiedendo, fra lusco e brusco, la neutralità o la non-belligeranza a difetto della adesione.  

  La delegazione che venne all’Avanti! nella notte dal 27 al 28 ottobre era composta di Cesarino Rossi, allora “alter ego” di Mussolini e più tardi sua vittima e di Manlio Morgagni, amministratore del Popolo d’Italia e fedele uomo d’affari di casa Mussolini, promesso come tale alle pingui sinecure del Senato e della presidenza della Stefani; l’uno e l’altro amici miei di un tempo non molto remoto.

  Il colloquio fu breve e secco, giacché poco avevamo da dirci. Nella sala dove avevo ricevuto la delegazione fascista, le mura annerite dall’incendio, ed un cumulo di mobili fracassati o bruciacchiati, attestavano le violenze subite dall’Avanti!, da parte fascista, durante il sacco dell’agosto precedente.

[…]

Monarchia e fascismo si trovarono così di fronte. Fu per gettarsi l’una nelle braccia dell’altro. 

Al mattino del 28 ottobre la situazione era la seguente: di fronte alla proclamata insurrezione dei fascisti il governo Facta era stato invitato una volta di più a restare al suo posto per mantenere o ristabilire l’ordine; sulle cantonate compariva un manifesto firmato dal capo del governo e da tutti i suoi ministri (Schanzer, Amendola, Taddei, Acerbo, Bertone, Soleri, de Vito, Anile, Riccio, Bertini, Rossi, dello Sbarba, Fulci, Luciani) in cui davanti “Alle manifestazioni sediziose” il governo si dichiarava deciso “A mantenere l’ordine con tutti i mezzi ed a tutti i costi”; verso le dieci la Stefani diramava il comunicato che annunciava la proclamazione dello stato d’assedio in tutte le provincie del regno ed il passaggio dei poteri dalle autorità civili a quelle militari a partire da mezzogiorno. 

   A Milano il passaggio dei poteri si faceva all’ora prevista ed in quel momento il fascismo era unanimemente considerato come battuto prima ancora di aver impegnato la lotta. Alla sede fascista di san Marco ed al Popolo d’Italia dov’era Mussolini, soffiava vento di sconfitta. A Perugia dove si era installato il quadrumvirato fascista (de Bono Bianchi Balbo de Vecchi) si giudicava la partita come perduta. 

  Un’ora più tardi la situazione appariva capovolta. Si apprendeva infatti che l’ordine di stato d’assedio era revocato, il re avendo per la prima volta in vita sua rifiutato di controfirmare un decreto del suo governo.

   Se il re era con la sedizione la sedizione aveva vinto. Da quell’istante la marcia su Roma diventava un’allegra scampagnata. Mussolini la compiva in sleeping-car recandosi alla capitale su invito del re con l’incarico di costituire il governo. 

N°78 del 28/10/2022

*nella foto: Redazione dell’Avanti! del 1923. Al centro, Pietro Nenni

 

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