Quando Nenni, primo tra i leader italiani, incontrò Zhou Enlai e Mao Zedong

di Antonio Tedesco –

Da quando la Cina era diventata una potenza comunista e i rapporti diplomatici con l’Italia si erano interrotti, il ripristino delle relazioni diplomatiche rientrava fra i punti fermi dei programmi sia socialisti che comunisti negli anni ‘50. Se per il partito di Togliatti  i comunisti cinesi erano alleati strategici e la vittoria maoista comportava l’ulteriore espansione del comunismo a livello internazionale, per i socialisti di Nenni, l’esperienza cinese assumeva la funzione di modello alternativo al comunismo bolscevico. Molti socialisti europei guardavano con grande interesse ad una rivoluzione ritenuta spontanea, genuina e condivisa dalla popolazione e soprattutto che aveva partorito uno stato privo di un rigido e asfissiante apparato burocratico.  Pietro Nenni guardava con grande interesse alla Cina e progressivamente si stava accingendo a superare la stagione frontista, dopo il congresso di Torino del 1955, con l’apertura alla Dc nel quadro del dialogo con i cattolici.  Il problema di Nenni, già dal 1953, era di porsi come terza forza, creando un’alternativa democratica per rompere il bipartitismo imperfetto e realizzare l’incontro Dc-Psi per realizzare le riforme, per portare l’Italia nell’Onu e dare esecuzione alla Costituzione. Nenni era convinto che si stesse aprendo una fase internazionale con nuove prospettive: una Cina forte avrebbe permesso il superamento della logica bipolare “o con Mosca o con Washington”. Inoltre, il leader socialista era convinto che per stabilizzare la situazione asiatica e ridurre la tensione mondiale fosse auspicabile avallare il problema del seggio cinese all’Onu.  Forte di queste convinzioni, Nenni decise di intraprendere il viaggio in Cina, su invito di Zhou Enlai.  Sarebbe stato il primo politico italiano di rilievo ad approdare nell’immenso paese orientale. L’occasione avrebbe consentito a Nenni di rafforzare le relazioni in considerazioni di una disponibilità cinese ad aiutare economicamente l’attività politica e l’apparato burocratico del Psi e dell’Avanti! e avrebbe consentito al partito di svincolarsi dalla “briciole di Mosca”. 

Furono due i personaggi chiave dell’organizzazione del viaggio: il commerciante e dirigente socialista Dino Gentili e Kuo Mo-Jo, celebre intellettuale marxista cinese, presidente del Comitato popolare cinese per la difesa della pace mondiale. Dino Gentili si fece portavoce del desiderio di Nenni di visitare la Cina, nel corso di una missione nel luglio del 1955. Era stato il fondatore di Comet, società per gli scambi internazionali Srl, le cui relazioni commerciali con la Repubblica popolare cinese avevano avuto inizio già nell’agosto 1952, con l’aggiramento delle barriere imposte da Washington al commercio con i paesi comunisti. La stampa diede grande risalto al viaggio sbizzarrendosi in congetture e maliziosamente sottolineando che con questa operazione Nenni metteva in ombra Togliatti.  

Zhou Enlai era rimasto colpito dai sentimenti manifestati dal leader socialista italiano nei confronti della Cina. Inoltre la scelta di dialogare con un esponente socialista e non comunista, rientrava probabilmente nella cornice del desiderio cinese di riscaldare i rapporti con personaggi in grado di svolgere un’azione pro Cina in ambito internazionale. La Cina, dopo la conclusione del conflitto coreano, stava cercando appoggi esterni per attenuare il proprio isolamento e la dipendenza dal blocco sovietico. Era alla ricerca di interlocutori nel mondo occidentale in grado di favorire processi di distensione e Nenni poteva essere uno di questi.  Il ministro degli Affari esteri Gaetano Martino precisò che il leader socialista “non aveva ricevuto nessun incarico, neppure ufficioso, dal governo” ma in realtà il ministro seguì con grande attenzione gli sviluppi dell’azione del leader socialista e volle vederlo prima della partenza per chiederli aiuto per ottenere il visto necessario al viaggio in Cina. Nenni partì per Pechino lasciandosi alle spalle vivaci polemiche e dichiarò alla stampa che il suo viaggio in oriente era un tentativo personale di trovare soluzioni e sbocchi alla crisi economica che attanagliava il paese favorendo il riallaccio dei rapporti commerciali tra i due stati.

La stampa non abboccò e sui giornali comparvero fantasiose congetture. Fece discutere soprattutto la prevista sosta moscovita di Nenni, programmata sia in andata che in ritorno. Taluni avanzarono l’ipotesi che il vero obiettivo del viaggio fosse ottenere il nulla osta di Mosca all’alleanza con la Dc e che la visita nella repubblica Popolare Cinese, fosse un diversivo. L’ipotesi giornalistica non ebbe alcun reale riscontro: fu Kuo Mo-Jo a suggerire a Nenni le tappe a Mosca per un cortese e doveroso colloquio con Kruscev.  Il 24 settembre Nenni arrivò a Mosca dove vide Suslov: al centro del colloquio il veto russo all’entrata dell’Italia all’Onu.

Il 29 settembre Nenni giunge a Pechino e rimase colpito dalla folla che riempiva le strade: “A Praga la strada è tetra, a Mosca severa e frettolosa, qui è gioiosa, rumorosa, anzi clamorosa”, scrisse sul diario. 

Il giorno seguente, incontrò il primo Ministro Zhou Enlai nella residenza privata nel quartiere dei palazzi imperiali. Dopo lo scambio di regali (Nenni gli mostrò una copia dell’Avanti!) e il pranzo, Nenni e Zhou si fermarono a parlare per quattro ore. La questione principale, sollevata dal primo ministro, fu la rivendicazione cinese del seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Pietro Nenni intuì che la Cina era intenzionata a sviluppare scambi commerciali con l’Europa. Il 3 ottobre Pietro Nenni venne ricevuto da Mao Zedong assieme alla moglie Carmen, alla figlia Luciana e alla delegazione italiana. L’incontro durò diverse ore e furono affrontati diversi temi di politica internazionale e si parlò anche dei rapporti tra Italia e Cina. Nenni chiese ed ottenne da Mao il rilascio dei prigionieri italiani detenuti in Cina e il rispetto dei diritti delle missioni cattoliche. Mao gli donò il “pesce di lunga vita” intagliato nella giada e gli chiese, prima di salutarlo, cosa fosse “l’Operazione Nenni” della quale, allora, si parlava molto sui giornali. Nenni gli spiegò “che era un tentativo di apertura verso la Democrazia Cristiana, per sollecitarne una svolta a sinistra”. Ma il leader cinese non espresse giudizi. Il viaggio di Nenni, ricco di incontri e risultati, si concluse il 10 ottobre del 1955.

nenni in cina

 

Nenni rimase molto colpito da Mao, come raccontò ad Oriana Fallaci qualche anno dopo: “Forse resta il personaggio che mi è piaciuto di più. Ma, se dovessi motivare questa scelta, non ne sarei capace. Perché nasce da un istinto. Suppongo che mi sia piaciuto perché viene dal mondo contadino. E io son figlio di contadini, senza alcuna contaminazione cittadina o borghese”. I dirigenti cinesi apparvero a Nenni molto più umani nei loro discorsi e nell’accoglienza, rispetto ai dirigenti sovietici.  Se nel corso degli anni Cinquanta e per buona parte degli anni Sessanta l’apertura cinese a Nenni non produsse risultati evidenti, salvo irritare gli americani impegnati a difendere i diritti di Taiwan, con l’ingresso socialista nel governo negli anni ’60 le cose cambiarono. Tanto più che Nenni nel 1968 assunse la responsabilità di ministro degli Esteri e in quel ruolo aveva potuto far avanzare il suo progetto lungimirante del riconoscimento internazionale della Cina e del suo ingresso nella Nazioni Unite, che avverrà con Moro nel 1971. Proprio in quell’anno i cinesi vollero rivedere Pietro Nenni sul suolo cinese per ringraziarlo del suo grande impegno e della sua grande amicizia verso il popolo orientale.  

N°70 del 30/09/2022

fondazione nenni

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