L’insostenibile leggerezza del “capitolo cultura” nel dibattito politico.

Maria Anna Lerario –

L’autunno porterà all’Italia un momento di profondo cambiamento. Non solo perché si insedierà un nuovo Governo, in una tornata elettorale singolare nella storia della Repubblica, ma anche perché i nodi da affrontare per evitare al Paese una débâcle economica sono davvero intricati e, al contempo, strategici. A fronte della crisi energetica e dell’aumento incontrollato dell’inflazione 

È naturale, quindi, che le discussioni della campagna elettorale si focalizzino sulle grandi trasformazioni che bussano alla porta: transizione ecologica, transizione digitale, energia, lavoro, diritti (tanto per citarne alcune). 

Non crediamo, però, di essere di parte nel sottolineare che ci sono numerosi capitoli che occupano sì le pagine dei programmi elettorali, ma non vengono discussi. Relegati, quasi, ad argomenti accessori o, comunque, di serie B. Meno importanti. Argomenti, insomma, di quelli che “fanno volume”. 

Tra questi, c’è il capitolo “cultura”. 

Il capitolo “cultura” è, bene o male, presente in tutti i programmi politici elettorali dei partiti impegnati nella corsa a Palazzo Chigi. 

C’è chi lo ha legato a sport e turismo, chi ne ha fatto una delle leve delle trasformazioni della scuola e della formazione, chi ha insistito sugli investimenti, chi sui territori. Il dibattito vero, però, non è decollato. 

Male. Non si può parlare di lavoro, di transizioni ecologiche, digitali ed energetiche o di diritti (per citare nuovamente gli stessi esempi) senza toccare il capitolo cultura. 

Quelle che vivremo sono trasformazioni radicali del modo di vivere collettivo. Per funzionare, hanno bisogno di un bagaglio culturale forte e condiviso da parte della società. 

L’analfabetismo di ritorno, l’abbandono scolastico, la disabitudine alla lettura, la scarsa conoscenza dei territori del Paese e degli immensi patrimoni storici e culturali, della storia non giocano a favore di un percorso positivo verso i grandi cambiamenti che dobbiamo, come collettività, affrontare. 

Porsi il problema della cultura è fondamentale. Soprattutto in una campagna elettorale giocata a colpi di banner, meme e reel. 

Nuove forme di comunicazione elettorale dignitose, protagoniste assolute di una comunicazione che va sempre più verso l’astrazione del messaggio, ma che corrono lungo la lama tagliente della leggerezza. 

La questione si pone maggiormente se pensiamo al target giovane a cui si rivolgono, una fetta della popolazione per la quale è forte il bisogno di un collante culturale per costruire e definire idee, valori, identità. 

Affrontare il dibattito sul “capitolo cultura” non vuol dire ridurre il messaggio programmatico ad argomenti più futili. Significa, invece, arricchire le proposte di ragionamenti a tutto tondo sul futuro che si vuol costruire. 

Tanto più che resta ancora aperta la partita delle risorse da spendere del PNRR. Un pacchetto di 4,28 miliardi di euro ripartito su tre filoni: patrimonio culturale per la prossima generazione, rigenerazione dei piccoli siti culturali, patrimonio culturale religioso e rurale, industria culturale e creativa 4.0. 

Già solo l’elenco di questi tre capitoli progettuali di spesa lasciano intendere quanto è grande, ampio e importante lo spazio occupato dalla cultura. 

Nutrire lo spirito della collettività, delle comunità sociali, recuperando la storia, l’ecologia, il valore dello scambio, del discorso e del pensiero non è un argomento di serie B. Ha bisogno di risorse e progettualità, in un percorso organico e complesso in cui ogni variabile si abbraccia all’altra. 

È anche con la cultura che si riducono le disuguaglianze sociali e si crea quello spirito comune e condiviso che porta alla realizzazione di una società più sana e stabile, capace di affrontare sfide e criticità. 

Del resto, ne abbiamo parlato a lungo nella recente intervista a Edoardo Crisafulli, la cultura può essere anche una vera e propria arma contro le bombe e la distruzione delle guerre.

Ci auguriamo che oltre la campagna elettorale, qualunque sia il colore del prossimo governo, il “capitolo cultura” non resti chiuso nella leggerezza programmatica, ma assuma corpo e rilevanza. 

 N°62 del 02/09/2022

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