Il presidenzialismo: cos’è e cosa significherebbe per l’Italia

Cesare Salvi –

Si torna a parlare di presidenzialismo. Una delle coalizioni lo presenta tra i primi punti del suo programma in vista del voto ormai imminente.

Che cosa s’intende per presidenzialismo?

Ne esistono almeno tre varianti, molto diverse fra loro.

La prima è quella degli Stati Uniti e di gran parte dei paesi del continente americano. Il presidente è eletto direttamente ed è il capo del governo; il potere legislativo è affidato al Parlamento eletto in modo separato, anche cronologicamente. Nessun paese europeo adotta questo sistema. Questo tipo di presidenzialismo ha vari difetti; il principale è che risulta profondamente divisivo, determina un’accentuata polarizzazione, può portare – come vediamo appunto negli Usa –sull’orlo di una crisi istituzionale sistemica.

Il presidenzialismo in Europa

In Europa alcuni paesi di media dimensione (Austria, Portogallo, Irlanda) eleggono direttamente il presidente della Repubblica, ma il governo si forma su base parlamentare, e i poteri presidenziali sono simili a quelli previsti dalla Costituzione italiana.

L’unica eccezione è costituita dalla Francia nella quale vige il cosiddetto semipresidenzialismo; il Presidente, eletto direttamente, presiede il consiglio dei Ministri e ha rilevanti poteri politici. Anche in Francia, tuttavia, il governo deve avere il consenso della maggioranza in Parlamento, per cui si sono verificati in passato diversi casi di “coabitazione” tra un presidente di sinistra e una maggioranza di destra o viceversa. Anche Macron, dopo le ultime elezioni, deve cercare, per governare, di avere il consenso degli altri gruppi.

Ma a quale di questi modelli si pensa, quando si parla di importare in Italia il presidenzialismo?

E’ chiaro che l’elezione popolare del Capo dello Stato, di per sé, non è antidemocratica. Germania e Italia, dopo la II Guerra Mondiale, la evitarono, vista l’esperienza dittatoriale dalla quale erano uscite. D’altra parte, sistemi poco democratici possono esistere anche in democrazie parlamentari, come è il caso dell’Ungheria di Orban.

Tuttavia, gli equilibri istituzionali sono molto delicati, in genere, e in particolare oggi in presenza di una crisi della democrazia ormai diffusa ovunque. Prima di introdurre l’elezione popolare, bisogna quindi valutare molto bene non solo se con essa si intende solo modificare il modo di elezione, ma anche una riforma complessiva che elimini il carattere parlamentare del nostro sistema; e in ogni caso le conseguenze sulle attuali configurazioni dei poteri presidenziali.

P.S. – E’ singolare che le democrazie parlamentari che funzionano meglio in Europa sono quelle nordiche, dove c’è la monarchia. Ma pensiamo cosa sarebbe successo da noi se i Savoia avessero vinto il referendum del 1946!

Cesare Salvi

Roma, 31 agosto 2022

 

N°61 del 31/08/2022

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