Maria Anna Lerario – Il blocco asfissiante dei salari sta comportando la necessità e l’urgenza di una seria politica dei redditi complessiva. Un nuovo modello di redistribuzione della ricchezza che riformi distorsioni non più accettabili: precariato, cuneo fiscale eccessivo, dumping contrattuale.
Non è una storia nuova quella della perdita di potere d’acquisto di lavoratori dipendenti e pensionati. Sono decenni che l’Italia perde la partita dei salari e, contemporaneamente, della produttività. Una spirale negativa dalla quale il Paese non è riuscito mai realmente a venir fuori.
Adesso, con una crisi che non è più solo economica ma di sistema, che sta coinvolgendo l’Europa e il mondo intero, l’austerità imposta dall’UE con i famosi “vincoli di bilancio”, negli anni passati, sta mostrando tutte le difficoltà che, inascoltate, le parti sociali hanno sempre denunciato.
La misura è colma, insomma. Il sistema non tiene più e non arrivare a fine mese non è più un timore, ma una certezza. E un problema collettivo.
La forbice delle retribuzioni è aumentata a dismisura: mentre un operaio ha visto addirittura calare i propri redditi, quelli dei manager sono schizzati alle stelle.
Per fare lo stipendio di una manager, servono 649 stipendi di un operaio.
Una sproporzione enorme.
Il punto, però, non è ridimensionare le retribuzioni, i bonus e le buone uscite dei grandi manager (più che altro si potrebbero tassare di più), ma porsi finalmente la questione del salario non come spot elettorale ma come necessità economica.
Il tema del salario minimo va in questa direzione ma sfugge l’idea di un sistema articolato in cui le variabili economiche si armonizzano senza rincorrersi.
In passato abbiamo vissuto l’esperienza della scala mobile che per un lungo periodo ha tenuto in piedi il sistema salario – produttività – costo della vita fino a implodere in un giro tondo improduttivo e infinito.
Lo stesso probabilmente si sta verificando ora. La contrattazione, baluardo vero per salari e diritti invece di essere rafforzata e tutelata, sta incontrando tempi troppo lunghi nei rinnovi aprendo vuoti che, spesso, vengono colmati da contratti pirata. Un danno per tutti i lavoratori. Un danno per l’economia.
L’idea di un salario minimo che parta dai minimi contrattuali definiti dai ccnl di categoria – proposta lanciata dall’attuale Ministro del Lavoro, Andrea Orlando – è quella che potrebbe portare all’introduzione di questa misura, richiesta in larga misura dai lavoratori dipendenti.
È sufficiente?
Pochi giorni fa i sindacati hanno incontro il Presidente del consiglio, Mario Draghi. Il salario minimo è tra i temi discussi. Ma non l’unico. Da solo, non sarebbe comunque sufficiente a coprire la fame di serenità economica e occupazionale delle famiglie.
I sindacati lanciano sul tavolo i temi più caldi e necessari sui quali costruire realmente dibattiti e, soprattutto, riforme vere: un’azione decisa sul cuneo fiscale per ridurre le tasse sul lavoro e alzare le retribuzioni nette; agevolare il rinnovo dei contratti fermi da anni e anni (soprattutto per i settori più in difficoltà e in ritardo contrattuale come il commercio, terziario e pubblica amministrazione. Sono 6 milioni i lavoratori in attesa di rinnovo). Infine, il salario minimo.
Sul fronte del lavoro, invece, resta il nodo del precariato e di tutte le distorsioni che lucrano sul lavoro, come, ad esempio, il part-time involontario. Espedienti che le aziende utilizzano per ridurre il costo del lavoro, spostando ancora più in basso l’asticella del salario.
Ciò che serve, insomma, è una visione complessiva e a largo giro della questione salariale e del mercato del lavoro che riesca a unire tutele e interessi generali della collettività. Uno sforzo non da poco, insomma.
Quando un manager guadagna 649 volte ciò che guadagna un suo dipendente, magari anche in situazioni di crisi (cassa integrazione, esuberi, produzione ferma, azienda in perdita) esiste un problema che va oltre la morale e la giustizia sociale, pur fondamentale. È un problema che riguarda l’intero assetto economico del paese.
La crisi politico-istituzionale di queste ultime ore non è una buona notizia. Al di là delle evoluzioni prossime, i problemi restano e si amplificano giorno dopo giorno.
Le disuguaglianze rosicchiano la coesione sociale, già in estrema difficoltà valoriale e ideologica. Senza una guida, il treno deraglia.
N°52 del 15/07/2022
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