Antonio Tedesco – Se è nota la lunga carriera giornalista di Eugenio Scalfari, durata fino all’ultimo giorno della sua vita e di cui tutti i giornali stanno giustamente parlando, forse è poco conosciuta la sua esperienza politica. Grazie ad un carteggio inedito con Nenni, conservato dalla Fondazione Pietro Nenni è stato possibile ricostruire il rapporto, per certi versi travagliato, di Scalfari con il Psi negli anni ‘60. Avvicinatosi nel Secondo dopoguerra ai liberali, nel 1955 Scalfari è tra i fondatori del Partito radicale (nato proprio da una scissione del Pli) e cerca sin da subito di instaurare un rapporto con il Psi di Nenni nella convinzione che «pur sussistendo permanenti e profonde differenze di carattere ideologico e culturale da qualche tempo la linea politica del partito socialista e quello dei radicali andava sensibilmente avvicinandosi» (lettera di Scalfari a Nenni del 13 settembre 1955). Non mancarono nel corso degli anni alcune polemiche di Scalfari verso il Psi e soprattutto «lamentele» verso l’Avanti! colpevole di una certa «freddezza nei confronti del Partito radicale». Nel 1960 Scalfari propone a Nenni di partecipare ad un dibattito a tre «sulle prospettive della sinistra italiana» con Saragat e Reale ma il leader socialista «per prudenza» rifiuta, «convinto che un incontro con Saragat rischia sempre di diventare uno scontro ed oggi farebbe il gioco della destra»(lettera di Nenni a Scalfari del 20 aprile 1960).
La mancata candidatura nel 1963
Scalfari si avvicina sempre di più al Psi e viene eletto nel 1960 al Consiglio comunale di Milano, prendendo ben 3.768 preferenze e nel febbraio del 1963 si discute di una sua candidatura nella lista socialista per il collegio del capoluogo lombardo; nonostante il sostegno di Nenni e Lombardi la sua candidatura salta per l’opposizione dei compagni della Federazione di Pavia «che temevano che con la sua personalità Scalfari avrebbe raccolto un numero di preferenza tali da privare Pavia di un suo eletto». Una grande delusione che gli impedisce di prendere parte alla legislatura segnata dall’esperienza dei governi di centro sinistra. Amareggiato, scrive a Nenni: «Tutto ciò mi stupisce e mi addolora». Il leader socialista, che ritenne «un errore politico» la sua mancata candidatura, gli risponde: «Caro Scalfari mi lasci dire una cosa che avrei dovuto dirle dal primo momento e che cioè la tribuna giornalistica è infinitamente superiore a quella parlamentare, offre cioè ad uno scrittore vigoroso come ella è una udienza, una risonanza, una efficacia senza confronti con la Camera dei Deputati» (lettera di Nenni a Scalfari del 26 febbraio 1963). Ma Scalfari in polemica con i socialisti si dimette da consigliere comunale di Milano perché il Psi non ha trovato per lui «un posto tra i 46 candidati della sua lista e avrà certo modo di rimpiazzarlo adeguatamente e di liberarsi d’un estraneo non desiderato» (lettera di Scalfari a Nenni del 28 febbraio 1963).
L’elezione alla Camera nel 1968
Scalfari non abbandona l’idea di entrare nelle istituzioni democratiche e una sua candidatura ritorna in auge nel 1968. Poco tempo prima aveva subito una pesante condanna per un’inchiesta dell’Espresso in cui si accusava l’ex capo del Sifar De Lorenzo di aver ordito un colpo di stato nel luglio del 1964. Il Tribunale infligge 17 mesi di detenzione Scalfari e 16 mesi al collega Jannuzzi; Nenni, tra i primi ad esprimere solidarietà a Scalfari, definisce quella condanna «un enormità! Il minimo era una assoluzione per mancanza di dolo». Il Psi offre ai due giornalisti una candidatura alle politiche, con la lista Psi-Psdi Unificati: Scalfari alla Camera nel collegio di Milano, Jannuzzi al Senato in quello di Torino. In questo modo i socialisti sperano di guadagnare un po’ di voti sull’onda della notorietà dei due giornalisti, mentre per Scalfari e Jannuzzi si aprono le porte dell’immunità parlamentare. Scalfari accetta la proposta della direzione nazionale del Psi e chiede di essere candidato alla Camera, come indipendente, anche nel collegio di Torino; Jannuzzi, invece, viene candidato al senato in un altro collegio, quello di Sala Consilina – Vallo della Lucania, dove verrà eletto. Scalfari ottiene un numero considerevole di preferenze e viene eletto in tutte e due i collegi ed opta per Milano dove ha svolto gran parte della sua campagna elettorale. Questa scelta blocca la strada a Michele Achilli, il primo dei non eletti e scatena la dura contestazione di diversi dirigenti della federazione milanese. Riccardo Lombardi annuncia al partito le proprie dimissioni per consentire l’elezione di Michele Achilli, giovane e preparato urbanista(su questa vicenda si veda Andrea Ricciardi, Sinistra per l’alternativa, Biblion Edizioni 2021). Nenni blocca tutto e riunisce la direzione, che approva con un solo voto di scarto, dopo una votazione a scrutinio segreto, la volontà di eleggere Michele Achilli. Da Roma arriva a Scalfari l’invito a optare per Torino. Scalfari in un primo momento rifiuta e scrive una dura lettera a De Martino: «[…]La direzione del partito ha commesso una grave scorrettezza nei miei confronti trattandomi come un pacco postale che si traferisce da un luogo all’altro secondo il bisogno e il capriccio. A queste forme caporalesche io non sono abituato[…]»(lettera di Scalfari a De Martino del 5 giugno 1968). Dopo alcune frizioni con Lombardi alla fine accetta.
N°52 del 15/07/2022
One thought on “QUANDO SCALFARI VENNE ELETTO ALLA CAMERA CON IL PSI”