-CESARE SALVI – Ha suscitato molto clamore la sentenza della Corte Suprema USA che ha negato l’esistenza di un diritto costituzionale all’aborto, annullando i propri precedenti e dando ai singoli stati membri la libertà di vietarlo o di permetterlo.
Ci si è domandati se qualcosa del genere potrebbe accadere anche da noi. Per fortuna questo non è possibile per la diversità del nostro sistema costituzionale con quello USA.
Il diritto all’aborto, per la donna, era stato affermato nel 1973 dalla Corte Suprema, non dal Parlamento. Ora, la stessa Corte ha deciso in senso opposto, non – come qualcuno ha scritto – negando tale diritto, ma affermando che il potere di decidere in proposito spetta a una legge nazionale o, in mancanza, alle leggi dei singoli stati.
Il problema è che la Costituzione americana al 1787 si occupa soprattutto della divisione dei poteri, in materia di diritti dice poco. Per esempio, non prevede diritti sociali. La decisione è quindi in molti casi affidata all’opinione (e alle idee politiche) dei giudici.
La situazione in Italia è diversa. La nostra Costituzione prevede e disciplina i diritti della persona, compresi quelli sociali, garantiti nei confronti di tutti. In materia di aborto, la legge 194/1978 è il frutto di un ampio e democratico processo di decisione politica.
Alle origini, è l’iniziativa dei radicali: Adele Faccio ed Emma Bonino. Il codice penale del fascismo considerava l’aborto un “delitto contro l’integrità della stirpe”, e lo puniva con la reclusione da 2 a 5 anni sia per chi l’avesse causato sia per la donna. Nel 1975, la Corte Costituzionale lo dichiarò illegittimo in quanto non prevedeva la possibilità di interrompere la gravidanza di fronte a un pericolo grave per il benessere fisico o psichico della donna. Si pone così il tema di una legge conforme a questa decisione, e, dopo ampio dibattito in Parlamento e nel Paese, fu approvata la legge 194, con il voto contrario della Democrazia cristiana e della destra.
Nei due referendum del 1981 i cittadini respinsero a larga maggioranza sia la proposta radicale di liberalizzare l’aborto sia quella cattolica di ritornare al divieto penale.
Le garanzie democratiche previste dalla Costituzione (Corte Costituzionale, Parlamento, democrazia diretta) funzionarono quindi tutte.
La legge 194 è considerata una buona legge perché supera le opposte posizioni di chi chiede la libertà piena e senza limiti di aborto sia di chi invece ritiene che il valore della vita del concepito debba sempre prevalere. Come affermato dalla Corte costituzionale, invece, dalla Costituzione derivano sia il diritto alla vita del concepito, sia la libertà della donna di ricorrere all’interruzione di gravidanza; stabilendo tuttavia la prevalenza del “diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi è già persona, come la madre”, sulla “salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”, una vola che siano rispettati i limiti e le modalità previste dalla legge.
La legge 194 ha dato una buona prova, anche se non mancano le criticità, anzitutto per il crescente ricorso all’obiezione di coscienza da parte di medici e di personale sanitario. Nell’insieme tuttavia si deve dire che i diritti delle donne e del concepito sono contemperati con equilibrio, e del resto la Costituzione li prevede e li garantisce. Per questo, nessuna forza politica ha dichiarato di volerla rivedere. E questa, una volta tanto, è una buona notizia.
N°46 del 07/07/2022