Una riflessione di Maurizio Fantoni Minnella
In questi giorni, in tutt’Italia e in Europa si moltiplicano sulla scorta dell’emozione e dell’indignazione, i presidi in difesa dell’Ucraina e del suo popolo assediati dai carri armati russi come un tempo non lontano accadeva per la Cecenia, la Bosnia, per la Siria e per la Striscia di Gaza, al grido di “Fuori la guerra dalla storia”, presente sugli striscioni del gruppo “militante” delle ormai storiche “Donne in Nero”. Manifestazioni di civismo e di solidarietà necessarie, in difesa della parte più debole e più in generale della pace. Tuttavia può anche capitare che in alcune piazze italiane, insieme ai veri pacifisti si trovino, oggi, anche manifestanti intenti a sventolare le bandiere del movimento neonazista e ultranazionalista ucraino di Pravy Sector.…
Questo ci ricorda che, un conto è schierarsi a favore della pace come condizione essenziale per far progredire lo spirito umano e quindi contro qualsiasi aggressione militare non solo da parte di un popolo contro un altro popolo (come nel caso dell’attuale conflitto Russia-Ucraina), ma anche di una forza militare pilotata da forze esterne contro un governo democraticamente eletto (vedi alla voce Cile 1973 e Ucraina 2014), e un altro, invece, è difendere in toto un paese aggredito, schierandosi dall’una o dall’altra parte come in un match sportivo, senza porsi alcun interrogativo riguardante le ragioni storiche e politiche che lo hanno determinato.
Ci troviamo di fronte ad un conflitto tra due nazionalismi generati dalla caduta del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, l’uno di natura imperiale ed espansionistico, l’altro più strettamente nazionale e identitario. Due repubbliche post-sovietiche che oggi si ritrovano su fronti opposti, l’uno che opera con ogni mezzo in difesa dei valori dell’impero russo nella sua declinazione post-zarista (in una sorta di neo-panslavismo russofilo) e non filo-sovietico (laddove Lenin aveva propugnato il principio dell’autodeterminazione dei popoli entro il grande alveo dell’internazionalismo proletario). L’altro impegnato in una volontà ostinata di europeizzazione ad ogni costo, che passerebbe attraverso la negazione – riscrittura della storia e il rifiuto della lingua madre russa (la lingua dei grandi scrittori russi tra ‘800 e ‘900 come Gogol e Bulgakov e Anna Achmatova sebbene fossero nativi dell’Ucraina), e che trova la sua massima espressione nella richiesta di ingresso nella Nato. Sebbene i due paesi presentino enormi differenze, su entrambi grava lo spettro della corruzione politica, di un’impronta sociale e ed economica dominata dagli oligarchi, nati dalle ceneri del comunismo, e dall’autocrazia e dall’ultranazionalismo, presente da entrambe le parti, inteso quale soluzione territoriale ed etnica alla crisi che da lungo tempo affligge i due paesi.
Per l’autocrate nella più schietta tradizione zarista e stalinista, Vladimir Putin, l’Ucraina non è e non potrà mai essere una nazione bensì un’entità regionale all’interno della Grande Russia, ossia la piccola Russia dove nel 882 dopo Cristo nasceva la Rus’ di Kiev, ossia l’entità monarchica degli slavi orientali per volontà del Principe Vladimir e della Chiesa Russo-Ortodossa. Nella visione strategico difensiva di Putin, l’Ucraina, oltre a rivestire un significato storico e simbolico di assoluto rilievo, sarebbe altresì il territorio intermedio necessario ad allontanare le truppe Nato dai confini russi. La richiesta di adesione alla stessa Nato da parte del governo ucraino ha gettato definitivamente un’ombra tra i due paesi slavi ben presto trasformatasi in un’incolmabile voragine, al punto da spingere Putin a definire l’Ucraina come l’anti-Russia.
Per il presidente ucraino Zelens’kyj la Russia di Putin resta, nazionalisticamente, il vero oppressore, quindi di esso deve essere rifiutato ogni legame storico, politico e culturale e perfino linguistico. All’università di Odessa, ad esempio, è d’obbligo parlare in lingua ucraina per tagliare definitivamente i ponti con il passato anche a livello culturale. Inoltre non va sottovalutata la presenza attiva di gruppi di ultranazionalisti filonazisti ucraini della Brigata Azov e di famigerati Pravy Sector e Svoboda, che si ispirano alla figura del collaborazionista antisemita Stepan Bandera (1), (la cui statua, dopo il 2014, sostituì quella di Lenin in una piazza di Kiev, mentre gli venivano dedicate in tutto il paese numerose strade!), responsabili tra gli altri della cosiddetta strage di Odessa dove morirono arsi vivi nella Casa dei Sindacati 48 persone (34 uomini e 7 donne, tra cui impiegati del sindacato e militanti filo-russi), e che di fatto oggi costituiscono forze paramilitari in supporto all’esercito regolare. Le stesse che dal 2014 agiscono nel Donbass dove è in corso una vera e propria guerra a bassa intensità, per destabilizzare il tentativo autonomista degli oblast filorussi di Donetsk e di Lugansk.
Ovunque vi siano maggioranze russe in specifiche aree dei paesi dell’ex Unione, come anche nell’Ossezia del Sud e nell’Achbazia, vi è lo strenuo, impossibile tentativo russo putiniano di riconoscimento e di annessione quasi a voler ricomporre un puzzle impossibile di terre, uomini e di destini, di riunire tutti i russi “dispersi” in una sola unica entità, ovvero in una presunta e nuova Russia formata da Grande Russia, Piccola Russia e Bielorussia. Tuttavia è la percezione sia pur distorta dell’accerchiamento da parte dell’Occidente, ad alimentare la diversità russa acuendone la spinta nazionalistica, e dunque, a mettere in moto il dispositivo implacabile e feroce della guerra che da qualunque orizzonte la si guardi, va rifiutata senza indugio, o per usare un vecchio slogan del 2001, “senza sé e senza ma”.
Per la Nato che a suo tempo rifiutò energicamente l’ingresso della Russia post-comunista su diretta volontà degli Stati Uniti, la presenza accerchiante di contingente bellico in Polonia e nel Baltico e il definitivo moltiplicarsi dei paesi membri (da 12 a 30 paesi), sta a dimostrare che poco o niente è cambiato dalla fine dell’Urss, che il nemico di sempre viene oggi identificato nella Russia di Putin, paese certamente autoritario e autocratico, ma non lo sono, forse, anche la Polonia di Andrzej Duda e l’Ungheria di Victor Orban?!
Quanto all’Europa e all’Italia che ricevono forniture di gas dalla Russia, dietro l’unanime indignazione vi è dunque l’impotenza di chi non può intervenire in maniera diretta nello scontro (l’Ucraina non è attualmente un membro Nato), non solo limitandosi alla tattica del boicottaggio economico che di fatto non solo danneggerebbe il paese che la subisce ma anche quello che lo mette in pratica, ma anche premendo per l’invio di armi e di volontari sul fronte ucraino. Questo vuol dire che ancora una volta si è disposti non a fare la guerra ma ad accettarla come inevitabile, quando invece si dovrebbe tornare immediatamente al tavolo delle trattative per scongiurare il pericolo di una tragedia ancora più grande e su vasta scala, consapevoli, dunque, del crimine in atto di violazione di un diritto fondamentale, quello dell’autodeterminazione di un popolo sovrano, in questo caso l’Ucraino, ma altresì riconoscendo con obiettività la responsabilità di un occidente europeo ancora troppo invischiato nelle guerre americane sparse nel mondo, in quell’idea di “guerra giusta” (fare la guerra per conquistare la pace!) di “esportazione della democrazia”, spesso incapace di esprimere un’auspicabile indipendenza di giudizio, un’equidistanza tra le due potenze dominanti, anche rispetto alle politiche aggressive dell’altro impero, quello nordamericano atlantista per il quale l’obsoleta Nato è non da oggi risorta, presunta “custode dei valori democratici” ancora più forte ed ostile.
Ma se sul fronte ucraino ci troviamo di fronte all’orrore e alla stupidità della guerra, sull’altro, quello dell’opinione pubblica modellata sui media mainstream, nella percezione collettiva della tragedia, scopriamo la consueta ottusità e il conformismo (oggi peraltro dominante in ogni settore della cultura e non solo!) di chi ritiene di fare cosa giusta boicottando personaggi della cultura russa in trasferta in Italia e perfino l’acquisto e la lettura di autori della letteratura russa come è avvenuto all’Università Bicocca di Milano che ha annullato un corso di Paolo Nori sull’opera di Fedor Dostoevskij… poco dopo riconfermato per le forti proteste creatasi contro una simile decisione! E ciò nonostante cancellato dallo stesso Paolo Nori in segno di protesta in seguito allo stesso boicottaggio.
Credono forse questi signori di mettersi a posto con la propria coscienza, confondendo la cultura universale (che è di tutti) con le strategie del potere politico (che sono di pochi), quando in verità sappiamo che nessuno è veramente innocente, in questa e in altre guerre?
Mentre i casi di boicottaggio culturale della Russia si moltiplicano, restiamo basiti sebbene non sorpresi, della guerra di propaganda mediatica capillarmente diffusa anche da media insospettabili in difesa di un nostro intervento nel conflitto, a proposito del quale, tra l’altro, viene prontamente mostrato in un video un grattacielo di Kiev colpito da un ordigno ma si tratta di un falso: quello in realtà non si trova a Kiev ma nella Striscia di Gaza dove fu bombardato dall’esercito israeliano nel 2021! Non si dimentichi, ad esempio, che tra i primi atti del presidente ucraino dopo il proprio insediamento ci fu quello che del ritiro dell’Ucraina dal Comitato sull’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese delle Nazioni Unite, l’unico tribunale internazionale in grado di garantire il rispetto della memoria storica della Nachba (2). E ancora, in questo momento, in Italia, chi non si allinea con il “fronte” ucraino, quasi fossimo ormai precipitati ad una specie di collettiva “chiamata alle armi”, viene, per così dire, attaccato duramente e perfino emarginato!. Nel mentre si pretende di difendere la democrazia (ma quanta democrazia c’è oggi in Ucraina?) ad Est, la si vorrebbe negare a Ovest…
In questa vulgata mainstream che ha ovviamente una dimensione internazionale, il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj assurge perfino ad eroe sulla copertina del magazine glamour Vanity Fair che titola così: il volto della resistenza!. E a tale proposito ci vengono in aiuto altre parole, quelle di Ilan Pappe, storico israeliano naturalizzato inglese (3) quando individua “4 falsi postulati che sono alla base del coinvolgimento dell’establishment occidentale nella crisi ucraina; primo: i profughi bianchi (ucraini) sono i benvenuti, gli altri (africani e mediorientali) meno”. La discriminazione in atto avviene su base etnica, religiosa e eurocentrica. “Secondo: si può invadere l’Iraq ma non l’Ucraina”. Aggiungiamo che questo dipende da quali siano i nemici di turno degli Stati Uniti il cui potere d’influenza atlantista in Europa è sufficiente a legittimare qualsiasi attacco a un paese nemico. ”Terzo: in taluni casi i neonazisti possono essere tollerati”. Con buona pace del governo di Kiev che se n’è ampiamento servito nelle operazioni di pulizia etnica nel Donbass e a Odessa nel 2014. “Quarto: abbattere un grattacielo è un crimine di guerra solo se accade in Europa”….
E ancora: ”in quanto soggetti con una propria coscienza, noi abbiamo il diritto di interrogarci sulle risposte alle calamità e abbiamo le responsabilità di evidenziare l’ipocrisia che per certi versi ha spinato la strada a simili catastrofi. Legittimare l’invasione di Paesi sovrani e tacere sui processi di colonizzazione e oppressione ai danni di altri, come la Palestina e il suo popolo, porterà a ulteriori tragedie in futuro, in Ucraina e in ogni altra parte del mondo.
Non nascondiamo il fatto che queste parole siano destinate a rimanere largamente inascoltate, ma almeno coloro che siano in grado di sottoscriverne il senso profondo che è insieme necessità etica e urgenza politica, possano farne un riferimento prezioso per il loro impegno nella volontà di difendere la pace tra i popoli.
Note
- Leader storico, d’ispirazione fascista e nazista dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN), ritenuto responsabile dell’omicidio di 200.000 ebrei durante la Seconda guerra mondiale tra il 1941 e il 1945. Nel 2010 fu insignito eroe dell’Ucraina dal presidente Viktor Juscenko. Nel 1941 diede alle stampe un libello che incitava a liberarsi degli ebrei: “Getteremo le vostre teste ai piedi di Hitler”. Un patriota, un ultranazionalista rimasto nel cuore di molti ucraini anche durante l’Euromaidan del 2014 che con un colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti destituì il presidente filo-russo in carica Viktor Janukovich.
- Termine arabo con cui si definisce la tragedia del popolo palestinese
3. Ilan Pappe (1954) autore, tra gli altri, del volume La pulizia etnica della Palestina, Fazi editore, Roma 2006
N°21 del 11/03/2022