-di Antonio Tedesco-
«Nenni sarebbe stato uno splendido presidente della Repubblica e ci avrebbe fatto bene averlo al Quirinale. Ma non glielo permisero, non ce lo permisero. I suoi amici prima ancora dei suoi nemici». Nell’amara considerazione della giornalista Oriana Fallaci, che non ha mai nascosto le proprie simpatie per lo storico leader del socialismo italiano, vi è certamente un fondo di verità, in quanto Nenni per due volte si avvicinò a ricoprire la prestigiosa carica, ad accarezzare, come scrisse lo storico Tamburrano, «l’ipotesi del successo». In fondo Nenni che aveva lottato una vita per la Repubblica e la democrazia, da giovane repubblicano, a leader dell’antifascismo, a capo dei socialisti nella battaglia referendaria del 1946, forse lo avrebbe meritato. Partiamo dall’elezione del 1964. L’estate di quell’anno era stata segnata dai bollettini medici diramati dal Quirinale sulle gravi condizioni di salute del Presidente della Repubblica Antonio Segni, eletto due anni prima al Colle. Il 6 dicembre del 1964, dopo quasi quattro mesi di reggenza del Presidente del Senato Marzagora, Segni rassegna le dimissioni. In molti temono che l’elezione del nuovo Presidente avrebbe potuto compromettere i giá delicati equilibri del governo di centro sinistra, guidato dall’asse Moro-Nenni. Difatti le forze di governo si presentano divise: la Dc ufficializza la candidatura di Giovanni Leone, Presidente della Camera dal 1955 al 1963, con Amintore Fanfani candidato “di scorta”. Il Psi e il Psdi dal 1° al 7° scrutinio votano per Saragat, che però il 20 dicembre annuncia il suo ritiro dalla competizione. Si apre così il campo al leader storico del socialismo italiano, che osserva sul Diario: «Era naturale che la rinuncia di Saragat alla candidatura aprisse la cosiddetta “operazione Nenni” da me tanto temuta». Sandro Pertini lancia un appello a sostegno di Nenni, mentre per i socialdemocratici resta ancora in piedi la candidatura di Saragat. Dal 10° al 20° scrutinio, i partiti di sinistra votano per Nenni, che balza in testa a partire dal 16° (dopo la rinuncia di Leone, candidato ufficiale della Dc). Dal 18° al 20° turno, si fronteggiano Nenni, sostenuto anche dai comunisti, che fino ad allora avevano sostenuto il candidato di bandiera Terracini, mentre i cattolici e i socialdemocratici convergono sul redivivo Saragat, a dimostrazione di quanto fossero ancora forti le preclusioni del partito cattolico nei confronti dei socialisti. La confusione è al culmine: il primo, come rileva lo storico Alessandro Giacone, non può essere eletto senza il sostegno dei socialdemocratici; il secondo senza l’appoggio dei comunisti. Per superare lo stallo Nenni annuncia il proprio ritiro e, con il sostegno decisivo dei voti comunisti, il 28 dicembre Saragat è eletto al 21° turno di scrutinio con 646 voti. In quel gesto di Nenni, che aveva sacrificato se stesso, vi era certamente un duplice obiettivo politico: da una parte non compromettere gli equilibri del governo, che si apprestava, nonostante mille difficoltà, a varare riforme epocali per il nostro Paese, dall’altra non arrestare il processo di riunificazione socialista che si concretizzerà due anni dopo, seppur, come è noto, il progetto fusionista duró ben poco.
Dopo il settennato di Saragat le elezioni del 1971 vedono la Democrazia Cristiana virare su Fanfani, seppur la candidatura del Presidente del Senato non riscontra il consenso unanime all’interno del partito cattolico. Pietro Nenni, oramai ottantenne era stato nominato da Saragat l’anno precedente senatore a vita. Nonostante sia avanti con gli anni ha ancora una grande energia e risulta tra i “papabili” per il Colle tanto che lo stesso leader cinese Chou En Lai – che Nenni incontrò durante il suo secondo viaggio in Cina – gli aveva chiesto se aveva possibilità di essere eletto Presidente ma Nenni, con fare serafico, non esitò a rispondere: «Io ho ottant’anni e mi pare che basti!». «Sì, ma la vostra costituzione non prevede limiti di età», fu la replica dello statista cinese. In realtá, durante quel viaggio, un attento cronista come Francesco Gozzano, inviato dell’Avanti!, ebbe modo di annotare una conversazione a Pechino tra l’anziano leader socialista e la figlia Vany, in cui Nenni «non nascose la voglia di essere eletto: «Se ti eleggono accetti?» le chiede la figlia a pranzo. «Come si fa a non accettare», risponde lui con la solita aria rassegnata e mi racconta che anche Moro e i comunisti sono per lui. Tuttavia ritiene che Fanfani ce la farà. Le sue uniche chance consistono in una deliberata rinuncia dei Dc e in una ricerca di un candidato laico». Invece, un po’ a sorpresa, la segreteria del Psi decide di virare su De Martino, all’inizio riluttante, considerandolo un nome più “unitario”, capace di raccogliere i voti di tutta la sinistra. La Dc, invece, punta su Fanfani. Dopo alcuni giorni di impasse, la candidatura di Fanfani viene ritirata essendo decisamente sgradita a parte della Dc. Spunta a quel punto il nome di Giovanni Leone, l’uomo che era passato già alla storia per essere stato il timoniere del primo, famosissimo “governo balneare”. De Martino invece dopo ventuno scrutini fa un passo indietro e i partiti di sinistra tornarono a puntare forte su Pietro Nenni, una candidatura, per alcuni, avanzata con lo scopo di bloccare Fanfani e di aprire la strada a Moro. Il 23 dicembre del 1971, al ventiduesimo scrutinio Nenni ottenne 408 voti, mentre Giovanni Leone ne raccolse 503. Un tuono che annuncia la tempesta. Nenni e i socialisti confidavano in una vittoria sul filo di lana auspicando nei consensi, ritenuti scontati, di repubblicani e socialdemocratici ma il giorno seguente, vigilia di Natale, Leone venne eletto Presidente con 518 voti: «io sono rimasto con i 408 voti di ieri sera. Leone è stato eletto coi voti fascisti e io sono battuto dai socialdemocratici e dai repubblicani», annota amaro Nenni sul Diario. Mentre i missini festeggiano la vittoria, a sinistra riemergono le vecchie scorie tra socialisti e socialdemocratici, complice il fallimento della riunificazione, mentre La Malfa, che aveva garantito il sostegno dei repubblicani all’anziano socialista, alla fine, cambiò idea, temendo che quella candidatura fosse in funzione di Moro. Restò il rammarico per Pietro Nenni , come annotò sul Diario, dell’occasione che gli è stata rifiutata «di dire al popolo e alla nazione le due o tre cose che penso andassero dette nel contesto di un appello al coraggio: il coraggio anonimo di tutti i giorni e di tutti i cittadini nei confronti di una democrazia di burocrati e di tecnocrati e della partitocrazia oligarchica corrotta fino al midollo tra denaro e potere».
Fonti
Archivio Storico Fondazione Pietro Nenni, Fondo Francesco Gozzano
Anima socialista, Nenni e Pertini in un carteggio inedito(1927-1979), a cura di Antonio Tedesco e Alessandro Giacone, Arcadia Edizioni, 2021.
Diari di Pietro Nenni, Gli anni del centro sinistra, 1957-1966, a cura di Giuliana Nenni e Domenico Zucàro, pref. di Giuseppe Tamburrano, SUGARCo Edizioni, 1982.
Diari di Pietro Nenni, I conti con la storia, a cura di Giuliana Nenni e Domenico Zucàro, Pref. di Leo Valiani, SUGARCo Edizioni, 1983Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Rizzoli, 1974.
Giuseppe Tamburrano, Pietro Nenni, Editori Laterza, 1986
N°9 del 26/01/2022