di Maurizio Fantoni Minnella
La netta vittoria del candidato della sinistra Gabriel Boric alle elezioni presidenziali in Cile, pur essendo un risultato importante per l’intero Continente latinoamericano, rivela pur sempre l’ombra di una sconfitta, quella di un paese in parte malato, che non ha chiuso definitivamente i conti con il proprio passato se una parte di esso (ancora, in gran parte, quella borghesia reazionaria che in funzione anticomunista sosteneva il generale Augusto Pinochet) ha potuto ancora oggi esprimere un candidato presidente di estrema destra come Josè Antonio Kast del Frente Social Cristiano che proprio a Pinochet dichiara di volersi ispirare. Le ragioni vanno ricercate nella specifica natura della dittatura cilena e della politica economica adottata dalla stessa giunta militare, totalmente improntata al più sfrenato liberismo. Questo significa che in quel governo che ebbe inizio con il golpe del 1973 e si concluse nel 1990 dopo libere elezioni avvenute l’anno precedente, si materializzavano due tendenze solo apparentemente antitetiche, ossia, da una parte lo stato autoritario concretizzatosi in una dittatura fascista e dall’altra, il liberismo economico che si esprimeva nelle privatizzazioni selvagge, nell’esasperazione delle diseguaglianze sociali e nella sospensione dei diritti civili. In conseguenza di ciò non è difficile comprendere come larghi strati della borghesia abbia allora deliberatamente appoggiato la dittatura e che ancora oggi abbia inteso sostenere nostalgicamente un’estrema destra di ispirazione pinochetiana. Allora, qualsiasi scelta politica, anche la più improponibile sul piano della libertà e del diritto, veniva ipocritamente giustificata dalla strenua opposizione al comunismo internazionale che a sua volta, trasformata, in Cile come nel nostro paese, in una crociata e che aveva impegnato forze diverse, da quelle della destra più estrema a quelle incarnate dalla democrazia cristiana doppiogiochista. Quella fu la vera vocazione di gran parte delle forze repubblicane uscite dalla lotta di Resistenza e dalla guerra, perduta e vinta al tempo stesso. E’ infatti da questo paradosso che andrebbe letta tutta la storia politica che ne è seguita. Oggi pare davvero impossibile che la sedicente sinistra italiana possa serenamente specchiarsi nella netta vittoria della sinistra cilena proprio in virtù del fatto che la sua non è più una cultura radicata nella lotta di classe e nella difesa dei diritti sociali. Se infatti, oggi a Santiago del Cile, il vero nemico è il neoliberismo, evocato dal neo-presidente come pensiero unico da contrastare con gli strumenti messi a disposizione dalla democrazia, nell’italietta dei governi tecnici e del sogno berlusconiano senile della presidenza della repubblica, il neoliberismo sembra essere, a sinistra (laddove per sinistra s’intenda il centro-sinistra del partito democratico), la sola opzione politica esistente e dunque praticabile mentre a destra lo si combatterebbe con le armi del sovranismo e dello stesso estremismo di destra di cui si nutre quella parte di Cile che invece lo esalta come garanzia di privilegio e diseguaglianza, autorità e conservazione. L’accoglienza tiepida dell’Italia progressista verso il trionfo della sinistra in Cile, è un altro prevedibile strumento di rimozione (di cui subiamo oggi le nefaste conseguenze politiche) di una dialettica politica che fu incapace di trovare e di praticare quella terza via socialista in grado di coniugare i reali bisogni delle masse sociale con i diritti dei singoli cittadini. E’ ormai fin troppo chiaro che la riabilitazione politica e civile di Luiz Ignacio Lula da Silva in Brasile, la vittoria di un comunista alle elezioni del 2020 in Perù, il ritorno della sinistra in Bolivia dopo il golpe delle destre e la destituzione di Evo Morales nel 2019, ma anche il disastro umanitario e politico in Venezuela, non sono folclore politico come sempre sostenuto dagli eurocentrici oppure da coloro che hanno, anche per poco tempo, assaporato la gran moda del terzomondismo che poi moda non era mai stata ma cosa maledettamente seria, ma realtà e politiche concrete, degne, quindi, di entrare a pieno titolo nel grande dibattito contemporaneo.
Lunga vita, dunque, al nuovo governo di Gabriel Boric e… Viva Chile!
N°90 del 23/12/2021