– di ENRICO MATTEO PONTI –
Una vecchia raccolta di Lucio Dalla prendeva il titolo, “Amen”, da una canzone che, con un gioco di ritmi volutamente ossessivi, cercava di rendere l’idea dell’assalto sempre più massiccio al quale si viene sottoposti da una crescita delle comunicazioni e delle informazioni, ormai, praticamente senza alcun filtro e fuori da ogni controllo.
Questa canzone potrebbe far tornare alla mente l’Ulisse omerico che, tappate le orecchie ai propri compagni di viaggio, dovette farsi legare per potere ascoltare senza pericolo il canto delle sirene
E qui si pone una domanda semplice, semplice: non somigliamo un po’ anche noi a quell’Ulisse?
Siamo assediati da una miriade di notizie e messaggi più o meno occulti o subliminali che, con i più svariati e sofisticati mezzi, tendono a colpirci, guidarci, consigliarci non solo nei nostri acquisti ma in tutte le nostre scelte, fino al punto di tentare di arrivare, spesso riuscendoci, a creare artatamente in noi convinzioni, volontà, opinioni, fino, addirittura, la sensazione di bisogni i più vari e disparati.
Questo bombardamento, che non sempre razionalmente registriamo ma che tiene in continua tensione il nostro inconscio, rende quanto mai difficile la difesa della nostra autonomia che esercitiamo attraverso il complesso percorso dell’intelligere. Termine latino che non trova adeguato corrispondente nella nostra lingua, mentre potrà sembrare strano, è stato accortamente mutuato dalla lingua inglese con un “intelligence” che è in piena sintonia con il senso che i nostri antenati affidavano a questa parola.
Noi, oggi, siamo fatti bersaglio non solo dalle mille notizie ma dai mille commenti ad ogni notizia, a volte contraddittori e spesso, troppo spesso, interessati.
Siamo, quindi, chiamati a fare uno sforzo enorme, reso ancora più difficile dai ritmi del vivere quotidiano -causa o effetto?- che pongono davanti agli occhi della nostra psiche e del nostro subconscio, migliaia di piccoli segmenti, molte volte urlati da voci sgangherate e con termini non di rado offensivi, che dovremmo, invece e possibilmente da soli, ricostruire, ricollegare, capire, con tranquillità e con serenità.
Questa operazione, tesa a comprendere piuttosto che a subire, è resa, a volte, ancora più ardua da quanti, non gradendola, vogliono mantenere ben stretta la regìa preferendo che non sia mai chiaro il disegno, il percorso e l’obiettivo che certe notizie e certi commenti vogliono veramente raggiungere.
Non si tratta solo di invogliare all’acquisto di questo o quel dentifricio, né della subdola musichetta che accompagna lo spot con lo studiato scopo di collegare nel nostro inconscio quella marca e quel prodotto al successo nella vita o ad una maggiore potenzialità sessuale.
Ci troveremmo, ancora e ancora, in una sfera di scorretta, ma, al limite, accettabile manipolazione.
Dove queste manipolazioni diventano assolutamente pericolose è nel momento in cui i cittadini vanno a formarsi la propria opinione in merito ad avvenimenti o a comportamenti della classe politica o imprenditoriale.
Siamo sufficientemente “grandi” per capire che l’impostazione di fondo varia, in maniera anche massiccia, a seconda della “targa” e delle sponsorizzazioni di questa o di quella testata, di questo o di quel giornalista, di questo o di quel gruppo di potere?
Ciò comporta l’attivazione delle difese e dei filtri di cui dispongono persone con normale intelligenza e normale esperienza. Ma questa attivazione diventa assolutamente più complessa quando l’assalto arriva da parte di “nemici” imprevisti o attraverso “canali”, sistemi o linguaggi che sottilmente insinuano il seme del condizionamento.
Sia chiaro che noi vogliamo, invece, spingere ad una crescita e ad una sensibilizzazione, sempre maggiori, del senso e dello spirito di critica rendendolo, attraverso una lettura la più approfondita, attenta e meno superficiale possibile, di tutto quanto ci viene tirato addosso da stazioni televisive e radiofoniche, da social media, da pagine stampate di giornali, riviste, fino ad arrivare al più semplice depliant che troviamo nella cassetta della posta.
Cercare di riconoscere le varie sfumature della voce o della penna degli articolisti e dei commentatori, individuare gli obiettivi veri e i contesti in cui si muovono, sottoporli sempre all’esame coerenza, cercando di capire se un metro misura sempre un metro a prescindere da chi misura e da cosa si misura.
Altro esame che dobbiamo abituarci a fare sostenere ai nostri fornitori di notizie preconfezionate è quello del rispetto delle persone.
Sempre.
Chiunque esse siano.
I reali di Inghilterra o Woody Allen, Chiara Ferragni o il signor Franco Bianchi, un attore o un inquisito, hanno diritto al rispetto della loro “privacy” senza venire, fra l’altro, sottoposti giudizi sommari emanati come fossero sentenze emesse dalla Suprema Corte accompagnate da titoli ad effetto, le cui conseguenze non sono mai completamente recuperabili, quanto meno in termini di immagine e di dignità scalfita o distrutta.
Pari rispetto è dovuto ai lettori e agli spettatori che hanno diritto a non essere affogati da pettegolezzi o schizzi di infamia, quand’anche, per assurdo, fossero gli interessati stessi a gradire di essere “pubblicizzati” a qualunque prezzo.
Come nei contratti scritti con caratteri “piccoli, piccoli”, impariamo a leggere sempre tutto. Capire se un giornale ha una vincolata e vincolante linea politico-editoriale, più o meno dichiarata, alla quale il giornalista prima e, quindi, il lettore, dopo devono sottostare.
Chiedere e chiedersi se, veramente, fino al giorno avanti che non si conosceva l’esistenza di quel tal prodotto fossimo davvero così infelici e frustrati ovvero se inostri sogni saranno turbati dalla fine del flirt di questa o quelle principessine di cui ci viene propinato anche il colore delle maioliche della camera da bagno nel mentre, magari, si sorvola, con spudorata naturalezza, sugli “insignificanti dettagli” di guerre dimenticate o di carestie che recano solo fastidi. In sintesi, dovremmo abituarci a non accettare giudizi trancianti, né tranciare giudizi, senza farci distrarre dai colori o dalle fotografie, dai balletti o dai belletti, dai twitter o dalla carta patinata, dallo spot o, se attore o attrice, dalle fattezze fisiche dei loro corpi.
Lo zapping dell’informazione paga, però, solo se il modulo della nostra notizia viene assorbito completamente. Altrimenti si rischia il “mostro” con la testa di un giornale, il corpo di un TG, le gambe di un notiziario e piedi di un whatsapp.
Noi, e solo noi, dobbiamo assemblare criticamente le varie tessere senza, possibilmente, farne cadere nessuna nel cestino della distrazione, della fretta, della superficialità, del credulismo, del fideismo, dell’ideologia.
Quel cestino che oggi ancora drammaticamente contiene svastiche e razzismo, naziskin e violenza, commercio di armi e di rifiuti tossici, misfatti di ogni genere ai quali si cerca di trovare troppo spesso giustificazioni e coperture.
Quel cestino che oggi, ancora come ieri, allinea cervelli da portare all’ammasso anche con il non dichiarato fine di profanare cimiteri o assalire ostelli di emigranti in fuga dalla fame e dalla guerra che in altre zone del mondo -dello stesso mondo- la stessa violenza lo stesso odio, la stessa imbecillità ha messo e continua a mettere in moto, tentando di far dimenticare non solo la solidarietà e la storia ma anche il proprio vero e reale interesse, in quanto la guerra e la violenza non hanno mai generato benessere, se non per pochi.
Per molti pochi questo intelligere deve, in particolare, essere fortemente esercitato dai giovani che, privi di esperienze dirette e pieni dell’entusiasmo e dell’onestà dei loro pochi anni, rischiano, più degli altri, di essere scambiati per facili spugne pronte ad assorbire acque torbide ed inquinate.
Per evitare che ciò avvenga non servono consigli o parole. Né imbalsamati rituali.
Serve riscoprire il primato della storia, la forza della sua certezza e, purtroppo, della sua agghiacciante attualità ma, soprattutto, servono l’esempio e l’impegno, se non di tutti almeno dei più. Senza risottoporsi, per l’ennesima volta, alla lobotomia della delega in bianco a questo o quel partito, a questo o quel movimento, a questo o quel personaggio, a questo o a quel gruppo di potere che amano la nostra partecipazione giusto il tempo che destiniamo a scrivere un nome e a tracciare una croce su un simbolo ovvero a pagare quanto ordinato da noi dopo che loro lo hanno ordinato sub liminalmente a noi…
Quindi…. non vogliamo più dire “Amen!”
Anzi, vogliamo proprio poter dire “cosi non sia”
N°: 85 del 02/12/2021