-di PIERLUIGI PIETRICOLA-
C’è da avere fastidio di fronte alle parole di elogio – tutte condivisibili – spese per la morte di Roberto Calasso. Fatte poche ma debite eccezioni, si tratta di retorica priva di contenuti. Lo diceva Flaubert: lo stupido si riconosce perché mette il suo biglietto da visita sotto la statua del genio.
Roberto Calasso avrebbe aborrito tutto ciò. Lui che della discrezione ne ha fatto cifra stilistica di vita. Lui che della precisione della parola, di una scrittura priva di bellurie ne ha fatto motivo di eleganza.
La grandezza di Calasso sta nel mai spiegare ciò di cui parla. Nei suoi libri, i significati si rivelano. I lettori accorti sanno riconoscerli, li percepiscono immediatamente.
Lezione, questa, che Calasso trasse da Roberto Bazlen e che mai ha tralasciato né ripudiato.
Ho letto su qualche giornale che Calasso, insieme ad altri – fra cui Massimo Cacciari – apparteneva alla stregua di coloro che sono contro la scienza.
È vero: Calasso era contro la scienza intesa come dominio assoluto sull’ente, trionfo della tecnica, atto di fede laicista del nostro tempo.
La scienza come la intendeva Calasso – e la intendono Cacciari, Agamben, Severino, Heidegger, Zolla, Zellini, Vattimo e svariati altri – è comprensione piena dell’ente attraverso le interpretazioni che ognuno avanza, senza la pretesa che siano assolute e definitive.
Chi non comprende questo, difficilmente saprà apprezzare i libri di Calasso. E, cosa ancora più grave, difficilmente saprà tramandare la lezione che questo grande Scrittore ed Editore ci ha lasciato in eredità: la conoscenza (e quindi la scienza) come esperienza metamorfica dell’individuo.
N°: 58 del 02/08/2021