Caso Trump II: libertà di parola sui social media, che fare?

– di EDOARDO CRISAFULLI –

È innegabile che una sorta di iceberg gigantesco minaccia di travolgere le nostre democrazie: non possiamo ignorare alcuni fatti: i social media sono in grado di condizionare le elezioni democratiche, e i regimi autoritari censurano (ecco, qui si può dire) il libero pensiero dei loro sudditi a casina loro, e cercano altresì di manipolare noi cittadini di una liberal-democrazia postando fake news a tutto spiano. È necessario un controllo democratico sui social media? Io penso di sì, ma ci vorrà un bel dibattito, nella società civile e in Parlamento: chi decide, e sulla base di quali criteri, cosa si può pubblicare/postare, e cosa invece non sarà ammesso? L’Economist, rivista che sventola con straordinaria coerenza la bandiera del liberalismo, nutre forti perplessità sull’ipotesi che si possano imporre regole stringenti agli internauti incendiari e ai leoni da tastiera. Oltre ad estromettere dal dibattito pubblico individui pericolosi, verrebbe messa la mordacchia a chi non la pensa come noi.  Non ho soluzioni magiche da proporvi. Riflettiamoci sopra: questo è uno dei temi politici e morali del nostro secolo.

Torno quindi a bomba alla questione di fondo: è giusto che la libertà di parola sia illimitata? Se si ritiene che debba essere circoscritta (io sono di questo parere), quali sono i paletti accettabili in una democrazia? Questo tema ha almeno due secoli di vita, sicché molto possiamo apprendere se ci svincoliamo dall’attimo presente. Perdonatemi una notazione personale: un mio saggio, Igiene verbale. Il politicamente corretto e la libertà linguistica (Vallecchi, 2004), è molto critico verso quelle correnti della sinistra radicale che vorrebbero purificare il nostro linguaggio e, indirettamente, controllare il nostro pensiero. Ci tengo alle mie credenziali liberali. Aggiungo di più: ammiro la figura di Carlo Ginzburg, forse il più grande storico italiano vivente, il quale era contrario alla legge, attualmente in vigore, che persegue i negazionisti della Shoah. Che tempra morale e che spessore intellettuale! A suo padre – il mitico Leone, intellettuale libertario del cenacolo che diede vita alla casa editrice Einaudi — i nazifascisti fracassarono la testa dopo averlo torturato in carcere. Un conto però è negare l’esistenza delle camere a gas ad Auschwitz – affermazione vergognosa, anzi vomitevole –, tutt’altro conto sarebbe adoperarsi per ricostituire gruppuscoli neonazisti impazienti di incendiare le sinagoghe. In quest’ultimo caso trattasi di un reato perseguibile per legge, chi incita a commettere crimini va ridotto all’impotenza prima che possa commetterli. È questo il senso della legge che vieta la ricostituzione del partito fascista in Italia.

Est modus in rebus, dicevano saggiamente i latini. Eccolo, il bandolo della matassa: dubito vi sia una legislazione che accetti il principio per cui la libertà di parola debba essere assoluta – e non mi riferisco solo al reato di calunnia e diffamazione. Gli USA, un bastione dei diritti civili, sono esemplari in tal senso. Non c’è forse altra nazione democratica che ha altrettanto a cuore la libertà di parola, ebbene in questa nazione iper libertaria è stata elaborata la dottrina delle “fighting words”. Ci sono parole o espressioni inammissibili in qualsiasi agorà democratica perché geneticamente diverse dalle altre: sono malevole e tossiche, incitando all’odio e alla sopraffazione spingono a commettere reati violenti contro cose e persone.

Ci sono poi atti e comportamenti legati all’espressione di un’idea politica che sono turbativi dell’ordine pubblico, anche questi in teoria non dovrebbero essere tollerati. E qui il discorso si complica. Ricordate il caso del predicatore pazzo, un tale Terrry Jones, che voleva bruciare il Corano in pubblico per sfregio ai musulmani? Cercarono di farlo desistere con le buone, inutilmente. Finché, nel 2013, non fu arrestato prima che riuscisse a dar fuoco a circa 3000 copie del Corano in pubblico; lo fermarono sulla base di accuse secondarie: il possesso di un’arma e l’uso illegale del cherosene! In altre occasioni, le autorità pubbliche provarono a contestargli gli eventuali danni patrimoniali conseguenti alle proteste che il suo falò di ispirazione nazistoide avrebbe provocato. Ma lui proseguì impassibile, e non finì in galera. L’idea che la sua azione avrebbe potuto causare, per reazione, danni o vittime – preoccupazione incontestabile – non era una motivazione abbastanza solida per sanzionarlo, secondo la più parte dei giuristi americani. E infatti il predicatore seminatore di odio e discordia continuò ad appellarsi al Primo Emendamento, cuore del Bill of Rights promulgato nel 1791. Come è noto, il Primo Emendamento è una tutela fortissima delle libertà: di parola, di religione, di associazione, di stampa.

Questo è un caso molto diverso da quello che ha visto un presidente sconfitto nelle urne baccagliare con acrimonia e spirito revanscista contro il vero vincitore – politico e morale – delle elezioni: Joe Biden ha prevalso anche nel voto polare con uno scarto di ben 7 milioni di voti a suo favore. Non ho dubbi che la decisione di bannare Trump sia stata giusta: il Terry Jones è uno squilibrato, farlo parlare a ruota libera non danneggia la democrazia, caso mai può causare qualche vittima innocente; Trump, personalità politica di primissimo piano, proprio perché è un leader amato da molti ha una capacità infinitamente maggiore di causare disastri.  Il tema delle libertà è troppo delicato per chiuderla così. Continuiamo a dibattere, dunque, tenendo bene a mente una massima che ha un imprinting giudaico-cristiano: tutte le leggi e tutti i principi astratti sono fatti e concepiti per l’umanità, e non viceversa. Ne consegue che la sacralità della vita umana fa aggio sulla libertà di parola, benché anche questa sia sacrosanta per noi.

 

n°: 6 del 21/01/2021

 

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