LA NOSTRA VITA A SUON DI MUSICA E A PASSO DI DANZA

-di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Quante coincidenze l’esistenza ci destina. Tutte frutto del caso? O è il filo invisibile tessuto dalla vita a nostra apparente insaputa e che a noi spetta di districare? Propendo da sempre per questa seconda ipotesi. Mi affascina e atterrisce. Vidi uno spettacolo molto bello – Voice of soul – prima della quarantena, messo in scena da una compagnia di bravissimi giovani interpreti. Dopo quattro mesi circa mi capita di vederne un altro – il primo dopo una lunga pausa –, ancora più bello del precedente: Our lives, con gli stessi giovani e bravissimi protagonisti. Solo una coincidenza?

Al lato del palco c’è una panchina sulla quale siede il protagonista. Egli è un uomo ormai anziano, che ha vissuto gli anni più belli della sua vita, vedendo l’alternanza di gioia e dolore, entusiasmi e delusioni, sorprese rispettate e molte altre disattese. La sua famiglia d’origine migrò anni addietro negli Stati Uniti. E qui il nostro protagonista ha studiato, incontrato la donna a cui ha giurato eterno amore, realizzato i suoi desideri professionali e personali. Ogni tappa della sua vita viene raccontata dal protagonista in un dialogo immaginario con se stesso, pensando ad alta voce. E man mano che i ricordi si susseguono gli uni agli altri, eccoli prender corpo al centro del palco, in un alternarsi di canzoni, balletti e scenografie. Ne è scaturito uno spettacolo ottimamente coordinato, senza pause eccessive e tempi privi di ritmo.

Difficile parlare di protagonisti e coprotagonisti nel caso di Our lives. Da sempre la compagnia artistica che dà dono di sé al pubblico del teatro del villaggio Th di Simeri ama presentarsi come un’unica persona, una sola individualità dalla quale, di tanto in tanto, svettano le peculiarità dei singoli. E così in un momento ecco emergere la bravura canora di Desirée Infascelli, di Mirela Sârbea e di Mary Maggi. Un attimo dopo è la recitazione intimistica, sincera e sentita di Marco Vannucci a dominare il palco, alla quale fa da controcanto l’interpretazione precisa, vigile, matematica quasi, di Max Roggero. Ma nell’istante successivo tutto questo deve cedere il posto ai passi di danza possenti e delicati di Giorgia Aluzzi che, come accompagnandolo per mano, porta in scena l’intero corpo di ballo che disegna all’unisono coreografie con precisione e profondità.

Detto ciò, va da sé che la mia attenzione, quasi naturalmente, si è concentrata sui protagonisti dello spettacolo: Marco Vannucci, Giorgia Aluzzi, Adriano Scarafile e Max Roggero.

Di Vannucci mi è capitato più volte qui di parlare. Cos’altro potrei aggiungere? Il fatto, ad esempio, che ho apprezzato moltissimo la sincerità con la quale egli si è accostato al ruolo del protagonista di Our lives, donandogli sentimenti realmente vissuti fino a commuoversi. In genere l’attore, con ore e ore di studio, ricostruisce una spontaneità la quale, grazie a bravura ed esperienza, al pubblico risulta naturale (mentre così non è). Vannucci, a tutto questo, ha saputo aggiungere un tocco di realtà personale osando andare al di là del compito che all’attore è affidato: fingere. Ne è emerso un personaggio vero, archetipico quasi, che sentiamo vicino a noi proprio perché non è solo frutto di una preparazione meticolosa e fredda.

Di Giorgia Aluzzi, giovane e promettente ballerina, coreografa e anche attrice, ho sempre ammirato la levità con cui si presenta al pubblico. Quando accenna a un passo di danza o disegna una coreografia, non esistono sul suo volto smorfie di fatica, stanchezza o dolore. Tutto è dominato da un sorriso sereno, tipico di chi si lascia rapire dalle braccia dell’arte per farsi condurre verso mete inattese. Emozioni, pensieri, sogni e terragna realtà Giorgia Aluzzi li realizza con rapidi passi che sfiorano il pavimento, come a voler dire che metafisico e mondo reale convivono nella leggerezza tipica di chi ha ereditato lo spirito di Dioniso.

Di Adriano Scarafile, giovanissimo prestidigitatore che non disdegna il mondo della recitazione e del ballo: cosa posso dire di lui, che in Our lives ha vestito i panni del figlio problematico e disagiato di Marco Vannucci e Giorgia Aluzzi? Semplicemente che ha saputo ben padroneggiare il suo personaggio e il palcoscenico, nulla lasciando al caso, ma tenendo ogni particolare della sua parte ben fermo sotto un controllo vigile. Così facendo, ne è emersa un’interpretazione equilibrata, priva di stilemi e – anche in questo caso – sincera.

Indovinata e coerente con l’insieme l’interpretazione della coscienza, dell’alter ego in scena di Marco Vannucci: Max Roggero, la cui precisione e matematica cadenza nel porgere le battute hanno saputo dare a passioni, ricordi e sentimenti una misura di razionalità che nell’arte non può mai mancare del tutto.

Musical così, con brani interamente cantati e suonati dal vivo (ottima la scelta e la loro esecuzione curata da Gabriel Canelles e Giuseppe Maffei), meriterebbero di andare in giro per l’Italia nei teatri principali, affinché il pubblico abbia l’opportunità di sapere cosa vuol dire mettere in piedi uno spettacolo affidandosi a mezzi non economicamente esagerati, ma ricchi di talento e professionalità da lasciare l’animo degli spettatori in preda a un brioso entusiasmo.

Voice of soul e Our lives: due musical sul senso dell’esistere interpretati dagli stessi protagonisti. Voice of soul: l’ultimo spettacolo da me visto prima della quarantena. Our lives: il primo a cui assisto ora che si ritorna alla normalità. Entrambi interpretati dagli stessi protagonisti. Quale significato si nasconde dietro questa coincidenza?

Non mi interessa indagarlo. Preferisco, per il momento, ricordare la gioia che mi ha regalato un musical bellissimo e che consiglio a tutti di correre a vedere presso il teatro del villaggio Th di Simeri.

Ne vale davvero la pena.

 

pierlu83

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