Il 25 aprile: la giornata del filosofo…

– di MAURIZIO FANTONI MINNELLA –

Mentre scorrono le ore di un 25 aprile silenzioso, senza piazze, né cortei, il primo da quando venne istituito come giornata di commemorazione, il giovane e sempre più agguerrito filosofo torinese Fusaro si beffa allegramente di coloro che intonano Bella Ciao sui balconi e dalle finestre di casa, riempiendo la rete di versioni in lingue diverse dell’ormai leggendaria canzone partigiana. E lo fa, consapevole della propria ipocrisia, cosciente di pronunciare delle falsità, soprattutto quando afferma, ad esempio, che il richiamarsi ideologicamente ad un “fascismo immaginario”, mediante l’inno antifascista più conosciuto al mondo, significherebbe nascondere il vero nemico, l’élite delle multinazionali. Si può forse discutere su taluni aspetti consolatori della cultura dell’antifascismo senza tuttavia metterne in dubbio la sacrosanta legittimità e il diritto di ciascuno a evocare, con i mezzi a disposizione (canti, video-letture, bandiere etc.) un sentimento collettivo che ha sì a che vedere con la memoria storica ma, nondimeno, con il nostro presente. Ma non altrettanto si può far passare sotto silenzio il maldestro tentativo di uno studioso/docente di filosofia incattivito, pur con il sorriso stampato sul volto (sia chiaro, la definizione di filosofo è una pura convenzione), di negare, innanzitutto, che vi siano in tutta Europa (Italia compresa),  seri rigurgiti neonazisti, che in alcuni stati siano al governo o che rappresentino quote non trascurabili in parlamento, che con la caduta dell’Urss, si siano spalancate le porte ai nazionalismi più aggressivi e al formarsi di nuovi imperialismi ancora più aggressivi e minacciosi. Ancora una volta Fusaro si rifiuta di vedere e di riconoscere il vero volto del nuovo nazionalismo in quanto egli ritiene sia una semplice maschera dietro cui si nasconderebbero i veri nemici della globalizzazione, della finanza e delle multinazionali, mostrando quindi, di non voler separare la sacrosanta (e da noi condivisa senza se e senza ma) opposizione al neocapitalismo liberista dal vero volto, quello reale, di coloro che (in nome di un’equivoca idea di sovranità popolare e di difesa dei confini nazionali), hanno atteso settant’anni per riproporre idee e valori che, non solo hanno condotto alla catastrofe della seconda guerra mondiale e alla Shoah, ma che riflettono una visione gerarchica e totalitaria della società umana.

Fingere che tutto questo non esista o che sia, al massimo, confinato in una “minoranza folkloristica” per usare le stesse parole dello studioso, significa, semplicemente, pervenire a una sorta di disonestà intellettuale. Non stupisce, inoltre, la folta moltitudine di commenti positivi, spesso sgrammaticati e confusi, alle sue esternazioni in rete, a riprova del fatto che ormai ci troviamo di fronte a un torrente in piena, a una svolta del processo storico che, se per un verso proclama l’eliminazione delle frontiere e quindi, dell’egemonia delle singole nazioni, per altro verso sembra reclamare per sé la primitiva idea del sangue e del suolo. Un paradosso, certamente, che è facile rifiutarsi di comprendere, basta infatti, eliminare il secondo termine di questo bipolarismo asimmetricamente perverso. E trovarsi, dunque, alle prese con un solo nemico, il capitale finanziario, coi suoi padroni e i suoi servi, dimenticando però che il fascismo, del capitale privato fu di fatto il cane da guardia, che in ogni latitudine i fascismi, rifiutando l’idea di una società egualitaria, non possono, di certo, dirsi, dialetticamente, nemici del capitale, in qualunque forma esso si ripresenti nella storia. E ancora, con un altro nemico, certo, più fragile e contraddittorio, incerto su quali strade intraprendere in futuro, quella sinistra neo-liberale che troppo in fretta ha capitolato dall’idea di uguaglianza e di lotta. Ma non è certamente avversandola in nome del sovranismo che si affronteranno la costante minaccia del neoliberismo, fagocitatore di diseguaglianze, guerre e dolore. Al contrario, trasformandola o superandola nel nome degli ideali per cui la sinistra ha sempre combattuto, che si potrà, forse, sperare di affrontare il leviatano del capitalismo globale e il suo modello di società che sinceramente avversiamo.

Tuttavia, dopo avere ripetutamente dichiarato che siamo tutti agli arresti domiciliari e che, in fondo, siamo pure addomesticati per convincerci ad accettarli, eccolo, dunque, pontificare con logos forbito e flemmatico (e quasi sempre citazionistico) su quanti, innalzando l’inno partigiano per non dimenticare, intenderebbero in realtà dimenticare gli orrori del mondo globale di cui ci ritroviamo ad essere osservatori passivi, ma mai complici, il nostro filosofo di sicuro avvenire ha davvero superato il segno. E di certo in modo vile e sprezzante, noncurante delle molteplici sensibilità che spingono, in un certo senso, a esternare uno stato d’animo, l’idea di una resistenza permanente, in un momento in cui ci è negata ogni socialità non per un oscuro calcolo politico ma per la pericolosità di un virus che proprio nella socialità trae la sua vera linfa.

Così è, per noi, il paradosso globale!…

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