“È la prima volta nella storia che in minaccia pandemica si isolano i sani”. Intervista con Maria Rita Gismondo sulle cifre comunicate relative al coronavirus e su come dovrebbe essere la fase 2

-di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Coronavirus: continua la nostra attività di informazione. Oggi con la Professoressa Maria Rita Gismondo abbiamo conversato sui numeri relativi alla pandemia che ci vengono comunicati e su come dovrebbe essere la fase 2 che partirà fra qualche settimana.

 

Affrontiamo il discorso sui numeri. È uscito ieri un articolo su Affaritaliani.it (https://www.affaritaliani.it/cronache/coronavirus-numeri-inattendibili-si-e-vi-dimostriamo-perche-665108.html) nel quale si dice, come lei stessa ha più volte affermato, che le cifre che vengono comunicate sono falsate. Pare che si faccia di tutta erba un fascio. Cioè si confondono Sars CoV-2 (che è il famoso coronavirus) con CoVID-19 (che è la malattia e va dalla rinite alla polmonite). In più, sembra che tutti quelli che muoiono di CoVID-19 si fanno passare per malati di questo coronavirus. Com’è la situazione, Professoressa?

Dunque: andiamo con ordine. Ci sono errori madornali in tutti i numeri che vengono dati, fatta eccezione per le persone che sono in terapia intensiva. E che, comunque, potrebbero anche non essere solamente CoVID-19. Detto questo, partiamo dai positivi. Le cifre che li riguardano conseguono al numero di tamponi che vengono eseguiti durante la giornata. Io sono uno dei laboratori di riferimento, e le dico che un giorno ne posso passare 500 e un altro giorno ho due persone malate e ne passo 300. Quindi i risultati seguono il carico di lavoro dei laboratori. Noi diamo risultati di test e non di pazienti. Ogni paziente fa almeno due o tre tamponi. E questi finiscono nel numero complessivo dei referti che si inviano alla regione. Il che vuol dire, cioè, che noi non diamo il numero di pazienti, ma il numero di tamponi effettuati sui pazienti. Per intenderci: se facendo il tampone ad un paziente oggi risulta positivo, e lo ripeto allo stesso paziente e il risultato è ancora positivo, per la regione risultano due positivi anche se il paziente è lo stesso. Per quanto riguarda il numero complessivo dei positivi: non sono cifre rappresentative per tutta la popolazione. Tanta gente è a casa con pochi sintomi e non fa il tampone. Anzi: in alcuni casi sono gli stessi medici di base a dire loro di stare in casa, di non fare nulla e di non preoccuparsi. Si pensa, quindi, che i positivi siano maggiori di 40 o 50 volte rispetto alle cifre che conosciamo. Poi c’è il discorso dei morti che è stato già messo in risalto con un primo documento dell’Iss del 18 marzo scorso, il quale attesta che i morti di CoVID-19 erano 3 su circa 400 cartelle esaminate. Tutti gli altri erano pazienti con patologie già gravi e che, poi, sono risultate positive anche al coronavirus o che avevano avuto una super infezione da coronavirus. Questo non toglie la gravità all’infezione, ma ciò che ne risulta è un’altra cosa.

 

Non sempre i test effettuati sui tamponi sono attendibili. È così?

I test in dotazione, per motivi di tempo, non hanno avuto una validazione come si fa per qualsiasi test messo in commercio e che si utilizza. Quando sono stati provati questi test, avevamo pochi pazienti e dovevamo assolutamente sottostare a quello che era stato fatto in Cina. C’erano, perciò, delle problematiche per testare il test in merito alla sua sensibilità e specificità. Noi inizialmente lo comparavamo con il caso clinico. Adesso che abbiamo effettuato, nel nostro laboratorio, circa 15 mila test, abbiamo avuto modo di saggiarne la bontà. Alcuni sono affidabili, ma non tutti.

 

Sempre nell’articolo su Affaritaliani.it, si sostiene che le misure restrittive adottate e poste in essere sono inadeguate, dato che i virus sono presenti nell’aria e non si possono eliminare del tutto. Dov’è, allora, la loro utilità?

Su questo io sono un po’ più cauta. Nel senso che una misura doveva essere presa. Certamente è la prima volta nella storia che in minaccia pandemica si isolano i sani. Non si sono mai isolati i sani. Dal punto di vista virologico, l’isolamento dei pazienti infetti è sempre avvenuto e certamente è una delle metodiche più importanti e che dà risultati. Avremmo potuto prendere in considerazione anche un’altra possibilità: quella di tenere in una sorta di isolamento solo le fasce a rischio e lasciare gli altri a lavorare. Ciò che non è peregrino. Come che sia, sono state prese delle misure e quelle vanno seguite. E comunque stanno dando dei risultati.

 

Nella fase 2 si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di isolare le persone a rischio e quelle che sono infettate. O no?

Io penso che sia auspicabile, sennò non ne usciamo più. Nella fase 2 dobbiamo essere in grado, in maniera tempestiva, di individuare i pazienti che possono essere fonte di infezione – quindi positivi con sintomi – e perciò isolarli. E, a scopo precauzionale, tenere in sicurezza anche le persone ad alto rischio.

 

Potremmo già partire da domani con la fase 2?

Sì, a patto che non significhi fuori tutti. La fase 2 significa iniziare ad aprire a quelle attività che sono essenziali e che sono state chiuse fino ad oggi. Per quanto riguarda le persone: per ciò che concerne il modello restrittivo che è stato adottato, che piaccia o no, è ancora precoce. Perché vorrebbe dire interrompere a metà ciò che stiamo facendo e non raggiungere lo scopo che ci si era prefissati. Per i contatti sociali, quindi, è presto secondo il numero dei morti che ancora abbiamo. Per il mondo del lavoro la situazione è diversa. Certamente in questi giorni ci aspettiamo un piano serio e concreto di come affrontare la fase 2. Fino ad oggi non è mai stato detto nulla in proposito. Conte ci dice che il tavolo tecnico sta lavorando. Vedremo. Se ci avessero fatto aprire ad una fase 2 in questi giorni saremmo stati pronti? Io credo di no. Bisogna valutarla in maniera approfondita e tale da non avere ripensamenti e vanificare quanto fatto fino ad oggi che è stato un sacrificio davvero enorme.

 

Quanto durerebbe la fase 2?

Dipende da quello che abbiamo come numeri. Se riusciamo ad ottenere un abbassamento delle morti, un reale isolamento degli infettati e, in progressione, delle fasce a rischio, allora avremo una fase 2 corta. Se invece le misure – controlli a tappeto, isolamento immediato dei focolai e protezione delle fasce deboli – fossero fallimentari, la fase 2 durerebbe mesi.

 

Le mascherine: quali vanno usate nella vita di tutti i giorni e per coloro che lavorano stando a contatto con il pubblico e in un ambiente non sanitario come, ad esempio, ospedali e studi medici?

Noi dobbiamo rimanere sul concetto che la mascherina serve per limitare il contagio dal paziente o dalla persona infetta. La mascherina ci può aiutare se siamo vicini a qualcuno che, malauguratamente, non sa di essere infetto o ha pochi sintomi e che non prende le dovute precauzioni. Non possiamo però pretendere che gli operatori non sanitari mettano le Ffp2 o le Ffp3, anche perché dopo tre o quattro ore sono impossibili da tenere, hanno anche un limite di sopportabilità che si fa fatica a sostenere per tanto tempo per chi non è abituato. E il loro costo non è basso (c’è anche questo da tenere presente). In questa fase, un po’ per rassicurare psicologicamente e un po’ per evitare il contagio, la mascherina chirurgica può andar bene. Negli uffici pubblici le persone che sono front office e che sono a contatto con molta gente, penso che possano stare più tranquilli a lavorare con la mascherina e avere una certa protezione. Ricordiamoci, però, che la mascherina è una barriera meccanica relativa, perché se io dovessi spingere dell’aria con del virus attraverso la mascherina chirurgica, il virus passerebbe. Ma ci vorrebbe una certa pressione dell’aria e che in condizioni normali di vita quotidiana non si ha. Quindi: la mascherina chirurgica, una certa distanza di 1 metro o 1 metro e mezzo sono elementi che possono tranquillamente far tornare a lavoro. L’utilizzo delle mascherine Ffp2 o Ffp3 per il lavoratore pubblico non sanitario è impensabile.

pierlu83

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