Lettera al Presidente Giuseppe Conte

-di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Egregio Presidente Conte,

 

chi Le scrive è un semplice cittadino, che sta vivendo come tutti – e con disagio – questa situazione che, ci auguriamo, finisca nel più breve tempo possibile. In tal senso, ne approfitto per farLe i miei più sinceri auguri di buon lavoro. Il momento è drammatico. Per tutti. In particolare per coloro che si trovano in condizioni di estrema indigenza.

È impossibile, ormai, non sentir parlare ovunque di coronavirus. Pare che sia diventato il male del secolo quando, invece, di malattie gravissime – molto più pericolose del Covid-19 – ve ne sono tante e possibilità di una cura risolutiva tutt’ora remote. Un esempio: il cancro (diciamo questa parola, seppur brutale, con schiettezza lasciando da parte il politically correct).

Perché di patologie gravissime come il cancro, ormai, non si parla più? Non posso credere che siano finite in secondo piano. Ma questa è una domanda che pertiene più il mondo della scienza e dell’informazione che l’attività di governo in primis.

Venendo alle questioni più vicine al Suo lavoro, ho una serie di interrogativi che mi ronzano per la testa e ai quali avrei piacere che Lei potesse dare risposta.

Il primo: se il problema legato al coronavirus è iniziato in Lombardia (come testimoniato dall’articolo di Gianni Barbacetto pubblicato sul Fatto Quotidiano del 30 marzo 2020) a un dipresso alla fine del mese di Febbraio ultimo scorso, mi chiedo: perché la Lombardia non è stata resa zona chiusa, come già accaduto in Cina per la provincia dell’Hubei? Quando a Wuhan vi fu il primo focolaio di Covid-19, il governo cinese – adottando una serie di misure tutt’altro che democratiche – ha decretato la chiusura totale del capoluogo e dell’intero territorio provinciale. Ma non – e su questo occorre prestare attenzione – dell’intera nazione cinese. Da noi in Italia, invece, scoperto il focolaio di Covid-19 in Lombardia, non è stato preso il medesimo provvedimento. Se ciò fosse stato fatto, tutta l’Italia non si sarebbe trovata nell’attuale situazione, con il virus diffusosi ovunque ed una nazione ferma sotto il profilo produttivo. La prima domanda dunque è: perché non aver chiuso la Lombardia per tempo così da evitare la chiusura dell’Italia intera?

L’altro argomento su cui vorrei delucidazioni riguarda i provvedimenti che, giocoforza, è stato necessario – sottolineo necessario – prendere in tale situazione. Tuttavia mi pare che si stia innescando un pericolo sotteso proprio questi provvedimenti. E cioè che la norma prevalga sulla vita individuale – cioè di ciascuna persona nei suoi diritti fondamentali previsti da uno Stato Costituzionale, quale è l’Italia –  adducendo la ragione di tutelare e salvare quest’ultima. Da giorni sento pronunciare, da parte di rappresentanti dell’Istituto superiore di sanità e dell’Organizzazione mondiale della sanità, frasi di questo tipo: “Nulla sarà più come prima”, “Ci vorrà molto prima che si possa tornare alla vita normale” e via discorrendo. Se affermazioni di tal genere vengono pronunciate per prudenza, posso anche essere d’accordo – salvo il fatto che bisognerebbe scegliere parole e registri più adatti, e quindi fare attenzione a ciò che si dice. Perché, però, ci vorrà molto affinché le nostre esistenze tornino ad essere come prima se non meglio? Perché non si potrà tornare ad una vita normale in breve tempo? Forse per aspettare un vaccino o un protocollo di cura? E sia. Ma questo non può tradursi in una limitazione di quelli che sono i diritti fondamentali della persona e che uno Stato Costituzionale (e non uno Stato sovrano) ha il dovere di tutelare. Per usare le parole di Stefano Rodotà: “Occultata nel quotidiano, la potenza del diritto si sprigiona nelle situazioni d’eccezione – questa del Covid-19 mi pare lo sia –, quelle in cui emerge un’assoluta autorità sovrana alla quale tutti devono piegarsi. La regola sostiene e legittima l’eccezione, l’intero diritto viene in quel momento identificato con quel suo particolare uso, e ne può scaturire un rifiuto da parte di tutti quelli che, nella regola, colgono ormai soltanto l’imposizione. Quando, però, a una analisi che guarda al regime sovrano se ne sostituisce una volta a considerare quello ‘biopolitico’, i termini della questione cambiano. ‘Mentre nel regime sovrano la vita non è che il residuo, il resto, lasciato essere, risparmiato dal diritto di dare la morte, in quello biopolitico è la vita ad accamparsi al centro di uno scenario di cui la morte costituisce appena il limite esterno o il contorno necessario’. La dimensione quotidiana è oggetto dell’attenzione più intensa del diritto”.

Ecco quindi la seconda domanda: nei provvedimenti che prenderete, tenendo conto di tutto – anche del fatto che, come dichiarato dall’Oms, il SARS-CoV2 non è certamente come l’influenza stagionale ma è meno contagioso – quanto ci sarà della vita di tutti i giorni e in che modo i diritti fondamentali della persona – sanciti da uno Stato Costituzionale – verranno salvaguardati?

L’ultimo chiarimento riguarda la ripresa produttiva: ho letto che avverrà a scaglioni. Non voglio entrare nel merito dei vari provvedimenti presi e che si adotteranno per sostenere quelle realtà imprenditoriali che versano, loro malgrado, in estrema difficoltà.

La domanda è: non ritiene opportuno intraprendere un percorso collegiale d’intesa con le parti sociali, indispensabile in momenti come questo, per rilanciare l’Italia sotto il profilo economico-produttivo e in un contesto europeo che andrà per forza modificato e potenziato in termini positivi? Si tratta di un modus operandi già sperimentato negli anni del terrorismo, e con un certo successo. Cosa pensa di fare?

La ringrazio per le risposte che potrà dare a me ed ai lettori.

Cordialmente Suo.

 

pierlu83

Rispondi