Sull’intervento di Mario Draghi e la mancata chiusura per tempo della Lombardia.

-di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Le parole di Mario Draghi di qualche giorno fa hanno particolarmente colpito tutti. E altrimenti non sarebbe potuto essere, soprattutto perché rappresentano la dimostrazione, per uomini di governo chiamati ad amministrare periodi difficili, di cosa significhi realmente il termine “autorevolezza”, da non confondere con “autoritarismo”, al quale non gli si può neppure accostare.

I principi che hanno animato l’articolo di Draghi sono fondamentalmente due: la presenza di uno Stato forte in momenti di necessità come quelli che ci troviamo a vivere nostro malgrado; la presenza di un contesto più grande – l’Europa – che deve sostenere e valorizzare le manovre di urgenza che lo Stato in questione si trova obbligato a mettere in campo.

Entrambi i fattori richiedono grande competenza e capacità di previsione, altrimenti si rischiano più effetti collaterali dalla cura che dalla malattia. E in tal senso Draghi ha, dalla sua parte, una lunghissima esperienza in termini di finanza pubblica – nazionale e internazionale – che ben potrebbero applicarsi al momento che l’Italia sta vivendo. Il punto è che l’Europa rischia di divenire – lo si comprenderà meglio nelle prossime settimane – la grande assente ingiustificata in un momento in cui l’Italia ne ha maggiore necessità. Da qui anche l’urgenza di una figura autorevole come quella di Draghi, e sia detto prescindendo dalle personali predilezioni partitiche e personali, in particolare per ottenere ciò che desideriamo giustamente che la UE ci dia. Si tratta di solidarietà? Sì, inutile negarlo. Non dimentichiamo, però, che solidarietà non è esclusivamente un principio cristiano di carità da praticare per una buona convivenza comune fra simili. Quando da quello umano ci si sposta a un contesto di Stati e di loro amministrazione, la solidarietà è un principio giuridico operativo che ha come principale scopo la salvaguardia di quelli che sono i diritti fondamentali della persona. Per chi volesse approfondire l’argomento, può leggere – e con profitto – il libro di Stefano Rodotà: Solidarietà. Un’utopia necessaria.

Ho parlato di diritti fondamentali. Fra questi c’è la salute. Quale argomento è più attuale? Oggi soprattutto, dove in ogni pagina di ogni giornale, in ogni notiziario televisivo non si fa che leggere e sentir parlare di salute pubblica? Intendendo, con questo termine, qualcosa di così importante – ed effettivamente lo è – al punto da invocare e realizzare quello che, non a torto, è stato definito da Giorgio Agamben “Stato di eccezione”, dove vengono meno alcuni principi di uno Stato costituzionale – quale l’Italia è – per salvaguardare il benessere della popolazione in periodi di urgenza sanitaria (come quello che stiamo vivendo).

Per puro caso leggo un articolo di Gianni Barbacetto, uscito sul Fatto Quotidiano di oggi, dal titolo: La mancata “zona rossa” nella Bergamasca: la Lombardia sapeva, ma scarica sul governo. Ne traggo una sintesi: “C’è stata una falla nei primi giorni del contagio… Per capire è necessario tornare ai giorni di fine Febbraio, ad Alzano Lombardo. L’assessore regionale Giulio Gallera… ha spiegato…: «Abbiamo condiviso con il Presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, la necessità di una zona rossa nell’area di Alzano. Era il mercoledì della seconda settimana. Poi abbiamo atteso giovedì, venerdì, ma il governo questa decisione non l’ha assunta. Dopodiché, sabato o domenica ha preso una decisione molto forte, di chiudere l’intera regione. Sul perché non l’abbia assunta dovete chiederlo a Conte, non a noi». Il mercoledì della seconda settimana di cui parla Gallera è il 4 marzo, poi l’8 marzo il governo chiude l’intera Lombardia. Ma che cosa succede prima di quel 4 marzo? La crisi inizia domenica 23 febbraio. All’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano lombardo, Val Seriana, 6 chilometri da Bergamo, sono accertati due casi positivi di Covid-19. Nei giorni precedenti era scoppiato il primo focolaio a Codogno, in provincia di Lodi, che era però subito stato chiuso dal governo, d’intesa con la Regione, in una zona rossa. Ad Alzano non si chiude niente. L’ospedale viene fermato solo per poche ore. Nessuna sanificazione, nessun percorso differenziato per chi ha i sintomi del virus. Nessun tampone. Il virus si diffonde. Ecco la falla. Perché la Regione non è intervenuta?… I pazienti dimessi dall’ospedale, i loro famigliari, i medici, gli infermieri, i cittadini di Alzano sono lasciati andare in giro a diffondere il virus. Le fabbriche restano aperte. Aperti gli impianti sciistici della vicina Valbondione. L’ospedale diventa una bomba a orologeria. Si ammalano il primario e giù giù medici, infermieri, portantini. Si ammalano i pazienti dimessi e tornati a casa, si ammala chi entra ricoverato per una frattura ed esce infetto. Niente mappatura, niente tamponi, niente separazione dei contagiati. I malati crescono soprattutto nel paese vicino di Nembro. Il presidente Attilio Fontana e l’assessore Gallera temporeggiano… Il 2 marzo l’Istituto superiore di sanità (Iss) stila una nota –scoperta e raccontata dalla giornalista Francesca Nava sul sito Tpi.it –in cui propone la creazione di una “zona rossa ”per isolare il “cluster ” infettivo di Alzano e Nembro. La Regione, che potrebbe decretarla subito, aspetta le decisioni del governo. Il governo decide solo sei giorni dopo, l’8 marzo, con il decreto che dichiara tutta la Lombardia “zona arancione” e blocca 11 milioni di persone. Troppo tardi. Bastava chiudere –ma molto prima –un’area di soli 25 mila abitanti. Non è stato fatto: per non fermare le fabbriche e le attività produttive della zona, ipotizza Francesca Nava, per non bloccare quasi 4 mila lavoratori, 376 aziende, un fatturato di 680 milioni”. E così via sul Fatto Quotidiano di oggi.

A questo punto è lecito porsi una domanda: riprendendo l’esempio di quanto fatto in Cina, che ha chiuso, letteralmente chiuso, la provincia dell’Hubei e il suo esteso capoluogo Wuhan e non l’intera nazione, alla luce dei fatti da parte del nostro governo e in nome del principio-diritto fondamentale più che condivisibile della salute pubblica, non sarebbe stato meglio (e anche più giusto) chiudere solo la Lombardia per tempo e preventivamente così da scongiurare la diffusione del virus e ciò che ne è conseguito per l’Italia intera? E perché tutto ciò non è stato fatto per scongiurare l’attuale situazione (per non parlare del futuro)?

pierlu83

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