Cosa deve fare un critico? Considerazioni intorno a un articolo di Aldo Grasso su Maledetti amici miei

di PIERLUIGI PIETRICOLA-

 

La critica, di qualsiasi genere essa sia (letteraria, d’arte, televisiva, filosofica, politica, eccetera) non può né deve parlare delle persone. Essa può permettersi di analizzare, in termini positivi o negativi, esclusivamente ciò che gli uomini producono. I giudizi di valore – bello, brutto, buono, cattivo – sono discorsi da bar sport.

Ci tengo a dire questo perché qualche giorno fa mi è capitato di leggere un articolo di Aldo Grasso, noto critico televisivo, su un programma che sta andando in onda su Raidue in questi giorni: Maledetti amici miei, e che rievoca le goliardiche zingarate toscane che tutti ben conosciamo perché interpretate sullo schermo da straordinari attori quali Ugo Tognazzi e Adolfo Cieli. Un’intuizione di per sé simpatica e a suo modo innovativa; ciò di cui va dato il giusto merito a Carlo Freccero, direttore della seconda rete, per aver ospitato un’idea originale fra palinsesti che si ripetono identici ogni anno fino alla noia.

Tuttavia questo programma a Grasso non è piaciuto. Ed è anche giusto; il critico, in fondo, è persona che svolge una professione e non è immune da gusti individuali. Il punto di tutta la questione, che ha scatenato da parte di Giovanni Veronesi – uno dei protagonisti e degli autori di Maledetti amici miei – una polemica sul web, è che Grasso ha fatto quello che un critico non dovrebbe mai fare: giudicare chi produce un’opera invece che concentrarsi su quest’ultima. Per altro scorrendo l’articolo in questione, non si individua un’analisi del programma nelle sue strutture portanti, ma solo opinioni sui protagonisti: Alessandro Haber, Sergio Rubini, Margherita Buy, Rocco Papaleo e lo stesso Veronesi. Si badi che si tratta di un’operazione legittima, che si può fare. Ma che è distante dalla critica. Quella di Grasso è il racconto di un’esperienza come spettatore di una trasmissione, ma che non restituisce né fa comprendere il programma di cui parla a chi non lo ha ancora visto. Umberto Eco direbbe che ci si trova di fronte a una critica orgasmica.

Non è buona educazione dire a qualcuno cosa si sarebbe dovuto fare in luogo di quanto fatto, però forse è bene ricordare che chi analizza un prodotto – artistico o televisivo – deve focalizzarsi su quella che i semiologi chiamano intentio operis, ciò che un’opera esprime nella sua letteralità con tutte le connotazioni che da lì si dipanano. Per far questo è opportuno individuare gli elementi minimi che la compongono e comprendere come da questi scaturisca una simultanea polisemia, vale a dire la convivenza di più significati che tutti debbono trovare riscontro nello zoccolo duro della letteralità dell’opera analizzata.

Aldo Grasso nella sua recensione questo non lo ha fatto. In tal modo ha prodotto un articolo il cui scopo è suscitare polemiche e creare discussioni, distogliendo però l’attenzione dal programma di cui parla. Per esempio si sarebbe potuto discorrere a lungo sul fatto che, come tutti i prodotti televisivi, Maledetti amici miei ha una scrittura testuale dalla quale deriva la messinscena che si vede sullo schermo, e magari procedere ad analizzarla. Oppure che, come in ogni trasmissione che si rispetti, anche Maledetti amici miei ha un regista che si suppone dia a coloro davanti alle telecamere le giuste istruzioni di movimento e interpretazione del ruolo per catturare l’attenzione dei telespettatori. E che dire del ritmo temporale entro il quale il programma procede? Altro elemento non da poco.

Sono solo alcuni esempi, ma che se inseriti in una recensione fanno la differenza. In fin dei conti, il critico deve porsi come scopo quello di dare una conoscenza in più rispetto a quella che un ideale pubblico di lettori già possiede. Da quanto scritto da Aldo Grasso su Maledetti amici miei, si evince solo la sua antipatia per il programma.

Come disse un critico d’arte nel vedere diverse nature morte con bottiglia di Morandi: “Mi sembra un po’ pochino”.

 

pierlu83

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