Camilleri regista teatrale di storie scritte

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

È stato appena sepolto al cimitero acattolico di Roma, Andrea Camilleri. E con questo atto, se Dio vuole, cadranno nel silenzio le sequele di luoghi comuni accumulatesi sulla sua scomparsa. “Scrittore dallo stile originale”; “Un intellettuale libero che ha interpretato il suo tempo indicandoci la direzione giusta da seguire”; “Un uomo che, attraverso i suoi libri, ha ritratto i vizi e le virtù degli italiani senza fare sconti a nessuno”; “Una figura della quale bisognerà meditare e apprendere la lezione”; “Una guida morale di cui non si può fare a meno”. Sono solo alcune delle frasi fatte che, su richiesta, persone – famose e ignote – hanno rilasciato con generosità ai microfoni di radio e televisione. Argomenti che si adattano a meraviglia ad ogni scrittore degno di tal nome. Ma che nulla ci raccontano dello stile di Camilleri. Quasi niente ci rivelano delle sue ossessioni, delle sue immagini ricorrenti, del suo modo di costruire e organizzare la trama. Unica dichiarazione originale: quella sul suo bizzarro registro linguistico, a metà via tra l’italiano ed un siciliano inventato di sana pianta per più della metà.

Ma in tutto ciò, dov’è il vero Camilleri?

Immaginando di doverlo spiegare ad una scolaresca ignara, direi che l’autore di Montalbano, anche sulla pagina scritta, si è sempre comportato come un regista. Egli non ha mai concepito il libro diversamente da un palcoscenico; e i personaggi qualcosa d’altro da attori di una compagnia da dirigere.

Per anni frequentatore di teatri, regista di spettacoli – televisivi e non solo –, Camilleri di fronte a un romanzo si è sempre, innanzitutto, posto il problema di come rappresentarlo. O per meglio dire: di come far sì che l’immaginazione dei lettori potesse dar vita ad uno spettacolo diretto dall’autore. Diresti che questa è la funzione principale della letteratura. Ma è un abbaglio!

Lo scrittore puro presta voce discreta, un’immagine, un temperamento ai protagonisti ed alla storia: ma il tutto rimane, per gran parte, sfocato. Sarà chi legge a dover illuminare tale lato d’ombra. Per Camilleri questo non avviene: ogni suo personaggio, a ben analizzarlo, è già netto fin dal suo primo apparire. Unica concessione data al lettore: intuire un piccolo particolare che, qualche pagina dopo, verrà o confermato, o disatteso. Nella letteratura pura mai vi è qualcosa di così perfettamente definito. Tutto somiglia a visioni, miraggi che appaiono a un assetato nel deserto, pronti a scomparire appena si tenta di afferrarli.

Camilleri, invece, pretende che ogni cosa sia precisa, distinta, ben posizionata. Nulla vi deve essere a creare ostacoli, contribuire a far sorgere dubbi, lasciare briciole di sospetto. Guai se ciò accadesse! Si romperebbe l’incantesimo che il nostro autore ha stipulato col suo pubblico. Quale?

L’idea che il lettore assiste allo spettacolo – il romanzo in lettura – non come semplice spettatore, bensì come aiuto regista. Egli non deve essere ignaro dei meccanismi, dei trucchi, dei metodi posti in essere per tessere la trama particolare dopo particolare. È questo ad avvincere e a creare piacere: il fatto che, nulla essendovi di ambiguo o misterioso, si gode della costruzione stessa della storia fin dalla prima lettura.

Unica astuzia taciuta che Camilleri utilizza è il particolare. Le sue pagine abbondano di dettagli: una goccia di sudore che imperla la fronte d’un personaggio, un raggio di sole riflesso per caso su di uno specchio, uno sguardo sospetto orientato verso un’imprecisa direzione, un ricordo sorto nella memoria quasi per caso, un timore, un’ansia, un sasso che scricchiola sotto la suola di una scarpa. E ancora: lo stato d’animo che attanaglia un personaggio in un particolare momento della sua vita, il rapporto di questi con gli altri immortalato in un certo momento dando quasi per scontato tutto ciò  che vi era prima, le piccinerie umane che albergano nell’animo dei protagonisti principali e secondari della storia, i tradimenti, le fedeltà, le gelosie, i rancori, i risentimenti, in breve: le storie narrate in medias res, delle quali il lettore apprende le minuzie scena per scena, senza che nulla sia direttamente raccontato ma spiegato man mano che la vicenda procede. Pare di assistere alla riunione che regista e attori della compagnia fanno prima di dare il via alle prove, dove tutto viene spiegato e nulla abbandonato al caso. Modo di procedere, questo, eminentemente teatrale.

Camilleri amava definirsi, più che scrittore, un fabbricatore di storie. In un certo senso aveva ragione. La sua migliore virtù era quella di organizzare la trama con maestria, come scrivendo un copione: scena per scena, facendo sì che fossero le azioni, i pensieri, talvolta i silenzi a prendere il posto del narratore. Qualità e limite al contempo. Perché quest’inseguimento di chiarezza ad ogni costo, ha sottratto quella fascinazione dell’ombra, quell’apparente scarto di senso proprio della metafora che l’opera letteraria deve di necessità possedere.

Ogni storia di Camilleri getta luce sulla porzione di realtà che intende rappresentare. Non vi è spazio per coni d’ombra. In tal senso, i suoi libro divertono e sono di estremo godimento. Perché si prova lo stesso piacere che si ha nello squadrare un pittore dar vita alla sua opera tratto dopo tratto, colore dopo colore. Ma a lavoro ultimato, conoscendo ogni trucco ordito per realizzarlo, si preferisce andar via piuttosto che star lì ad osservarlo meditandone a fondo l’eventuale messaggio.

È questo un limite del Camilleri scrittore? Certamente sì.

Ma è anche la sua forza maggiore, grazie alla quale difficilmente verrà dimenticato dal pubblico dei suoi lettori.

pierlu83

Rispondi