Valutazioni della manovra di bilancio per il 2019

– di FRANCO CAVALLARI –

Nello scorso mese di ottobre la valutazione dell’impatto delle manovra di bilancio per il 2019, di cui erano stati anticipati i saldi, ha suscitato una severa critica da parte dell’opposizione, prima ancora che fossero noti i dettagli del provvedimento; contemporaneamente, i deputati del M5S acclamavano il loro leader Di Maio sotto il balcone di Palazzo Chigi per lo sfondamento del disavanzo di bilancio e l’”abolizione della povertà”.

Bastava dare un’occhiata all’anticipazione dei saldi di bilancio della Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza ( Nadef 2019) per comprendere che l’aumento del disavanzo di bilancio al 2,4% del PIL per finanziare esclusivamente spesa corrente, risultava incompatibile con la crescita prevista dell’1,5%, soprattutto in ragione delle ripercussioni negative sull’economia del disavanzo fuori dei parametri concordati, a partire dalla reazione immediata da parte dei mercati che finanziano il nostro debito pubblico.

Qualche giorno dopo, quando il Governo ha diramato il testo completo del progetto di decreto, si è levato un coro unanime di obiezioni sul suo contenuto da parte delle istituzioni, sia di livello nazionale (ISTAT, Corte dei Conti e Banca d’Italia), sia di livello internazionale ( Commissione Europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale).

Nell’iter di approvazione dei decreti del Governo concernenti la formazione e gli aggiustamenti del bilancio dello Stato, la legge 243/2014 istitutiva dell’ UPB (Ufficio Parlamentare di Bilancio), approvata in attuazione della Legge Costituzionale n.1/2012 del 23 Aprile 2012, prevede la “validazione” delle stime macroeconomiche sottostanti la manovra, un parere obbligatorio ma non vincolante al Parlamento da parte di questo organismo istituzionale indipendente.

La “non validazione” della manovra da parte dell’UPB ha aggiunto un altro parere contrario alle unanimi obiezioni critiche sugli effetti economici della Nota di Aggiornamento, definendo esageratamente ottimistiche le stime effettuate dal Governo.
Incurante della critica unanime delle sue stime da parte di tutti gli enti nazionali ed internazionali che si occupano di economia, il Governo ha respinto il parere negativo dell’UPB, denunciando una manovra di accerchiamento da parte dei “poteri forti”; il dito puntato della propaganda sui social, specialmente contro la Commissione europea che, deliberatamente, cercherebbe di mettere in difficoltà l’Italia.

Spiega l’UPB, l’Ufficio indipendente di rilevanza costituzionale diretto da un serio economista come Pisauro, che il principale elemento ostativo alla validazione delle previsioni programmatiche del MEF è dato dalla dinamica delle più rilevanti variabili dell’attività economica e dei prezzi, che appaiono complessivamente poco prudenti. Sulla stessa lunghezza d’onda si esprimono tutte le altre critiche, mentre il Governo insiste nel voler spiegare ai dissenzienti la logica espansiva della manovra che nessuno riuscirebbe a comprendere. In questi ultimi giorni a livello europeo si sono espressi in modo unanime in senso negativo, oltre alla Commissione UE (tacciata di essere un ente non eletto da alcuno), anche il Consiglio dei Ministri dell’UE, vale a dire i governi di tutti i Paesi membri del “club europeo”, compresi quelli che condividono con il Governo italiano una certa impostazione sovranista.

Che dire di una manovra che si pone in contraddizione con tutto l’universo degli istituti che nel mondo si occupano di valutazioni economiche? Che pensare del Governo di un Paese appartenente per sua libera scelta all’Unione Europea e vincolata dalle sue regole sovranazionali di funzionamento (anche queste sottoscritte liberamente), i cui massimi esponenti non tralasciano occasione per ribadire a muso duro che il bilancio italiano lo redigono le istituzioni italiane, disconoscendo le interferenze da parte di enti sovranazionali non eletti dai cittadini, né da altri governi?

Come interpretare il “gioco delle parti” in cui, il Presidente del Consiglio ed il Ministro dell’Economia contraddicono sistematicamente le dichiarazioni dei Vice Presidenti, esprimendo la volontà di continuare a dialogare con la Commissione UE, ma escludendo a priori qualsiasi modifica del bilancio programmatico?

Nelle pause di ragionevolezza che interrompono periodicamente il clima di guerra a tutto il mondo su questo ed altri argomenti, il delirio di onnipotenza del Governo emana comunicati in cui dice di voler “spiegare” alla Commissione, alle Agenzie di rating, al FMI, agli altri governi ed ai mercati la ratio espansiva della manovra; come se dopo le spiegazioni già fornite nessuno di questi enti fosse in grado di comprendere il raffinato disegno economico che una nuova “genia” di economisti ha elaborato per salvare il Paese. Con questi presupposti, l’arroganza dei governanti conduce il nostro Paese ad uno sterile isolamento internazionale, una situazione in cui le prime inevitabili “defaillances” dei risultati immaginati dal NADEF, non trovando ristoro concreto nelle non disinteressate pacche sulle spalle di Trump e di Putin, rischiano di avvitarsi in un disastro economico privo di paracadute.

Le critiche alla manovra sopra citate si appuntano non tanto sullo sforamento del disavanzo di bilancio di alcuni decimali di punto di PIL, quanto sulla natura della spesa che con queste risorse si intende finanziare: l’aumento del disavanzo rispetto al 1,6% del PIL stabilito inizialmente dallo stesso Ministro dell’Economia, per più di 9/10 è orientato a coprire uscite correnti correlate alle incaute promesse fatte agli elettori per ottenerne il consenso. Senza entrare in noiosi dettagli tecnici, basterà ricordare che indipendentemente dalla validità del merito a dir poco dubbio, degli argomenti addotti dal Governo italiano, emergono alcuni punti critici di grande rilevanza:

Il primo punto critico si riferisce alla strategia della nostra presenza nella UE, che ci pone border line rispetto alla prassi diplomatica, cercando di far passare a muso duro una linea di politica economica considerata fallacemente più favorevole alla condizione dell’Italia, attraverso uno scontro frontale con tutti gli altri Paesi, by passando” l’esigenza di poter contare su qualche alleato. Questa impostazione non può essere certo definita in favore degli italiani, almeno perché completamente inidonea a perseguire alcune linee di politica solidaristica della UE che sono essenziali all’Italia e che rappresentano la ragion d’essere dell’Unione stessa.

Un secondo punto concerne la forte tendenza naturale all’avveramento che hanno le aspettative generali, a prescindere da che parte in questa disputa stia effettivamente la ragione. In economia, le aspettative del mercato, specie se molto diffuse, hanno un’importanza determinante e sviluppano una consistente spinta all’autoavveramento, indipendentemente dalla loro fondatezza.

Nel nostro caso, anche se per pura ipotesi ci fosse una qualche fondatezza nell’ipotesi del Governo, il semplice fatto che si ponga contro il parere di tutto il mondo economico italiano e internazionale, nonché di tutti gli enti che si occupano di economia (e qui non ha senso sostenere la tesi della congiura) crea aspettative per cui i saldi di bilancio ipotizzati dal Governo diverrebbero automaticamente irrealistici.

Un Ministro dell’economia accorto come Tria sa benissimo tutto ciò; e se dichiara la propria disponibilità al dialogo, premettendo che la manovra non si tocca e pretendendo di spiegarla ulteriormente al mondo intero incapace di comprendere le spiegazioni precedenti, sa benissimo che perde di credibilità internazionale e rinforza le barriere dell’isolamento politico dell’Italia. Se anche per pura ipotesi la mossa del Governo fosse stata concepita da un genio dell’economia e fosse il resto del mondo a non capirne la validità, le aspettative del mercato renderebbero egualmente irrealizzabile il suo contenuto.

Un altro punto critico riguarda il momento in cui l’asserita politica espansiva che conterrebbe il DEF viene praticata. Il Ministro del l’economia dichiara che il rallentamento della domanda mondiale impone al nostro Paese di contrastare questo andamento con una politica espansiva. Questa “pseudo teoria” economica, definita della spinta autopropulsiva è stata sperimentata nel nostro Paese diverse volte, a partire dagli anni ‘70 per finire con l’apologia che ne fece a suo tempo il Ministro dell’economia che risponde al nome di Tremonti, con risultati che hanno incontrovertibilmente accentuato il dissesto della nostra economia.

Questa impostazione ha una sua validità se applicata ad economie di grandi dimensioni e dall’apparato industriale poderoso, come gli USA, che hanno il privilegio esorbitante del dollaro , o come la Cina attuale, che dispone di enormi surplus della bilancia dei pagamenti. Ma per un Paese economicamente piccolo, come l’Italia, indebitato peraltro oltre misura, questa affermazione è fallace in radice, come più volte dimostrato dall’esperienza storica.

Anche altri Paesi hanno tentato di rilanciare il loro sviluppo attraverso il finanziamento in disavanzo della spesa corrente, come ad esempio l’Argentina, con risultati disastrosi che si stanno ripercuotendo sul suo assetto sociale lungo le generazioni. Porsi “controcorrente” rispetto alla domanda mondiale, per un Paese esportatore come l’Italia, (che, in assenza di svalutazioni monetarie, può nutrire la sua crescita solo con la ripresa della domanda mondiale) rappresenta il prodromo di un grave squilibrio economico; un disallineamento strutturale che, dato il nostro legame con l’euro, invece di ripercuotersi sull’inflazione, eserciterebbe la sua spinta sui tassi interesse, come il semplice annuncio sta già esercitando sullo spread.

La riflessione relativa a questi brevi cenni sugli effetti della manovra lascia emergere alcune considerazioni non poco preoccupanti circa le motivazioni che spingono l’Esecutivo a comportamenti cosi arroganti ed inusuali nei rapporti internazionali tra Stati .

La prima considerazione induce a ritenere che si tratta di irresponsabili che per loro motivazioni elettorali puntano tutta la posta in un gioco d’azzardo rischiosissimo, convinti che non dovranno rispondere del loro eventuale fallimento. In effetti, l’inconsistenza delle ragioni di una simile politica economica, votata ad un sicuro disastro, fanno ritenere che siamo in presenza di dilettanti allo sbaraglio, che inoculando nel corpo sociale attraverso la propaganda sui social network le loro allucinanti tesi, pensano che il consenso ottenuto permetta loro di condurre questo gioco all’infinito, senza dover rispondere delle disastrose conseguenze che questo gioco comporta.

Ma la tesi più preoccupante è quella secondo cui tutto ciò corrisponde ad un piano preordinato per creare le condizioni in cui l’Italia sarà costretta ad uscire dalla UE. In realtà, l’improbabilità evidente di vincere una battaglia “l’Italia contro tutti” lascia ritenere che, almeno in alcuni esponenti del Governo, alberghi questa volontà da irresponsabili, quella di non dichiarare esplicitamente l’uscita dall’eurozona, ma di creare le condizioni per essere sbattuti fuori dal club monetario europeo, addebitando la causa all’Europa stessa.

Condizioni che ci costringerebbero a uscire dall’euro, dichiarando un default del debito pubblico mascherato da una svalutazione della nuova moneta, ancorando i destini dell’economia italiana, segnata dal default alla stregua dell’Argentina, alla fragile barchetta dei transitori benefici che la manovrabilità al ribasso della moneta consente.

Questa sarebbe per l’Italia la peggiore sciagura che si possa augurare al Paese, che ci riporterebbe indietro nel tempo, all’epoca della prima repubblica, quando la nostra economia per sopravvivere era costretta a svalutare periodicamente la lira, sovraccaricandosi di un tasso di inflazione superiore al 20% e tassi di interesse vicini al 30%. Stavolta, però, non potremmo più contare, come in passato, sull’ancora di salvezza dell’euro.

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