Quei “bronzi” ai domiciliari

 

– DI FRANCO LOTITO- 

 

Indubbiamente fa un certo effetto vedere che nella terra dove la “Ndrangheta” coltiva il suo potere criminale, la mano della giustizia si abbatta con tutta la severità di cui dispone, sul Comune di Riace. Si, quello dei famosissimi e splendidi “Bronzi”, che però possono essere ammirati soltanto visitando il museo di Reggio Calabria. Perché Riace è un piccolo paesino di poco più di duemila anime a pochi passi dallo Jonio e lì non c’era posto per accogliere quelle opere meravigliose.

Ebbene lì, in quel paesino di mezza costa la giustizia ha colpito duro. Un’azione di forza contro qualche clan ndranghetista? No. Questa volta le manette, nella forma degli arresti domiciliari, sono scattate ai polsi del “Primo cittadino”, Mimmo Lucano, reo di un delitto, a quanto pare, tra i più gravi che il Codice Penale possa contemplare: quello di aver dimostrato “una spigliatezza disarmante” nell’atto di essersi adoperato “in prima persona ai fini dell’organizzazione di matrimoni di comodo”.

“Spigliatezza disarmante”, proprio così è scritto nell’ordinanza del PM che ha ordinato l’arresto!

Spavaldo – sicuramente – quando espone il petto dichiarandosi “fuorilegge”, perché le leggi sull’immigrazione sono “balorde”, ma sembra davvero difficile dubitare della buona fede di Mimmo Lucano che – per esplicito riconoscimento dello stesso PM che lo ha incriminato – non si è messo in tasca nemmeno un centesimo. Allora come si spiega tanto rigore?

Le imputazioni scritte su quell’ordinanza – favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti – calzano scarpe chiodate ed indossano panni pesanti. Decisamente troppo pesanti, soprattutto se si considera la decisione del GIP di respingere parti rilevanti dell’impianto accusatorio allestito da Luigi D’Alessio.

Le leggi vanno sempre rispettate, sia chiaro. Anche quelle che mostrano limiti strutturali enormi come quelli che si riscontrano nel ginepraio normativo che dalla Bossi-Fini in avanti si propongono di regolare i nodi drammatici dell’immigrazione. Ma quando è la legge stessa a riprodurre gli effetti negativi che dovrebbe combattere il discorso cambia un po’. Di fronte a chi è tenuto a rispettarla si spalanca un conflitto di coscienza e la disobbedienza civile diventa un rischio accettabile.  Per di più, quando l’amministrazione della legge si espone al sospetto del pregiudizio tendenzioso e per questo diventa occhiuta e burocratica, è lo stesso  principio di “giustizia” che rischia di andare a fari benedire.

Riace è un agglomerato minuscolo, un pezzettino di Calabria che come tanti altri centri di analoghe dimensioni, che da diversi anni aveva imboccato la china del degrado, dello spopolamento e dell’abbandono. Il grave torto di Mimmo Lucano è stato quello di aver visto nell’immigrato non una minaccia sociale, ma una risorsa importante da mettere a frutto per il bene collettivo. Lo ha fatto dando vita ad un esperimento di accoglienza, e di integrazione attraverso il dialogo interculturale ed il lavoro. Certo il contrario dell’approccio assistenziale ed emergenziale che caratterizza le politiche in atto verso l’immigrazione e dello “zeit geist”, lo spirito del tempo, che intride l’immaginario collettivo di sentimenti xenofobi e razzisti.

Sicuramente Mimmo Lucano ha fatto qualche forzatura sulle maglie della legge quando ha officiato il matrimonio civile tra un italiano ed una immigrata minacciata di espulsione; o quando ha impiegato gli immigrati per allestire un servizio integrativo di pulizia urbana. Infrazioni di cui certo le legge doveva occuparsi, ma non con le manette. Il Primo cittadino di Riace ha usato accoglienza ed integrazione per il bene comune del suo paese, e quelle manette, se non sono un omaggio allo “spirito del tempo”, poco ci manca.

L’esperimento del paesino calabrese ha avuto vasta eco, persino internazionale, perché ha dimostrato che l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati non è mero  “buonismo”, parrocchiale (fermo restando che se il mondo dovesse dividersi in “buonisti” e “cattivisti”, è giusto e sacrosanto stare con i primi), ma può essere anche una risposta utile e positiva ai nostri problemi.

Ed allora, due note conclusive. La prima è che se la legge entra in conflitto con il principio di giustizia e di “bene comune”, va cambiata per non costringere più i tanti Mimmo Lucano al dilemma della disobbedienza civile.

La seconda è che occorre guardare al modello di integrazione degli immigrati attraverso il lavoro realizzato a Riace come ad un esperimento riproducibile. Ad esempio, c’è chi vedrebbe bene (un) Mimmo Lucano al posto di una Virginia Raggi sempre più vistosamente inadeguata a risolvere i guai della Capitale. Anche Roma  ha da una parte periferie sempre più sporche ed in stato di semi-abbandono e dall’altra una grande quantità di immigrati che vivono la condizione di una emarginazione dolorosa alimentata dall’astio di chi li considera un inaccettabile costo parassitario. Magari avrebbe idee e capacità amministrative per allestire un piano straordinario di pulizia ed igiene urbana, allo stato,  quasi completamente disattesa dall’Azienda municipale, da una parte offrendo agli immigrati extra-comunitari un’opportunità di impiego in attività socialmente utili, e dall’altra restituendo alla “Città eterna” un modo per tornare ad esse pulita non soltanto a Piazza di Spagna, ma anche a Tor Bella Monaca.

Tre anni fa la Fondazione Pietro Nenni assegnò il premio intitolato al grande leader socialista a Mimmo Lucano con una motivazione che metteva in risalto proprio le qualità di quel modello di amministrazione che aveva saputo fare dell’accoglienza e dell’integrazione gli strumenti per la realizzazione del bene comune. Fu una scelta giusta che una Fondazione ispirata dai valori del socialismo, dell’uguaglianza e della giustizia sociale tornerebbe a compiere senza esitazione.

francolotito

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