Tarantelli, il testamento di un riformista

 

Se le Brigate Rosse non lo avessero ucciso a pochi passi dalla facoltà in cui insegnava (Economia alla Sapienza di Roma), oggi, 11 agosto, Ezio Tarantelli avrebbe compiuto settantacinque anni. Da quel terribile attentato sono trascorsi trentuno anni (era il 27 marzo 1985). Le Br gli fecero “pagare” il rapporto con i sindacati (amico di Pierre Carniti, all’epoca segretario generale della Cisl, ma anche di Giorgio Benvenuto, sempre in quegli anni al vertice della Uil) e l’impegno sul fronte della lotta all’inflazione che lui concretizzò con la famosa proposta della predeterminazione degli scatti di scala mobile, proposta che fece da punto di riferimento al decreto di San Valentino, il provvedimento varato da Bettino Craxi la sera del 14 febbraio del 1984 con il consenso della Cisl, della Uil e dei socialisti della Cgil. E con il dissenso dei comunisti (non molto convinto da parte di Luciano Lama) che raccolsero le firme per convocare un referendum abrogativo che si svolse qualche mese dopo l’agguato a Tarantelli. Allievo di Franco Modigliani e Federico Caffè, il professore in quei giorni era impegnato in una battaglia che aveva due obiettivi alternativi: evitare lo svolgimento della consultazione (la Corte Costituzionale doveva ancora decidere sulla legittimità) o, in caso di svolgimento, far prevalere le ragioni del no. Con Gino Giugni e Federico Mancini aveva messo a punto un documento dal titolo significativo: “No al referendum, no nel referendum”. La bozza di quel volantino fu trovata nella borsa accanto al corpo senza vita di Tarantelli. In quella terribile giornata di marzo, il professore rilasciò la sua ultima intervista. A “Lavoro Italiano”, rivista della Uil all’epoca diretta da Aldo Forbice. Un documento che parla del passato ma che in qualche maniera spiega, seppur in controluce i nostri affanni, anche politici, di oggi.

“Per il nostro Paese – dice Tarantelli – le prospettive sono tutt’altro che incoraggianti: abbiamo chiuso l’84 con un disavanzo nei conti con l’estero , lo stato delle riserve estere è tutt’altro che brillante, né possiamo accumulare altri disavanzi. Questa è la prospettiva dei prossimi due o tre ani. Inoltre la politica dei redditi, che aveva dato risultati positivi nell’84 subisce ora, purtroppo, una caduta e il referendum non contribuisce certo a migliorare la situazione. In queste condizioni è difficile pensare che la Banca d’Italia possa allentare le corde del credito: i tassi di interesse reali non si potranno ridurre  mentre anche l’inflazione ha arrestato la sua discesa ma neppure i tassi nominali potranno scendere. Tutto ciò non ci permette di prevedere uno sviluppo superiore al 2 per cento: non ci sono quindi le condizioni per assorbire disoccupati, senza contare i nuovi arrivi sul mercato del lavoro, altri 550 mila unità, composte di giovani e donne che contribuiranno ad aggravare il tasso di disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno.

Se poi si allarga lo sguardo all’Europa le responsabilità sono da attribuire alla Repubblica federale tedesca e alla sua politica deflazionistica: è questa politica che ha impedito l’aggancio dell’Europa alla ripresa degli Stati Uniti e del Giappone. I paesi scandinavi e l’Italia hanno cercato di contrastare questa tendenza ma con risultati che, almeno per noi, non sono brillanti. In campo europeo la ripresa dell’occupazione deve passare, a mio avviso, per alcune vie maestre: il lancio dello Scudo come moneta europea, anzitutto, come moneta di riserva che consenta ad ogni paese che voglia deflazionare la domanda interna di farlo con minore assillo sull’estero. L’ambito più opportuno per fare questo è quello della sinistra – e questa è l’altra strada da percorrere – una sinistra che non serva da escamotage per l’euro-comunismo ma rappresenti il mezzo per legittimare e rafforzare la ripresa dell’occupazione, della domanda, dello sviluppo. L’esempio dell’esperienza americana conferma queste considerazioni: lo sviluppo Usa non è stato raggiunto, come alcuni ingenuamente ancora credono, con bassi salari, è stato finanziato col disavanzo, con una moneta egemone, il dollaro; proprio questa moneta manca ad un’Europa divisa non solo sul piano del coordinamento economico, ma anche all’interno delle stesse sinistre e dei sindacati. Noi dobbiamo contrastare il progetto della Germania di indebolire l sinistra e lo stesso sindacato attraverso una manovra di stampo monetarista e di aumento della disoccupazione: non si dimentichi, infatti, che la Germania tre anni fa aveva un milione di disoccupati ma oggi ne ha più di tre milioni”.

“Per uscire da una situazione del genere – conclude Tarantelli- occorre un diverso rapporto delle sinistre: dei comunisti e dei socialisti in Italia, dei socialisti e dei comunisti in Francia e poi tra loro e con la Spd e la Dgb in Germania e coi laburisti inglesi. In conclusione: per fare ciò non solo la sinistra deve essere meno divisa al proprio interno ma deve essere anche più credibile all’interno dei singoli paesi: per quanto riguarda il caso inglese è chiaro che la sinistra deve essere capace di esprimere una politica dei redditi in grado di far entrare l’Inghilterra nello Sme. Per Italia e Francia invece le sinistre devono chiarirsi le idee in tema di politica dei redditi che  è appunto attraverso questo tipo di politica che sarà possibile ridurre il differenziale di inflazione e le oscillazioni all’interno dello Sme”.

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