Norberto Bobbio e le maschere del potere

Ci piace riproporre un vecchio articolo di Norberto Bobbio sulle trasformazioni della democrazia e, soprattutto, sull’affermazione di forme occulte che, come diceva il filosofo, “pervertono” la democrazia.

-di NORBERTO BOBBIO*.

La conclusione dell’articolo precedente in cui parlavo di un “doppio Stato” a proposito dello Stato neo-corporativo, era manifestamente forzata. Nella realtà, e senza forzature, un doppio Stato esiste davvero in Italia, ma non è quello neo-corporativo: è lo Stato che deriva dalla sopravvivenza e dalla robusta consistenza di un potere invisibile accanto a quello visibile. Alcuni anni or sono uno studioso americano in un libro (tradotto anche in italiano, I confini della legittimazione (De Donato), per sottolineare l’estensione del potere occulto negli Stati Uniti negli anni di Nixon, ha usato l’espressione «the dual State» che corrisponde esattamente al nostro doppio Stato.

Dei due presunti Stati di una società neo-corporativa, dicevo che erano entrambi compatibili coi principi fondamentali della democrazia. La stessa cosa non vale quando dei due Stati l’uno è lo Stato visibile, l’altro quello invisibile. Lo Stato invisibile è l’antitesi radicale della democrazia. Si può definire la democrazia (ed è stata di fatto definita) nei modi più diversi. Ma non vi è definizione in cui possa mancare l’elemento caratterizzante della visibilità o della trasparenza del potere. Governo democratico è quello che svolge la propria attività in pubblico, sotto gli occhi di tutti, e deve svolgere la propria attività sotto gli occhi di tutti perché ogni cittadino ha il diritto di essere posto in grado di formarsi una libera opinione sulle decisioni che vengono prese in suo nome. Altrimenti, per quale ragione dovrebbe essere chiamato a recarsi periodicamente alle urne, e su quali basi potrebbe esprimere il proprio voto di approvazione e di condanna?

Che il potere tenda a mettersi la maschera per non farsi riconoscere e per poter svolgere la propria azione lontano da sguardi indiscreti, è una vecchia storia. Questa vecchia storia ha anche un celebre nome che al solo pronunciarlo mette i brividi nella schiena: arcana imperii. Nella sua analisi magistrale del potere Elias Canetti ha scritto: “nel segreto sta il nucleo più interno del potere” (Massa e potere, Adelphi). I padri fondatori della democrazia pretesero di dar vita a una forma di governo che non avesse più maschera, in cui gli arcani del dominio fossero definitivamente aboliti e questo “nucleo interno” distrutto.

Molte sono le promesse non mantenute della democrazia reale rispetto alla democrazia ideale. La graduale sostituzione della rappresentanza degl’interessi alla rappresentanza politica di cui mi sono occupato nell’articolo precedente è una di queste. Ma rientra, insieme con altre, nel capitolo generale delle cosiddette “trasformazioni” della democrazia. Il potere occulto, no. Non trasforma la democrazia, la perverte. Non la colpisce più o meno gravemente in uno dei suoi organi vitali, la uccide. Di tutte le promesse non mantenute, è quella che maggiormente ne offende lo spirito, ne devia il corso naturale, ne vanifica lo scopo.

Grazie ai risultati ormai noti della Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’on Tina Anselmi, ai numerosi documenti resi pubblici, alle dichiarazioni di parlamentari e di personaggi variamente autorevoli, in seguito alle inchieste giornalistiche, sappiamo ormai sulla loggia segreta di Licio Gelli molto più di quello che si venne a sapere in seguito alle perquisizioni nella villa di Arezzo e nell’ufficio di Castiglion Fibocchi del marzo 1981. Ma prima di allora io stesso avevo cominciato a parlare, se pure con una espressione che era apparsa eccessiva, di cripto governo (in un articolo su questo giornale del 23 novembre 1980). Ho ora sott’occhio la voluminosa e documentata relazione di minoranza dell’on. Massimo Teodori del partito radicale sulla medesima inchiesta. La tesi principale ivi sostenuta, secondo cui la Loggia sarebbe stata parte integrante del sistema dei partiti e pertanto debba essere considerata come un effetto diretto della degenerazione partitocratica della democrazia italiana, dalla quale sarebbe derivata una vera e propria dislocazione del potere fuori dalle sedi costituzionalmente riconosciute, si può anche discutere e non accettare integralmente. Ma è da ritenere fuori discussione che la Loggia P2, come rileva giustamente Teodori, abbia esercitato in alcuni momenti della nostra vita nazionale una influenza ben più ampia, profonda, determinante, che una semplice lobby, e abbia costituito, per l’appartenenza degli affiliati alle più alte gerarchie dello Stato e ai più elevati strati della società, alti funzionari, diplomatici, generali, giornalisti, e quel che è ancora più scandaloso uomini politici di quella che si chiama – oh ironia dei nomi! – l’area democratica del nostro sistema politico, una compiuta organizzazione di potere occulto presso, dietro, sotto (o sopra?) lo Stato.

Indipendentemente dalle conseguenze direttamente politiche, che forse non sono da sopravvalutare, la formazione di una simile rete di potere sotterraneo è di per se stessa una vergogna nazionale dalla quale dobbiamo redimerci per potere diventare di nuovo democraticamente credibili. Senza pregiudizi, s’intende, verso le persone, giacché non tutte sono egualmente responsabili, pur senza indulgenze.

Non possiamo però fingere di non accorgerci che sin d’ora ciò che è emerso dalla documentazione è una prova mortificante della mediocrità intellettuale e morale di una parte non piccola della nostra classe dirigente. Le rivelazioni sulla vita di Gelli sono tali da farci restare allibiti (e inorriditi) alla scoperta che la maggior parte di coloro che sono entrati volontariamente nella sua cerchia per sottomettersi alla protezione di un uomo che non aveva altro scopo che quello di estendere il proprio potere con qualsiasi mezzo, rendendo in cambio della protezione servigi presuntivamente illeciti per la loro stessa segretezza, siano personaggi quasi tutti di altissimo rango e nessuno di essi abbia avuto in anni di commerci sospetti con il fondatore della loggia un moto di ribellione, ed abbia compiuto un atto di resipiscenza.
Sono considerato uno che vede sempre nero, un pessimista cronico. Eppure confesso che non avrei mai immaginato che la vita italiana fosse stata inquinata sino a questo punto in cui non sai se più indignarti della bassa qualità dell’intrigo o del grande numero delle persone che vi hanno preso parte, per la spudoratezza di chi ha guidato il gioco o per l’insensibilità di coloro che l’hanno accettato, e dei quali molti vengono chiamati nella retorica di rito delle cerimonie ufficiali “servitori dello Stato”. La realtà ha superato questa volta la più catastrofica delle immaginazioni.

Lo Stato democratico deve essere ripristinato nella sua integrità. Il potere occulto deve essere snidato ovunque si annidi, inflessibilmente. Non ci possono essere due Stati. Lo Stato italiano è uno solo, quello della Costituzione repubblicana. Al di fuori non c’è che l’antistato che deve essere abbattuto cominciando dal tetto ed arrivando, se mai sarà possibile, alle fondamenta.


* Articolo apparso su “La Stampa” del 21 agosto 1984 (21.08.1984)

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