Crisi del sistema politico e ruolo del presidente della repubblica

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

Con la dichiarazione “il presidente della Repubblica non è un notaio”, durante la trattativa per la formazione del governo tra Lega e 5 Stelle, Sergio Mattarella è sembrato riproporre quella sorta di “presidenzializzazione” della figura del Capo dello Stato nel quadro del nostro sistema istituzionale di tipo parlamentare, che era stata attribuita al suo predecessore, Giorgio Napolitano.

In verità da oltre venti anni, dall’inizio della cosiddetta seconda Repubblica, si è sancito un ruolo diverso del Capo dello Stato, per l’esigenza di ampliarne il ruolo di mediazione politica. Del resto nel nostro ordinamento costituzionale i poteri della presidenza della Repubblica sfuggono a una precisa configurazione. Nella realtà si dilatano allorquando l’impopolarità dei partiti e l’instabilità del sistema politico assume caratteristiche parossistiche, come ai giorni nostri. Da tempo infatti – con Scalfaro e Ciampi, prima che Napolitano e Mattarella giungessero al Colle – è cresciuta la funzione di “supplenza attiva” esercitata dal presidente della Repubblica.

Ma anche nella Prima Repubblica i presidenti hanno sovente assunto un forte ruolo di protagonismo politico: Einaudi, evocato proprio da Mattarella in occasione nel 70esimo anniversario del suo discorso di insediamento al Quirinale, come garante di politiche di stabilizzazione economica e di deflazione nel quadro della ricostruzione del paese dopo la fine della II guerra mondiale; Gronchi, che durante il centrismo sostenne l’apertura ai socialisti voluta da Fanfani e la “politica estera” di dialogo con l’Unione Sovietica e i paesi arabi del presidente dell’Eni Enrico Mattei (e dopo, di converso Segni, impegnato -secondo molti anche con ipotesi di svolta autoritaria – per assetti conservatori); Saragat, che dal Quirinale favorì il centrosinistra e l’unificazione socialista; Pertini, succeduto a Leone (forse l’unico presidente davvero “notaio” assieme a Enrico De Nicola), che negli anni bui del terrorismo e della sfiducia dei cittadini per le istituzioni costituì il punto di riferimento di uno straordinario consenso popolare, utilizzando il cosiddetto “potere di esternazione”. Per tacere di Cossiga, le cui “picconate” all’agonizzante sistema politico nato dal Comitato di Liberazione Nazionale, gli valsero una richiesta di impeachment da parte del partito comunista.

Per anni molti politici, commentatori e studiosi, in gran parte di sinistra, hanno indicato in ogni ipotesi di Repubblica presidenziale o semipresidenziale l’anticamera del gollismo, o addirittura di un regime autoritario. Del resto gran parte della cultura politica dell’Italia repubblicana, dalla Costituente in poi, è stata ispirata a una vera e propria paura di ogni leadership forte.

Certo, inizialmente per il ricordo della dittatura mussoliniana: e poi in polemica contro esponenti politici ritenuti “eretici” dalla cultura consociativa cattocomunista (dal repubblicano Randolfo Pacciardi al leader socialista Bettino Craxi). In concreto si temeva la riduzione del potere dei partiti, la cui influenza viene a essere necessariamente ridotta dalla centralità assunta da un presidente della Repubblica che sia anche a capo dell’esecutivo o, comunque, eletto direttamente dal popolo.

Anche a Mattarella, quindi, tocca cimentarsi con la volontà (o l’esigenza) della presidenzializzazione.

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