Dio ti vede, Stalin no: quelle elezioni che confermarono l’adesione dell’Italia al blocco occidentale.

-di GIULIA CLARIZIA-

Non sono in pochi gli storici che vedono le elezioni italiane del 18 aprile 1948 come una tappa fondamentale non solo per la storia nazionale, ma anche per quella della guerra fredda.

Le amministrative del 1948 non rappresentarono una svolta nel senso stretto del termine, quanto piuttosto furono la conferma di un percorso che era si era già iniziato ad intraprendere nei mesi precedenti, e che ha continuato a segnare la vita politica del nostro paese fino al crollo del muro di Berlino.

Tra il 1946 e il 1948, anno dell’entrata in vigore della Costituzione, l’Italia si trovò nella condizione di dover risorgere dalle ceneri della guerra. Si scelse di farlo in nome dell’Unità Nazionale, attraverso un governo guidato da De Gasperi che comprendeva tutti i partiti dell’arco costituzionale, fatta eccezione per quelli di estrema destra. La priorità era quella di far fronte al problema della ricostruzione limitando il più possibile il conflitto sociale. Gli italiani desideravano il ritorno alla normalità, ma per vivere normalmente erano necessari dei soldi che in quel momento in Italia non c’erano.

Questa necessità comportava dunque delle scelte. Scelte in cui la politica interna si intrecciava fortemente con motivazioni ideologiche e questioni internazionali.

Oggi, usciti da una campagna elettorale animata dai populismi e in cui la politica estera è stata pressappochista se non del tutto assente, è difficile proiettarsi in un clima di forti ideali, a volte anche ciechi, e ad una sentita necessità di collocarsi sullo scacchiere internazionale.

Venuto meno il nemico comune del nazismo, tra il modello capitalista statunitense e quello comunista sovietico sorgevano nuove fratture. A poco a poco, il clima di cooperazione nel nome del sogno rooseveltiano lasciò spazio alla divisione in blocchi della guerra fredda.

Dove doveva collocarsi l’Italia? Pietro Nenni, a cui venne assegnato il ruolo di ministro degli esteri nell’ottobre del 1946, era portavoce di una linea di neutralità ed equidistanza rispetto alle due superpotenze. Questa visione, in un primo momento condivisa da De Gasperi, venne superata dalle contingenze delle opportunità che offriva una vicinanza agli Stati Uniti, che sembravano essere i soli in grado di fornire all’Europa e all’Italia le risorse economiche necessarie per la ricostruzione.

Intanto a Washington l’ambasciatore italiano Alberto Tarchiani, lavorava quotidianamente per costruire uno stretto legame tra Italia e Stati Uniti. Si deve proprio a lui l’organizzazione di quel viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti del gennaio del ’47, in cui molti leggono il punto di svolta che portò definitivamente il governo italiano a scegliere da che parte stare.  Di fatto, de Gasperi sfruttò abilmente la forza del PCI per mettere in stato di allerta il governo statunitense, e a renderlo dunque disponibile a continuare ad elargire aiuti nell’idea che il ritorno alla prosperità avrebbe frenato l’onda rossa. A sua volta, l’amministrazione Truman lasciò intendere che sarebbe stato più facile far arrivare soldi in un Italia che avesse preso chiare posizioni anticomuniste. Di qui, l’esclusione dei comunisti (e dei socialisti) dal governo italiano e il lancio del Piano Marshall. Nenni venne sostituito da Carlo Sforza, che era stato collega e amico di Tarchiani durante gli anni dell’esilio antifascista e che condivideva la sua visione filo-statunitense.

Non a caso, proprio il Piano Marshall fu uno dei temi più dibattuti in campagna elettorale. Campagna  in cui gli stessi Stati Uniti furono particolarmente attivi, sia a livello di sostegno economico alla Democrazia Cristiana, ormai definitivamente partito interlocutore con l’altra sponda dell’Atlantico, sia attraverso azioni di propaganda informale portata avanti dalla comunità italoamericana, che inviò migliaia di cartoline ai parenti in patria, persuadendoli a votare DC.

In altre parole, le elezioni del 1948 furono il banco di prova di queste politiche. L’opinione pubblica avrebbe accettato l’adesione al piano Marshall, e quindi, al blocco occidentale? La storia rispose di sì.

 

giuliaclarizia

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