Libertà per Lula

-di FRANCO LOTITO-

Da due settimane ormai Luis, Ignacio, “Lula” da Silva è rinchiuso nel carcere di Curitiba sotto l’accusa di corruzione e riciclaggio. Per Sergio Moro, il giudice brasiliano che lo ha condannato sulla base di un impianto accusatorio che molti osservatori considerano tutt’altro che ineccepibile, Lula deva ora scontare 12 anni di detenzione.

Il suo arresto ha suscitato una vasta eco internazionale sollevando prese di posizione e commenti politici. In patria si è rivelato un evento spettacolare che ha infiammato le piazze e gli animi dei brasiliani. Da una parte quelli dei suoi sostenitori che parlano apertamente di persecuzione giudiziaria (a carico di Lula sono stati avviati 6 procedimenti giudiziari in 2 anni) e sono pronti a fare le barricate per difendere la libertà e l’onore del loro leader. Dall’altra quelli – altrettanto bellicosi – dei suoi avversari che hanno inscenato manifestazioni di gioia alla notizia del suo arresto. E non si può certo dire che non ne abbiano motivo, dal momento che – alla luce di questa condanna – Lula non potrà candidarsi alle prossime elezioni presidenziali, per le quali tutti i sondaggi lo davano nettamente favorito.

Il calvario del leader del PT iniziò nel 2016 quando il giudice di Curitiba lo infilò nel tritacarne di un’inchiesta giudiziaria sulle attività di corruzione che coinvolgevano i rapporti tra la Petrobras, la più grande impresa  pubblica dell’America latina, ed una serie di imprese interessate ad accaparrarsene gli appalti. Il Brasile è un Paese bellissimo in cui convivono ricchezze clamorose e povertà spaventose, dove purtroppo la corruzione è vissuta come una condizione endemica, e la lotta alla corruzione, non di rado è stata utilizzata come strumento di lotta politica più finalizzata a mutare gli assetti di potere più che a risanare la vita pubblica dalla corruzione.

In un contesto siffatto si può anche dare per buono l’impegno moralizzatore del giudice Moro e persino la sua buona fede nel modo alquanto spregiudicato con cui ha esercitato le sue prerogative ed i suoi poteri inquirenti. Quel che è certo è che il suo operato si è oggettivamente saldato con gli interessi politici delle forze conservatrici che volevano la sconfitta del leader del PT e del suo disegno riformatore.

Quando nel 1984 San Paolo e Rio de Janeiro videro in piazza milioni di brasiliani che chiedevano la fine di una dittatura militare che durava ininterrottamente da vent’anni, Lula era già alla guida del “Partido dos Trabalhadores” che egli aveva contribuito a far nascere 3 anni prima. Quelle manifestazioni costringono i militari ad abbandonare il potere ed a consentire elezioni democratiche. Il Brasile entra finalmente in una nuova fase della sua storia. Il movimento di popolo è forte, ha saputo cacciare i militari, ma ha bisogno di un punto di riferimento, di un leader che dia voce alle istanze di cambiamento.

Lula è stato capo degli operai metalmeccanici, ha pagato con la prigione il suo impegno di lotta; è stato tra i fondatori del PT; conosce a fondo la condizione degli strati più poveri del suo Paese perché ne ha fatto parte per tutto il periodo della sua infanzia e della sua adolescenza. E’ nelle cose che quel popolo lo riconosca come la sua guida.

Nel 2002 Lula viene eletto per la prima volta presidente del Brasile con oltre 52 milioni di voti. Solo Dilma Rousseff, 8 anni dopo riuscirà ad ottenere un suffragio più vasto. Sotto la sua presidenza il Brasile conosce finalmente una stagione di modernizzazione civile e di emancipazione sociale. Il progetto riformatore che viene messo in atto è di vaste dimensioni. Viene predisposto un Sistema per la tutela della salute; vengono investite ingenti risorse economiche per i sussidi alle famiglie povere, sottraendo così milioni di persone alla fame ed all’indigenza; la scuola diventa gratuita, così le sue porte vengono aperte a tutti. Nessuna sorpresa, dunque che 4 anni dopo gli elettori brasiliani gli rinnovino il mandato con un’altra valanga di voti.

Le riforme cominciano ad intaccare le spaventose diseguaglianze che opprimono il Brasile; il benessere materiale dà consistenza ad un ceto medio che apprezza le riforme di “sinistra” e che orienta sempre più il suo consenso verso il riformatore di “sinistra” e verso la democrazia. Insomma le riforme di Lula mutano significativamente gli assetti economici e di potere a vantaggio di chi ne aveva ben poco dell’uno e dell’altro. E questa è una cosa che non fa particolarmente piacere a chi ne ha sempre avuto il controllo pressoché integrale nelle sue mani.

Nel 2010 Dilma Rousseff ha raccolto il testimone di Lula conservando per il PT la guida del Paese . Contro di lei viene scatenata una  campagna di stampa di inaudita violenza che la costringe alle dimissioni in seguito ad un procedimento di enpeachment. L’accusa è di aver falsificato i dati del Bilancio federale. La lotta politica è violenta e si avvale di tutti gli strumenti possibili. Ma per le forze che hanno subìto le riforme il vero nemico da abbattere rimane Luis, Ignacio Lula da Silva ed allora le campagne di stampa che avevano provocato la caduta della Rousseff, si susseguono sempre più martellanti, fino a quando incrociano le cronache che riferiscono dell’azione giudiziaria di Sergio Moro. L’una e l’altra si alimentano a vicenda fino all’epilogo di 15 giorni fa.

Adesso Lula è in carcere e c’e da chiedersi se  sia stata fatta giustizia, o se sia stato compiuto un atto di guerra politica contro Lula e contro il PT in cui la lotta per la moralizzazione della vita pubblica c’entra poco o punto.

 

francolotito

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