Il vero lato dell’economia: neo-protezionismo e commercio internazionale

-di FRANCO CAVALLARI-

Fin dai tempi antichi, gli scambi commerciali sono stati fonte di accrescimento della ricchezza degli Stati, ma solo in epoca moderna, dal 18° secolo in poi, lo studio sistematico dell’economia ha dato un fondamento razionale all’enucleazione dei vantaggi economici, oltreché culturali,  che essi comportano. Nel corso degli anni, è stato elaborato un insieme di analisi relative ai fattori determinanti del commercio internazionale: dalla teoria del “vantaggio comparato” di D. Ricardo, al “costo-opportunità” di G. Haberler,  alla “teoria standard” che introduce nei costi-opportunità  la scheda di domanda e i prezzi relativi, fino al “modello delle dotazioni fattoriali”, di E. Heckscher-Ohlin-Samuelsson” che ha integrato nella teoria precedente la scarsità relativa e le ragioni di scambio dei fattori produttivi interessati.

Le risultanze positive di dette teorie hanno trovato verifica e applicazione fino ai giorni nostri, dapprima, fino agli inizi del secolo XXmo, con lo sviluppo degli accordi bilaterali tra paesi attraverso i quali è stato ampliato notevolmente il volume degli scambi internazionali. Dopo la battuta d’arresto nel periodo tra le due guerre mondiali, nel 2° dopoguerra l’apertura dei mercati riprese vigore, avvalendosi anche di accordi multilaterali, con l’istituzione di zone di libero scambio e di unioni doganali; la più intensa e proficua delle quali è rappresentata dalla Comunità Europea, che, attraverso la liberalizzazione degli scambi al suo interno e la tariffa esterna comune, ha consentito ai paesi partecipanti uno sviluppo del reddito di dimensioni insperate,  con cui l’Italia ha realizzato il  “miracolo economico”.

La fine della guerra fredda del 1989 ha avuto l’effetto di liberalizzare il mercato internazionale, favorendo un accordo commerciale globale che avrebbe dovuto facilitare lo sviluppo del terzo mondo; ma che, nei fatti, ha finito per privilegiare gli interessi della grande finanza e delle multinazionali occidentali.  E una delle critiche fondamentali mosse alle istituzioni economiche internazionali come il Wtc (World trade council) e il Fmi (Fondo monetario internazionale), le quali hanno sostanzialmente servito gli interessi particolari dei grandi capitali e delle multinazionali, a detrimento delle esigenze di molti paesi del terzo mondo.

I complessi meccanismi e le vicende della Globalizzazione economica chiamano in causa il conflitto tra concezioni opposte dell’equilibrio di potere tra Stato e mercato e meriterebbero un’analisi approfondita. Ai fini del presente articolo, ci limiteremo a ricordare che nel primo decennio dopo la caduta del muro di Berlino, il processo di abbattimento generalizzato degli ostacoli doganali e di altra natura allo sviluppo del commercio mondiale fu accolto con grande entusiasmo in tutto il mondo. Sembrava che la globalizzazione potesse assicurare prosperità e progresso, sia al mondo industrializzato, sia ai paesi in via di sviluppo; ma soltanto una decina d’anni dopo, alla vigilia di decisioni riguardanti ulteriori aperture dei mercati, si levarono molte proteste nel terzo mondo contro i suoi effetti perversi.

Con la crisi del 2008, la globalizzazione ha cominciato ad evidenziare crepe anche  nel mondo industrializzato, specie in Europa e nel Nord America. Le profonde e persistenti difficoltà economiche del periodo hanno ampliato enormemente le diseguaglianze di reddito in gran parte nei Paesi occidentali, intaccando il tenore di vita del ceto medio e gli standard di sopravvivenza dei meno abbienti. Le profonde mutazioni nella struttura dei redditi hanno contribuito in modo determinante alla diffusione strisciante del sovranismo nazionalista, provocando in vasti strati sociali l’insorgere di una particolare inclinazione alla protezione economica attraverso l’istituzione di barriere doganali e di ostacoli non tariffari agli scambi commerciali. In ogni caso, è innegabile che, oltre ad aver procurato indubbi benefici allo sviluppo dei paesi industrializzati e grandi difficoltà economiche a molti paesi in via di sviluppo, la globalizzazione ha anche consentito, negli ultimi 25 anni, il superamento della povertà a circa due miliardi di persone.

Il breve “excursus storico-dottrinale” delle vicende e degli studi in materia delineato nelle righe precedenti ha lo scopo di dare un’idea, anche sommaria, del grande contributo che gli scambi internazionali hanno dato al progresso economico del mondo.

Venendo al tempo presente, la vittoria di D. Trump alla Presidenza degli USA e la sua riproposizione di dazi orientati alla protezione dell’economia americana rappresentano il segno tangibile delle tendenze descritte; allo stesso riguardo, hanno particolare significato gli orientamenti spiccatamente nazionalisti emersi in alcuni Stati ex comunisti dell’Europa dell’est, che, pur appartenendo all’Unione Europea, hanno tradotto nelle loro lingue e fatto proprio lo slogan di Trump “America first”. In forme analoghe, si esprimono in altri paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, le proposte di alcune formazioni politiche della destra sovranista che propugnano lo sviluppo delle economie nazionali all’ombra del cieco protezionismo, magari ripristinando le monete nazionali per la gestione autonoma delle politiche monetarie e valutarie.

Il loro obiettivo dichiarato consiste nel dissolvimento dell’euro e nella trasformazione dell’Unione in una semplice zona di libero scambio, Alcuni economisti hanno valutato che se gli orientamenti politici descritti dovessero realizzare anche solo una parte dei loro programmi e la guerra doganale iniziata da Trump dovesse giungere ad una escalation incontrollabile, l’arretramento dell’economia mondiale giungerebbe a livelli che farebbero impallidire la recessione della crisi epocale del 2008.

Con l’affermazione dei partiti nazionalisti ed euroscettici nelle recenti elezioni politiche, l’Italia è in prima linea su questo fronte, ove sono apertamente propagandate proposte che si propongono (la Lega), o comunque non escludono (il M5S), la cancellazione di tutto quello che la storia, la dottrina e l’esperienza degli ultimi due secoli ci hanno insegnato: la strada maestra per conseguire la prosperità dei popoli passa per l’ampliamento degli scambi commerciali improntati all’interesse comune delle parti. Le vicende degli ultimi decenni indicano anche che è necessaria una riforma delle istituzioni internazionali preposte alla regolazione del commercio mondiale in grado di emendare gli aspetti deleteri della globalizzazione dell’ultimo periodo, stemperando gli interessi preponderanti dei paesi più forti, per affermare la solidarietà, foriera della collaborazione e della pace tra le nazioni.

In sostituzione, la politica della protezione nazionale, colpevolmente ignara del costo che comporterebbe un’economia mondiale costellata di barriere agli scambi, ci prospetta uno scenario improntato alla chiusura dell’economia di ciascuna nazione nel proprio ristretto ambito, in un contesto caratterizzato da ristrettezze economiche dei cittadini, e molto probabilmente da regimi autarchici e autoritari, per molti aspetti simili al regime politico attuale della Turchia di Recep T. Erdogan.

 

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

One thought on “Il vero lato dell’economia: neo-protezionismo e commercio internazionale

  1. Il problema non è purtroppo questo: libero commercio oppure no… bensì, cosa fare se Paesi forti economicamente e militarmente non recepiscono alcuna regola, norma, legge che non sia il loro solo profitto. Io, a questo, aggiungerei anche le stesse aziende “globali”. Ne esistono con una capacità economico-commerciale superiore a quella dei Paesi o dei gruppi di Paesi che vorrebbero costringerle al rispetto delle regole. Di fatto, pur non essendo un amante dei dazi (anzi) essi sono comunque una (timida) risposta alla cieca ingiustizia che ogni Stato occidentale perpetra nei confronti delle aziende che seguendo le regole si fanno carico anche delle disoneste pratiche commerciali dei maggiori competitor. In Economia si chiama concorrenza sleale e senza concorrenza non si può seriamente parlare di libero mercato. Per come la vede un liberista come me, oggi il cosiddetto libero mercato è un ring nel quale tutti competono a tirarsi i capelli. Solo che alcuni di questi antagonisti sono calvi…

Rispondi