Embraco, Amazon, Calenda e i ministri del lavoro di un tempo

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

La dura vertenza dei lavoratori contro Embraco, la società brasiliana del gruppo Whirlpool che ha deciso di licenziare 500 persone nel suo stabilimento in provincia di Torino e di trasferire la produzione di compressori per frigoriferi in Slovacchia, per praticare il dumping sociale che deriva dai bassi salari, dopo aver goduto di varie agevolazioni economiche in Italia, è solo l’ultima delle vicende che vedono lo sgretolamento dei diritti sociali nel nostro Paese.

Infatti, non si sono ancora spenti gli echi della polemica che ha investito il colosso americano dell’E-commerce Amazon, dopo l’annuncio del brevetto di un braccialetto per monitorare in tempo reale la posizione dei dipendenti nei magazzini e persino i movimenti delle loro mani, intervenendo per correggerli all’insegna di una visione assolutistica del produttivismo. Già Amazon era stata accusata per le condizioni di lavoro nei suoi magazzini, controllate in modo stringente, incluse le pause per recarsi alla toilette, con tanto di timer per monitorare il numero di scatole impacchettate ogni ora dai singoli dipendenti.

Come spesso accade, soprattutto in Italia, i cambi di paradigmi produttivi, in questo caso dell’industria 4.0, provocano dibattiti laceranti e contrapposizioni culturali e politiche.

C’è chi ritiene, da una parte, che il “Modello-Amazon”, ma si potrebbe citare anche il “Caso-Ryanair” in cui si contesta la presenza dei sindacati e l’applicazione dei contratti collettivi, evochi la disumanità del capitalismo industriale delle origini, descritto nel film cult di Fritz Lang “Metropolis”, con quell’ambientazione noir di un underground in cui confinare i lavoratori, sottoposti ad un regime di schiavitù che li riduce a pura merce, ad automi programmati solo per produrre, riproponendo il conflitto storico tra imprese ed operai, il divario abissale tra i ricchi e i poveri. Dall’altra, i cantori delle nuove tecnologie applicate alla produzione e al lavoro, delle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria dell’industria 4.0., che bollano come neoluddismo ogni eccezione.

E in questo contesto, sovente si dimentica che il nostro ordinamento del lavoro presenta soluzioni di buon senso, come sul tema dei controlli a distanza dei lavoratori.
A tal proposito è opportuno ricordare che nel quadro normativo di riferimento, in materia di divieto di uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti da cui derivi anche la possibilità di un controllo a distanza dei lavoratori, permane l’illecito penale, come conseguenza dell’art.4 dello Statuto dei Lavoratori e dagli artt. 114 e 171 del D.Lgs. n. 196 del 2003 in materia di privacy, nonostante la riforma peggiorativa dell’art. 23 del d.Lgs. n. 151 del 2015 (attuativo di una delle deleghe del Jobs Act), di recente ribadito dalla Cassazione, sezione penale.

Ma poiché serve buon senso per governare il cambiamento nel rapporto tra innovazione tecnologica e diritti del lavoro, come insegna la migliore prassi riformista, l’intervento del giudice penale deve essere l’extrema ratio e, soluzioni virtuose devono essere ricercate in buone prassi contrattuali. E, per realizzare ciò, servono aziende che guardino al futuro e non ad un capitalismo di stampo manchesteriano e sindacati in grado di aggiornare le proprie strategie.
In questo senso, si avverte la necessità di un sindacalismo in Italia, che promuova azioni contrattuali sovranazionali e rafforzi il livello aziendale, con meno timidezza nella rivendicazione di diritti di informazione e di codeterminazione nei confronti delle imprese. Ma i sindacati “storici” sono chiaramente a corto di idee, proposte e inziative, e l’unica voce che si sente nelle vertenze occupazionali è quella del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Strano davvero, perchè Calenda è un manager ed è stato dirigente in Confindustria. Un tempo erano i ministri del Lavoro ad intervenire in questi casi a favore degli operai. Già, ma una volta i ministri del Lavoro erano Giacomo Brodolini, ex sindacalista della Cgil, che volle lo Statuto dei lavoratori e si definiva “il ministro dei lavoratori”; Carlo Donat Cattin, ex sindacalista della Cisl, che nel 1969 impose agli industriali il contratto dei metalmeccanici che suggellò l’autunno caldo operaio guidato dai grandi leader sindacali Benvenuto, Trentin e Carniti; Ezio Vigorelli, ex sindacalista della Uil, che volle la legge sull’efficacia generale delle retribuzioni previste dai contratti collettivi: altri tempi, altri uomini, altra politica, altro sindacato.

 

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